Politiche

Per un breve periodo, dal 1993 al 1995, in Italia è stata in vigore una legge che introduceva le quote di lista alle elezioni comunali: nessun sesso poteva superare i due terzi dei candidati. Quel principio fu abolito da una sentenza della Corte costituzionale, ma a distanza di anni ancora se ne vedono i buoni risultati

Quote di genere
per candidature migliori

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In Italia e in Europa sono ancora molto marcate le differenze di genere, in particolare nella politica. Anche se la presenza femminile in politica è in aumento, la parità non è ancora stata raggiunta. Nel nuovo parlamento europeo le donne sono il 36,8% dei membri, in leggera crescita rispetto alle elezioni precedenti quando le donne erano circa il 35%. Le Commissarie Ue, preoccupate che la presenza femminile nella prossima Commissione europea possa essere esigua, hanno di recente chiesto che almeno dieci commissari siano donne. Anche in Italia le donne sono circa il 30% sia alla camera che al senato, e i numeri nelle amministrazioni locali non sono migliori.

Il dibattito sull’opportunità di ricorrere ad azioni positive per ottenere una rappresentanza politica che meglio rifletta la composizione per genere della popolazione è di lunga data e coinvolge anche la legge elettorale al momento in discussione nel nostro paese. Molte delle obiezioni al ricorso ad azioni positive riguardano la loro presunta incompatibilità con obiettivi meritocratici. Ma è così? 

Nel nostro paper Gender quotas and the quality of politicians di prossima pubblicazione sul Journal of public economics studiamo l’impatto dell’introduzione di quote di rappresentanza di genere sulla qualità dei politici locali italiani. Utilizziamo un esperimento naturale rappresentato dalla legge 81 del 1993, secondo la quale nessun genere poteva rappresentare più dei 2/3 dei candidati totali nelle liste elettorali comunali. La legge fu abolita inaspettatamente nel 1995 perché dichiarata incostituzionale. Poiché le elezioni avvengono ogni cinque anni, non tutti i comuni hanno votato nel periodo 1993-1995 in cui la legge era in vigore. Questo ci permette di identificare due gruppi: il gruppo di trattamento rappresentato dai comuni che hanno votato secondo tale legge, e il gruppo di controllo che include gli altri. Possiamo quindi utilizzare una metodologia “difference in difference” per stimare come varia nel tempo la qualità media dei politici locali eletti nei due gruppi di comuni. Seguendo precedenti studi nella scienza della politica, misuriamo la qualità dei politici con gli anni di istruzione e con l’impiego che avevano prima di entrare in politica. I risultati dell’analisi mostrano che la presenza delle quote si è accompagnata a un aumento della qualità media dei politici eletti, non solo perché tra gli eletti sono aumentate le donne, che mediamente sono più istruite degli uomini, ma anche perché sono diminuiti tra i consiglieri municipali gli uomini con bassi livelli di istruzione. In altri termini, la presenza di donne tra i candidati ha portato a un aumento del numero di donne elette, che hanno sostituito gli uomini meno istruiti. L'aumento nella qualità dei politici eletti non è un effetto che scompare nel momento in cui le quote vengono rimosse; i dati mostrano infatti che questa maggiore qualità caratterizza i politici anche a distanza di oltre un decennio dall'introduzione della policy. E neppure dipende da cambiamenti delle maggioranze politiche nei consigli municipali o dalla diversa distribuzione geografica dei due gruppi di comuni. Non è essere un comune settentrionale o meridionale che definisce l'efficacia della quota.

Quote che hanno davvero modificato le modalità con cui vengono stilate le liste dei candidati: abbiamo raccolto i dati sulla composizione delle liste elettorali per un sottocampione dei comuni italiani e abbiamo verificato che prima della introduzione della legge non vi erano comuni in cui tutti partiti avevano un numero di donne candidate superiore a quanto richiesto dalla quota stessa. Se le donne non sono elette in numero congruo non è soltanto perché gli elettori non le scelgono, ma anche perché non compaiono nelle liste.

Per cercare di individuare più chiaramente il ruolo dei partiti e degli elettori nel determinare la bassa presenza delle donne in politica, stiamo al momento studiando gli effetti della nuova legge n. 215/2012 che ha introdotto sia le quote di rappresentanza di genere che la doppia preferenza di genere per le elezioni dei consigli negli enti locali. (Baltrunaite et al., 2014).

L’introduzione di quote di genere non peggiora quindi la qualità dei rappresentanti. Anzi, nel caso analizzato ha portato a un suo miglioramento. L’adozione di quote di genere non dovrebbe dunque essere osteggiata perché potrebbe portare ad un rinnovamento benefico.