Storie

In equilibrio tra desiderio personale e aspettative sociali i padri che oggi cercano in famiglia una maggiore parità di genere vanno spesso incontro a stereotipi sul lavoro e nella società. Riflessioni a partire da una raccolta di interviste

6 min lettura
Foto: Unsplash/ Kelly Sikkema

La pandemia che stiamo ancora vivendo ha messo sotto pressione la struttura produttiva, sociale e demografica del nostro paese. Le disuguaglianze di genere sono esplose e le donne sono tra coloro che hanno pagato il prezzo più elevato delle chiusure dei servizi educativi e relativi alla cura delle persone, e delle limitazioni che si sono protratte per tutto l’anno successivo all'inizio della pandemia. Questo ha contribuito ad aumentare il già maggioritario carico di lavoro familiare e non retribuito femminile, rinforzando una suddivisione dei compiti all'interno delle famiglie fortemente radicata in una visione culturale e produttiva tradizionale, come già confermato da studi nazionali e internazionali.

Non dappertutto succede così. Nei paesi scandinavi, ad esempio, i padri condividono le responsabilità familiari e genitoriali in maniera maggiormente paritetica con le madri, complice un congedo di paternità spesso paritario e condiviso con quello di maternità, con ad esempio la possibilità di lasciare a entrambi i genitori spazio e tempo per investire sulla propria professione.

Sebbene i dati italiani mostrino una situazione ancora molto lontana, una genitorialità maschile maggiormente paritaria – almeno nel desiderio dei padri – si sta affacciando anche da noi in questi anni: ci sono padri che vogliono essere presenti sin dalla nascita dei propri figli, che passano molto tempo con loro, che partecipano attivamente alla gestione della casa, che si impegnano quindi a vivere una genitorialità condivisa con la partner nonostante le scarse tutele di welfare presenti.

Proprio sui nuovi ruoli dei padri in Italia è stato svolto un caso-studio basato sulla realizzazione di interviste, avvenute nell'ottobre 2020, con l’obiettivo di approfondire l'argomento, a oggi non considerato all’interno delle politiche di genere e a sostegno della famiglia e invece così centrale per arrivare a una reale parità tra uomini e donne. 

Nella descrizione del proprio coinvolgimento nelle attività familiari, i padri identificano azioni sia legate alla cura dei bambini che alla gestione domestica. I papà utilizzano alcuni termini ricorrenti nelle narrazioni per identificare il proprio impegno, come partecipare, presenza, disponibile e condividere, evidenziando come si organizzino con le partner in modo che a ogni genitore sia garantito un tempo esclusivo per il lavoro. Tutti gli intervistati identificano il proprio comportamento come diverso e in antitesi con quello dei loro padri, evidenziando un cambiamento generazionale: facendo riferimento alla propria esperienza personale, i papà sottolineano il contrasto di stili paterni:

I tempi sono cambiati: per mio padre e mia madre [...] è stato naturale che [lei] facesse la casalinga e mio padre il lavoratore. [...] Mia madre era quella che mi cambiava i pannolini e passava più tempo con me, mio padre non giocava né mi portava […] in bicicletta. 

Osservando la composizione lessicale delle interviste così come emersa dall'analisi delle coppie di parole più ricorrenti (Figura 1), emergono diversi termini legati al lavoro che mostrano le difficoltà dei padri connesse con la partecipazione attiva alla vita familiare. Il nodo-chiave lavoro è spesso usato in combinazione con problema, organizzazione e impegno. Tale relazione sembra significativa in tutte le interviste, indipendentemente dalla loro professione o dal tipo di contratto.

I padri che ne avrebbero diritto non valutano il congedo di paternità come una risorsa, ricorrendo invece a strategie alternative, tra cui la flessibilità. Alcuni padri fanno affidamento sui loro ambienti di lavoro considerati sensibili e accoglienti, ricorrendo più facilmente a ferie o modifiche di orario. Tra i padri che non possono richiedere la paternità, alcuni utilizzano la flessibilità garantita dalle loro professioni (come nel caso della ricerca), mentre i lavoratori autonomi mostrano più difficoltà a conciliare i due aspetti:

[l’avere un figlio piccolo] mi ha anche messo sotto pressione, perché mi sentivo colpevole o incapace di fare due cose insieme, casa e lavoro. [...] Ciò che mi pesava era il fatto che non avevo mai tempo libero, che non avevo uno spazio specifico […], quindi essere sempre disponibile rendeva difficile concentrarsi. Uscivo solo per fare le spese, ma [la vita] era tutta lì, a casa.

Mettendo in luce uno stress crescente sia dal punto di vista genitoriale che professionale, a cui si aggiunge la rinuncia, come evidenziato da un altro padre, a progetti impegnativi e localizzati lontano da casa, pur consapevoli di limitare così lo sviluppo della propria professione. 

Figura 1. Coppie di parole adiacenti maggiormente ricorrenti nelle interviste 

Le interviste si sono anche focalizzate su situazioni o episodi vissuti dai padri come direttamente legati agli stereotipi di genere. I loro racconti illustrano battute e scherzi subiti sia sul luogo di lavoro che in famiglia a causa del proprio stile genitoriale non rispondente alle aspettative tradizionali verso i padri.

Sul luogo di lavoro, frequenti sono stati i commenti sarcastici legati a orari ridotti di presenza in ufficio, come "ma lavori ancora qui?"; "ti teniamo la scrivania?"; "ma sei appena arrivato e già te ne vai?", i quali evidenziano non solo come la produttività prima della pandemia fosse strettamente legata alla presenza fisica sul luogo di lavoro, ma come l’identità maschile si sovrapponga quasi completamente con la dimensione lavorativa.

I compiti di cura, tradizionalmente femminili, se svolti dai padri portano alla derisione attraverso la femminilizzazione della figura maschile, svuotandola della propria mascolinità. Esemplare in questo senso è la testimonianza di un padre che racconta come il suo accedere alle misure di welfare familiare a cui ha diritto lo abbia esposto esattamente a questo processo da parte di colleghi uomini (spesso) più adulti:

Durante il primo anno di età del bambino, [ogni genitore] ha diritto a due ore di allattamento, e con il piccolo ho preso questo permesso. Quindi c'erano giorni in cui andavo al lavoro alle 07.30 e [...] alle 11.30 potevo andarmene. […] E ci sono state volte in cui ho ricevuto battute dai tipo "cosa fai? allatti con il seno finto?".

Gli stereotipi legati al ruolo sociale del padre possono essere vissuti anche all’interno della cerchia relazionale più stretta, ovvero la famiglia. Un padre intervistato, ad esempio, riferisce di essere stato l’oggetto di scherzi perché non rispettava l’idea del pater familias in quanto rivoluzionava le regole familiari tradizionali:

Succedeva che dopo pranzo mi alzavo e aiutavo mia suocera con i piatti, e mio suocero e mio cognato mi dicevano: "smettila, ci stai rovinando la reputazione!". 

Poiché in Italia il modello tradizionale di uomo breadwinner persiste, e ancora gli uomini sono in gran parte i primi percettori di reddito all'interno della famiglia, le politiche volte a ridurre il gap salariale e a facilitare l'occupazione delle donne e delle madri dovrebbero prendere in considerazione le difficoltà lavorative dei padri che scelgono una genitorialità condivisa, puntando a estendere la protezione sociale a entrambi i genitori. E poi facilitare la conciliazione vita-lavoro per entrambi i genitori e contribuire al superamento degli stereotipi di genere anche dal lato maschile, in quanto ancora fortemente radicati nella società. 

Riferimenti

Marchesini Nicolò, Rethinking Fatherhood: Investigating Fathers’ Family Engagement Between Individual Will and Social Constraints, presentata alla 4th International Conference on Gender Research, 21-22 giugno 2021.