Per contrastare davvero la violenza sulle donne, servono più finanziamenti e maggiore trasparenza 

Il buco nero dei
fondi antiviolenza

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Foto: Flickr/mike copleston

Dall'ultimo report della corte dei conti si capisce chiaramente, i finanziamenti previsti dal piano nazionale antiviolenza sono stati stanziati ma non erogati. Il governo li ha dati alle regioni, ma pochissime li hanno spesi, oppure li hanno spesi per qualcos’altro.

È di ieri la notizia dell'approvazione del decreto appena firmato e reso noto da Maria Elena Boschi in conferenza stato regioni che prevede 31 milioni nel prossimo biennio. Quasi un raddoppio rispetto agli stanziamenti per il biennio 2013-2014, che era stato di 16,5 milioni. Se consideriamo, comunque, che un centro antiviolenza costa circa 300.000 all’anno, capiamo che è comunque insufficiente. Il governo spagnolo solo per il 2016 ha stanziato 22,5 milioni, e le spagnole protestano perché nel 2006 il fondo era di 34 milioni. 

In un paese come l'Italia, dove i centri antiviolenza sono troppo pochi - 75, secondo la mappa della rete DiRe (donne in rete contro la violenza) riportata qui a fianco - molti meno di quelli di cui ci sarebbe bisogno stando anche alle indicazioni del Consiglio d'Europa, vale a dire uno ogni 10mila abitanti,  c'è bisogno di maggiori finanziamenti, e c'è bisogno soprattutto di un monitoraggio costante dopo lo stanziamento. Un progetto che era iniziato con l'indagine di ActionAid Donne che contano, commissionata dal dipartimento pari opportunità del governo, ma che di fatto dopo le dimissioni della consigliera Giovanna Martelli è rimasto un progetto incompiuto. Nel frattempo dall'università Sapienza è partita la prima indagine nazionale sui centri antiviolenza che include una sezione interamente dedicata alla questione del finanziamento, sicuramente utile per una verifica, ma i risultati saranno disponibili nella primavera del 2017.

Il problema, adesso, resta quello della mancata trasparenza sulla destinazione e l’uso delle risorse. A livello di governo nazionale e regionale non ci sembra ci sia la volontà di divulgare le informazioni, e ricostruire queste informazioni dal basso resta un'impresa assai difficile. Molte regioni non hanno usato i fondi, persino i centri antiviolenza stanno faticando per avere un quadro chiaro e puntuale delle motivazioni. Inoltre, non esiste ancora un'opera di monitoraggio dell’attuazione della convenzione di Istanbul, anche se il gruppo di monitoraggio è stato costituito.

Di fronte a un’opinione pubblica finalmente più attenta alla violenza contro le donne, i centri antiviolenza non sono mai stati così depotenziati, pochi, a rischio chiusura.

“Per cercare di imprimere un approccio di genere nelle politiche, su impulso della presidente Boldrini, è stato creato un intergruppo parlamentare che raccoglie donne di tutti gli schieramenti" ha dichiarato la parlamentare Pia Locatelli, presidente del comitato Diritti umani, in un’intervista su Avanti!. "Nella legge di bilancio abbiamo presentato 12 emendamenti che il presidente della commissione Francesco Boccia ha voluto considerare ‘fuori quota’, a voler significare che tutti hanno firmato, indipendentemente dai gruppi. Siamo riuscite a far approvare un emendamento che estende alle lavoratrici autonome il diritto al congedo di tre mesi con il percepimento di un’indennità mensile, già previsto per le lavoratrici dipendenti, per le donne vittime di violenza; uno che stanzia fondi per i centri antiviolenza e le case rifugio e destina al Piano altri 5 milioni all’anno, per il triennio 2017-2019; uno per tutelare gli orfani di femminicidio”.