Politiche

Anche per i servizi all'infanzia c'è un effetto scoraggiamento: meno se ne hanno, e meno se ne chiedono. Nonostante i piani del passato, siamo ancora alla metà dell'obiettivo di Lisbona, che nel Sud è lontanissimo. Mentre il piano Carfagna-Sacconi si affida alle famiglie. Ma fino a quando reggerà il “nonnismo”?

Di madre in nonna.
Il governo ha un Piano

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L'offerta di nidi per l'infanzia è uno dei capitoli del Piano d'azione per l'occupazione femminile - Italia 2020 presentato in dicembre dai ministri del Welfare e delle Pari Opportunità. Ma, nonostante la evidente necessità di recuperare un ritardo strutturale, particolarmente evidente nelle regioni del Sud, l'entità dell'intervento è molto modesta, e le proposte governative difficilmente avranno un impatto significativo sull’offerta dei nidi e quindi su partecipazione delle donne al mercato del lavoro e fecondità.

I dati mostrano una fortissima eterogeneità della struttura di offerta dei nidi per l’infanzia. Mentre in alcune regioni come Emilia Romagna, Toscana, Umbria , la percentuale di bambini che usufruisce dei servizi è superiore al 25%, nella maggior delle regioni del Sud meno del 6% dei bambini riesce ad usufruirne.

Secondo le stime della Banca d’Italia (Zollino, 2008) sono circa il 40 per cento le famiglie che sarebbero disposte a utilizzare nidi per i più piccoli, ma una parte di questa domanda non trova soddisfazione nell' attuale offerta.1 La ricerca mostra una interessante relazione positiva tra ricettività delle strutture pubbliche esistenti e dimensione delle liste di attesa per accedervi. Confrontando l’andamento delle domande di ammissione e dei posti disponibili si evidenzia come le liste di attesa presso le strutture pubbliche, anziché ridursi, spesso si allungano all’aumentare dei posti disponibili. Quindi proprio al Sud l’effetto scoraggiamento è maggiore.

Ma un numero più elevato di nidi aiuta davvero le famiglie nelle loro scelte di lavoro e fecondità? Se guardiamo ai dati da 1995 ad oggi notiamo che sia il tasso di fecondità totale che la partecipazione delle donne al mercato del lavoro sono cresciute di più nelle regioni dove c’è stata anche una crescita dei nidi per l’infanzia (Del Boca e Rosina 2009). Questi risultati suggeriscono che nascite e lavoro possono crescere assieme, in presenza di adeguati strumenti di conciliazione.

Nel 2007 è entrato in vigore il “Piano straordinario asili nido” che aveva previsto uno stanziamento di 446 milioni di euro per il triennio 2007-2009, a cui si aggiungono 281 milioni circa di cofinanziamento locale. Nonostante il fatto che tali fondi siano stati erogati e assegnati ai comuni solo in parte, negli ultimi anni si è registrato un aumento notevole dei nidi, che però ancora non raggiungono neanche la metà dell’obiettivo del 33% fissato dall’Agenda di Lisbona per il 2010. L’aumento del numero è dovuto all’incremento dei nidi privati (in parte dovuti ad effettiva crescita, in parte invece attribuibile all'emersione di strutture già esistenti, che negli anni precedenti erano state solo parzialmente censite). Nonostante i costi più elevati, il numero di nidi nel settore privati è passato dal 7% del totale nel 1997, al 20% nel 2000, 39% nel 2005 and 42% nel 2008, il che sembra indicare una crescente domanda di flessibilità di orario, oltre che evidenziare la situazione di “razionamento” del pubblico.

Nel recente Piano Italia 2020 sono contenute le proposte per gli anni futuri che riguardano l’offerta di nidi. Da un lato il progetto «Nidi nella Pubblica Amministrazione», che punta a creare fino a 100mila posti nell'arco di un decennio per i figli dei dipendenti pubblici grazie ai risparmi legati all'innalzamento dell'età pensionabile delle donne. Dall'altro, il piano «Tagesmutter» del ministero delle Pari opportunità, per finanziare fino a 700 nidi familiari che potranno accogliere dai 2.100 ai 3.500 bambini. Pur andando nella giusta direzione di rendere più eterogenea e flessibile l’offerta di servizi, si tratta di proposte di entità abbastanza modeste che difficilmente avranno un impatto significativo sull’offerta dei nidi e quindi su partecipazione al mercato del lavoro e fecondità2.

Nel Piano Italia 2020 si auspica la continuazione del supporto della famiglia in questo caso dei nonni. “Sempre più numerose sono le famiglie nelle quali gli anziani, coabitanti o meno, offrono il loro aiuto nelle azioni di accompagnamento e di assistenza dei minori, assicurando così alla donna la possibilità di partecipare al mercato del lavoro, oppure mettono a disposizione la loro pensione nella vita familiare. E nello stesso tempo trovano nelle famiglie la risposta ai loro bisogni e alle loro paure. È questo il patto intergenerazionale che vogliamo promuovere.” Il modello futuro prefigurato quindi prevede che siano soprattutto i nonni a prendersi cura dei nipoti per conciliare il tempo di lavoro e di cura delle mamme.

L’aiuto dei nonni nella cura dei figli è ancora un fattore molto importante, sia come sostituto ai servizi formali che come sostegno al loro uso, laddove esistono rigidità e limiti dell’offerta. Diversamente dai servizi formali all’infanzia, l’aiuto dei nonni è flessibile per durata e per orari. Inoltre, essi offrono servizi a costo zero. Come mostra una ricerca di Keck e Saraceno che confronta la Germania e l’Italia, nel nostro paese il vero aiuto alla cura dei figli piccoli avviene da parte dei nonni. Questo non dipende da una particolare maggiore disponibilità numerica di nonni rispetto agli altri paesi, ma dalla grande vicinanza geografica tra le famiglie giovani e almeno una delle due famiglie di origine e dalla disponibilità dei nonni, e in particolare delle nonne, ad aiutare nella cura dei piccoli.

In Germania solo il 7% dei bambini tra gli 0 e i 7 anni, quando non è a scuola o al nido, è accudito tutti i giorni da una nonna/o contro il 24% dei coetanei italiani.3 Pertanto, il sistema di aiuti familiari, favorendo in modo significativo la conciliazione del lavoro con le responsabilità di cura verso i figli, rende meno vincolate le scelte di lavoro e di fecondità. I risultati ottenuti da nostri studi condotti sui dati European Panel Household Survey mostrano che nelle famiglie dove i nonni convivono con la coppia giovane, le donne lavorano di più 4.

Ma nel prossimo futuro i nonni in grado di curare i nipoti a tempo pieno potrebbero diminuire, sia perché cambierà la disponibilità delle nuove generazioni dei nonni per la maggiore propensione al lavoro delle donne di cinquant’anni e oltre, sia perché le riforme previdenziali tendono ad innalzare l’età della pensione per entrambi i sessi, sia per la maggiore mobilità lavorativa che tenderà a ridurre la prossimità geografica tra generazioni. Anche per questi motivi sarà ancor più necessario pensare a una rinnovata disponibilità di nidi. Ma i nidi non vanno visti solo come strumenti di conciliazione per le mamme lavoratrici, quanto anche come importanti luoghi di crescita e socializzazione di bambini che per una proporzione sempre maggiore sono figli unici (circa 1/4 del totale). Su questo sono purtroppo pochi gli studi in Italia, dove persiste (e forse cresce?) la cultura secondo cui i bambini piccoli stanno meglio a casa.

 

 

Note

1 Una recente analisi della Banca d’Italia che circa il 58% delle famiglie preferiscono accudire i figli nelle loro case, 19% utilizza il nido, il 5% e in lista d’attesa e il 18% lo farebbe ma sono troppo lontani o troppo cari

 2 “Italia 2020. Piano per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro", pagina 15.

3 Keck W. E C. Saraceno, “Grandchildhood in Germany and Italy: an exploration”, in A. Leira e C. Saraceno (a cura), Childhood: Changing contexts, Comparative Social Research, vol. 25, Emerald/Jai Press, Billingley, 2008, pp. 144-163

4Del Boca, D., Pasqua S. e Pronzato C.(2009) "Motherhood and Employment in Institutional Contexts: an European Perspective”, Oxford Economic Papers

 

Altri testi citati nell'articolo

Daniela Del Boca, Alessandro Rosina, Famiglie sole. Sopravvivere con un welfare inefficiente. Il Mulino, 2009

Francesco Zollino, Il difficile accesso ai servizi di istruzione per la prima infanzia in Italia: i fattori di offerta e di domanda, (Questioni di Economia e Finanza, Occasional Papers n.30/2008, Banca d'Italia)