Politiche

Siamo a Natale e finalmente sono state distribuite le risorse per il biennio 2013-2014 promesse per il contrasto alla violenza sulle donne. Adesso sono in mano alle regioni, ma ancora non è dato sapere come in concreto le stanno spendendo. Intanto, ecco i criteri con cui sono stati ripartiti i fondi pubblici messi a disposizione a livello centrale

Divisioni e sottrazioni.
Lo stato dei fondi antiviolenza

5 min lettura
Foto Flickr/Ashbringer83

Sembra un po’ il gioco dell’oca, che a qualche casella si torna indietro, solo che anche quando va bene e si va avanti, si procede a passo di lumaca, una casella alla volta. Siamo alla fine del 2014, i fondi messi a disposizione per contrastare la violenza contro le donne sono stati da poco ripartiti per l’anno scorso e l’attuale, ma è ancora presto per sapere come le Regioni useranno questi fondi, chi saranno in effetti i beneficiari, se davvero finiranno a operatori specializzati (si teme di no) e quanto gli enti locali riusciranno ad aggiungere al finanziamento statale, fissato a 17 milioni di euro per il biennio 2013-2014 e decurtato subito dopo di 550mila euro. E nessuna certezza o ragionevole aspettativa si può avere dal 2015 in poi.

Riavvolgiamo il nastro. «L’avevamo promesso. Lo facciamo». «Lotta senza quartiere al triste fenomeno del femminicidio». Era il 2013 e nei palazzi di governo ci si accorgeva del «susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne», come riporta la prima frase del decreto legge che l’allora presidente del consiglio Enrico Letta annunciava ai cittadini. A causa del «conseguente allarme sociale che ne è derivato», si legge sempre in apertura del decreto 93/2013, si annunciavano pene più severe e un piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che a tutt’oggi non ha ancora visto la luce (nonostante i vari annunci di imminenza). Pochi mesi dopo, nella conversione del decreto nella legge 119 del 15 ottobre 2013, si parla di risorse da destinare al contrasto alla violenza. E si legge una parola promettente: incremento. Nell’articolo 5 bis della legge si trovano infatti le cifre dei finanziamenti con cui realizzare e sorreggere il lavoro di contrasto promesso dal governo. Vi si legge che il fondo per i diritti e le pari opportunità «è incrementato di 10 milioni di euro per l'anno 2013, di 7 milioni di euro per l'anno 2014 e di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015». Ma lo stesso fondo ammontava già dal 2007 a 10 milioni di euro l’anno (1).

Attesi altri otto mesi, il 26 giugno il dipartimento delle pari opportunità diffonde il documento con l’effettiva ripartizione delle risorse messe a disposizione per il biennio 2013-2014, liquidati in un’unica soluzione. In pochissimo tempo però arriva la lima. In data 10 luglio viene data comunicazione ufficiale di una riduzione di 550.615 € dai 7 milioni previsti per l’anno in corso. Cioè il 7,8% in meno. 

Dei restanti 16milioni e 450mila, il 33% (5milioni e 600mila € circa) viene destinato alla creazione di nuovi centri antiviolenza e nuove case rifugio: le nuove strutture previste dal documento sono 79, e riceveranno un contributo unitario di 71.772 euro. La parte rimanente (11milioni e 330mila €) viene divisa tra un 80% da destinare a “interventi regionali già operativi” per l’assistenza di donne vittime di violenza e dei loro figli, l’altro 20% (circa 2 milioni 266mila euro) per il totale delle case rifugio e dei centri antiviolenza già esistenti, sia pubblici che privati. Dunque una fetta esigua, 6.000 euro per due anni, quella destinata a ciascuna delle 352 strutture presenti su tutto il territorio nazionale, denuncia la rete D.i.Re. Al momento non ci sono grandi dettagli sul grosso della torta, quell’80% di competenza regionale; non è da escludere, ma non è nemmeno scontato, che in alcune regioni qualcosa venga aggiunto per questa via ai centri antiviolenza in quanto “interventi già operativi”.

Date queste proporzioni generali, le cifre effettive accordate a ogni regione devono essere calcolate in base alla popolazione e al numero di strutture già operative, in base a quanto dichiarato dalle regioni stesse, dispone ancora il documento di riparto. In concreto, le cifre più consistenti vanno alla Lombardia (1,48 milioni) e alla Sicilia (1,25 milioni). Nella prima risultano esserci 21 centri antiviolenza e 11 case rifugio, mentre nella seconda 10 centri antiviolenza e ben 52 case rifugio, che da soli valgono la cifra di 359.238 euro, più di qualsiasi altra regione.

Secondo l'articolo cinque bis della legge 119/2013, i fondi dovrebbero essere ripartiti tra centri antiviolenza e case rifugio promossi da «associazioni e organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell'aiuto alle donne vittime di violenza, che abbiano maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne, che utilizzino una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato».

Per sapere se le risorse sono in effetti andate a questo tipo di strutture, e non per esempio a più generici centri di accoglienza, bisognerà attendere la prima relazione annuale, prevista per il 31 gennaio 2015, con cui le amministrazioni regionali sono chiamate, sempre dalla legge 119/’14, a rendere conto dei fondi assegnati e del monitoraggio dei trasferimenti e degli interventi realizzati. È inoltre specificata la revoca dei fondi per le regioni che non useranno le risorse assegnate.

Oltre ai fondi statali potrebbero inoltre esserci altre risorse  messe a disposizione dagli enti locali e in particolare dalle singole regioni. Ma al momento non c'è un documento che getta uno sguardo d'insieme su questi possibili rivoli. Quello che si prospetta è dunque un quadro frammentario delle quote messe a disposizione dagli enti locali. Lo schema di distribuzione delle risorse è valido solo per il biennio in corso, a meno che dalle relazioni annuali delle regioni il dipartimento delle pari opportunità non ricavi un documento generale che faciliti una visione d'insieme delle risorse e di come sono usate. Invece per il 2015 i soldi a disposizione dovrebbero essere 10 milioni, ma non si sa ancora se  la legge di stabilità darà effettiva copertura a questa cifra. Di prevenzione si dovrebbe invece occupare il piano straordinario, che però tarda ad arrivare.

 

Note

(1) Articolo 19 della legge  248/2006