Politiche

L'Italia investe poco e male per colmare il gap di genere. Servono più dati, più soldi, e politiche migliori. L'analisi delle esperte nel nuovo rapporto ombra per la convenzione internazionale delle Nazioni Unite 

Luci e ombre
sulla parità

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rapporto ombra
Credits Unsplash/Fernando Rodrigues

Più povere rispetto agli uomini, più discriminate delle altre europee sul lavoro quando madri. Raramente intervistate come fonti di notizie nei campi della scienza, della politica e dell’economia, con pensioni nettamente più basse di colleghi e mariti e spesso al centro di campagne d'odio, attanagliate da stereotipi culturali e violenze domestiche. Le donne in Italia sono ancora alle prese con forti pregiudizi culturali che si riflettono nelle politiche inadeguate dei governi e negli investimenti insufficienti delle istituzioni per colmare il gap.

A dirlo è il nuovo rapporto ombra frutto del lavoro di più di trenta tra esperte di diritti delle donne, associazioni, organizzazioni sindacali e internazionali coordinate da Donne in rete contro la violenza (D.i.Re) – fra cui Aidos, Action Aid Italia, Cgil e Period ThinkTank, solo per citarne alcune – e rivolto alla Convention on the elimination of all forms of discrimination against women (Cedaw). 

Il documento scandaglia su molteplici piani la vita pubblica e privata delle donne in Italia: dall'accesso ai fondi per la ripresa post-pandemia alla giustizia, dalla sicurezza al lavoro, passando per l'uso del linguaggio e la salute, la violenza di genere, l'istruzione, il matrimonio e la vita familiare, e senza trascurare i diritti delle migranti, delle rifugiate e delle richiedenti asilo, la tratta e lo sfruttamento della prostituzione.

L'Italia "non ha implementato politiche o strategie di investimento riguardanti il caregiving, il lavoro, l’empowerment, lo status economico, la segregazione verticale e orizzontale delle donne, gli stereotipi e la violenza contro le donne" spiegano le esperte, che sottolineano come la tendenza che persiste nel nostro paese sia soprattutto quella "a reinterpretare e ridefinire le politiche di pari opportunità come politiche di famiglia e maternità".

Basta guardare ai numeri: il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni che vivono da sole è dell’81,3% rispetto al 60,2% delle madri; il 20% delle madri occupate lascia il lavoro dopo il parto; il congedo di paternità prevede solo 10 giorni e viene scarsamente retribuito (il 30% dello stipendio, tranne per un mese all’80%). Su 96 atenei, esistono solo 12 sportelli attivi contro la violenza di genere. Solo il 6,8% delle risorse previste per il Pnrr contribuirà a colmare il divario nel lungo termine con iniziative esplicitamente orientate al genere.

Servono più dati, più soldi, e politiche migliori raccomandano le esperte nel rapporto che si affianca al resoconto ufficiale che ogni quattro anni i governi dei paesi che hanno ratificato o aderiscono alla Cedaw hanno il compito di presentare sui risultati raggiunti in materia di diritti delle donne nei rispettivi territori.

Istituita nel 1979, la Cedaw è una convenzione internazionale adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, e rappresenta il più importante strumento vincolante a livello internazionale dal punto di vista giuridico in materia di diritti delle donne. 

Partendo dal presupposto che nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite per promuovere la parità e i diritti delle donne, queste ultime continuano a essere oggetto di discriminazioni, la Cedaw richiede agli stati di eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne, indicando una serie di misure programmatiche da attuare per consentire il raggiungimento dell'uguaglianza fra uomini e donne nella vita pubblica e privata. 

Il compito di vigilare sull'applicazione, da parte degli stati, delle norme contenute nella convenzione, spetta al Comitato sull'eliminazione delle discriminazioni contro le donne (Comitato Cedaw), composto da esperte nel campo dei diritti delle donne provenienti da 23 paesi. 

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