Le donne dei paesi più poveri rischiano di subire in modo sproporzionato le conseguenze della crisi economica generata dalla pandemia, bisogna tenerne conto per non ridurre il discorso sui diritti a una retorica internazionale

Quanto pesa la crisi
Covid nel sud globale

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Foto: Unsplash/ Belle Maluf

La crisi sistemica conseguente all’emergenza sanitaria globale ha messo in evidenza le disuguaglianze sociali e in particolar modo le disparità fra sud e nord del mondo, sia in termini di capacità e qualità del sistema sanitario, sia in termini di vulnerabilità economica e sociale. Per quanto riguarda la dimensione sanitaria, le capacità di risposta nelle diverse regioni globali sono molto diverse: mentre nei paesi ricchi vi sono in media 55 posti letto in ospedale, 30 medici e 81 infermieri ogni 10.000 abitanti, nei paesi meno sviluppati si hanno solo 7 posti letto in ospedale, 2,5 medici e 6 infermieri ogni 10.000 abitanti. Si pensi che in Sud Sudan all’inizio della pandemia c’erano solo due posti letto in terapia intensiva.[1] Va comunque notato che, nonostante la limitata capacità, in alcuni dei paesi più poveri a livello globale vi è stata un’evoluzione relativamente positiva dell’emergenza sanitaria, anche se la cause sono ancora dibattute.

Dal punto di vista socioeconomico, la situazione nel sud del mondo è invece già molto preoccupante, in particolare per l’elevato livello di precarietà lavorativa – in paesi come Bangladesh o Congo oltre il 90% del lavoro è informale – e per la scarsa diffusione di strumenti di protezione sociale. Le condizioni di milioni di persone, già provate da una condizione di povertà assoluta, si sono aggravate istantaneamente quando è stato vietato loro di circolare.

Esiste inoltre un problema macroeconomico, legato alla contrazione dell’economia globale. In molti paesi in via di sviluppo sono calate drasticamente le esportazioni, si sono ridotte le rimesse dei migranti – che possono costituire fino a un terzo del Pil – e si è praticamente azzerato il turismo – altra importante fonte di reddito. Inoltre, per il deprezzamento delle valute collegato all’andamento dei flussi di capitale, nel giro di poche settimane molti paesi in via di sviluppo hanno visto il loro debito rivalutarsi del 20-30%. L’Argentina, per esempio, era in trattativa coi suoi creditori già da aprile e ha ottenuto l’ok del G20 sulla ristrutturazione del suo debito a luglio, mentre manca ancora l’accordo dei principali creditori privati. Anche se le istituzioni finanziarie globali si stanno muovendo per realizzare una moratoria sul pagamento del debito, è altamente probabile che si vada incontro a una crisi del debito nei prossimi mesi.[2] 

Achim Steiner, a capo del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), ha avvertito che, se non verrà affrontata adeguatamente, la crisi economica causata dalla pandemia rischia di erodere i progressi fatti negli ultimi dieci anni in termini di sviluppo umano. Jayati Ghosh, una riconosciuta economista indiana, ha inoltre espresso grande preoccupazione rispetto alle risorse necessarie per fronteggiare la crisi nei paesi del sud globale, osservando che questi non hanno gli stessi margini di manovra fiscale del nord.

È stato ampiamente dimostrato che le conseguenze delle crisi economiche ricadono in modo sproporzionato sulle donne, in particolare su quelle delle classi meno agiate. Ad esempio, le politiche di austerità degli anni '80 e '90 in America Latina, trasferendo molti servizi dal settore pubblico a quello privato, hanno colpito particolarmente le donne, sia per il loro ruolo di lavoratrici non remunerate nei sistemi di cura familiari e comunitari che per la loro maggiore precarietà lavorativa. Allo stesso modo, in Africa Sub-Sahariana e nel Sud Est Asiatico la crisi del 2008 ha danneggiato particolarmente la popolazione femminile per i settori nei quali era prioritariamente occupata.

Con l’attuale crisi, queste dinamiche potrebbero ripetersi. Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo le donne, soprattutto le più povere, sono sovra-rappresentate nel lavoro informale e corrono quindi il rischio di non poter soddisfare i loro bisogni alimentari e quelli delle loro famiglie e di vedere aumentato, contestualmente, il lavoro di cura e domestico non retribuito. Inoltre, se da un lato la violenza di genere tende ad aumentare durante le crisi, come si è già visto in diversi paesi durante i lockdown, dall’altro accedere alla salute riproduttiva potrebbe diventare più difficile, soprattutto nei contesti dove non è considerata prioritaria. Esiste poi il rischio concreto che in un contesto di scarsità di risorse, i fondi destinati a iniziative che contribuiscono a migliorare la salute e le condizioni delle donne vengano dirottati su altri settori.

Se è dunque necessario rendere disponibili sufficienti risorse per i paesi del sud – sia per mezzo dell’aiuto allo sviluppo che con nuovi accordi sul debito – va anche ribadita la necessità di politiche di sviluppo di ampio respiro che tengano in considerazione esplicitamente la dimensione di genere, come sostenuto recentemente dallo special rapporteur su estrema povertà e diritti umani delle Nazioni Unite.

Si noti infatti, che nonostante gli impegni presi in questo senso durante la Conferenza di Beijijng nel 1995, a oggi la maggior parte dei fondi destinati all’aiuto allo sviluppo non tengono conto della dimensione di genere. Gli ultimi dati disponibili, raccolti annualmente dall’Ocse, mostrano che solo il 4% dell’aiuto (bilaterale) allo sviluppo è dedicato a programmi per l’uguaglianza di genere, il 34% ha integrato la dimensione di genere (il cosiddetto gender mainstreaming) e il restante 62% non l’ha considerata affatto.[3]

Va detto che ci sono paesi con dati incoraggianti, come Svezia o Paesi Bassi, che dedicano già il 15% del loro aiuto all’uguaglianza di genere, o come il Canada che si è formalmente impegnato in tal senso. È questa la via da seguire se si vogliono davvero contrastare in maniera efficace gli effetti della crisi ed evitare che la promozione dei diritti delle donne nella cooperazione internazionale sia mera retorica. 

Note

[1] Indicatori disaggregati/dati per paese sono disponibili su Undp.org e Ghsindex.org.

[2] Come ha spiegato Barry Eichengreen su Project Syndicate e il rapporto Unctad From the Great Lockdown to the Great Meltdown.

[3] I dati disponibili rispetto all’aiuto multilaterale allo sviluppo e la dimensione di genere sono limitati perché non esiste al momento un database unico/sintetico. Per quanto riguarda invece i fondi per lo sviluppo forniti da privati e fondazioni, la cosiddetta filantropia, secondo circa il 16% è focalizzato sul genere.