Linguaggi

Cosa si intende per street harassment, cosa dicono le ricerche sul tema e come arginare le molestie in strada cambiando lo sguardo che sottende la progettazione e la gestione degli spazi urbani. Un'analisi a partire dai dati

8 min lettura
Foto: Unsplash/Gil Ribeiro

La città è uno spazio che produce e riproduce dinamiche di potere, tra cui quelle di genere. Il modo in cui una città è pianificata e organizzata infatti non è neutrale, ma strutturalmente contrassegnato dal genere, e spesso è l’espressione di una visione patriarcale dello spazio. Tutto è progettato, testato e impostato su standard determinati dalle esigenze di un ideale uomo medio. E, anche una volta costruito, lo spazio urbano continua a plasmare e influenzare le relazioni sociali e i sistemi di potere che lo abitano. Replicando le parole usate da Leslie Kern nel suo La città femminista, si può dire che negli spazi urbani esista una "geografia dell’esclusione" nella quale "il potere e il privilegio maschili sono mantenuti limitando i movimenti delle donne e la loro capacità di accedere a diversi spazi" che finiscono per percepirsi come delle outsider nell’arena urbana.

Contribuisce all’esclusione delle donne dall’arena pubblica anche la socializzazione di genere. Femminilità e maschilità costruiscono, infatti, modelli molto diversi rispetto al rischio, alla sicurezza e all’insicurezza. Se gli uomini possono osare di più nel contesto pubblico, alle donne si insegna fin da bambine ad averne paura, ad adottare atteggiamenti e comportamenti di autotutela che le limitano nel movimento, nelle scelte e nei desideri. La socializzazione femminile è incentrata sull’attenzione e sul sospetto e questo fa sì che le donne si percepiscano continuamente vulnerabili, prede all’interno di un contesto insidioso.

A ciò si aggiunge che, quotidianamente le donne – e le altre categorie marginalizzate – subiscono esperienze di molestie nei luoghi pubblici e semi-pubblici che influenzano la loro percezione dello spazio. Ancora oggi i termini utilizzati per definire tale fenomeno sono diversi e la stessa concettualizzazione è oggetto di un notevole dibattito in letteratura. La sociologa Carol Gardner (1995), che preferisce l’espressione “public harassment”, definisce tale fenomeno come:

l’insieme di abusi, vessazioni e fastidi caratteristici dei luoghi pubblici, che include pizzichi, schiaffi, colpi, commenti urlati, volgarità, insulti, insinuazioni maliziose, ammiccamenti e stalking e che rientra all’interno di un continuum di possibili eventi che ha inizio quando viene meno il normale senso di civiltà tra estranei e può degenerare in crimini violenti come aggressioni, stupri o assassinii.

Per sottolineare l’importanza della dimensione di genere, Holly Kearl (autrice e fondatrice della Ong Stop Street Harassment, ndr) ha optato per l’espressione gender-based street harassment, sostenendo che si tratti di "commenti, gesti e azioni indesiderati rivolti a qualcuno che non si conosce in un luogo pubblico senza il suo consenso e che sono diretti a questa persona sulla base del suo sesso, genere, espressione di genere o orientamento sessuale reale o percepito".

Ad oggi, l’espressione più utilizzata per riferirsi a tale fenomeno è quella di street harassment che compare per la prima volta nel 1981, in un articolo di Michaela Di Leonardo in cui l'antropologa culturale definisce lo street harassment come l’atto compiuto, a opera di uno o più estranei, di avvicinarsi a una o più donne in un luogo pubblico e attraverso sguardi, parole o gesti, affermare il proprio diritto di disturbare la loro attenzione, definendole un oggetto sessuale e costringendole a interagire con loro.

Lo scienziato politico Hawley Fogg-Davis nel 2005 lo definiva una forma di "terrorismo sessuale" che sai che succederà, ma non sai mai con certezza quando o come accadrà, caratteristica che rende lo street harassment difficile da definire e da combattere. La sua insidiosità deriva in larga misura dal suo contesto di azione, ossia "la quotidianità semi-privata e semi-pubblica di camminare, sedersi o stare in piedi lungo le strade della città, o altri spazi pubblici come parchi e centri commerciali" scriveva.

Lo street harassment è profondamente implicato nella produzione e riproduzione delle dinamiche di potere all’interno delle relazioni di genere e nella loro manifestazione spaziale. È una "negoziazione discorsiva" dello spazio urbano, che ha l’effetto di escludere le donne da determinati spazi pubblici o quanto meno ne pregiudica la libera circolazione. Tale fenomeno segna, infatti, i confini di appartenenza e inclusione all’interno dell’arena pubblica, definendo gli spazi come se questi fossero solo per uomini cisgender, bianchi, eterosessuali.

In uno studio condotto nel 2014 dall’organizzazione no-profit Stop Street Harassment e che ha coinvolto 2000 persone negli Stati Uniti è emerso che il 65% delle donne ha fatto esperienza di varie forme di street harassment nella propria vita, mentre gli uomini che hanno vissuto questo tipo di esperienza sono il 25% del campione. Il 67% delle donne e il 43% degli uomini ha riferito di aver subito questa forma di violenza su strade e marciapiedi, ma anche negozi, ristoranti, cinema e centri commerciali e mezzi pubblici sono stati riconosciuti come luoghi in cui la molestia può avvenire.

Una ricerca internazionale condotta da Hollaback! e Cornell University a cui hanno partecipato 16.607 donne in 22 paesi in tutto il mondo ha rilevato che la maggior parte delle donne ha sperimentato street harassment durante la pubertà e più del 50% è stata toccata o palpeggiata in pubblico, il 71% di loro è stata seguita.[1]

In Italia, l’analisi che ho condotto nel 2022 su un campione di 1.057 persone per la mia tesi di dottorato, ha rilevato che il 77% di queste ha subito street harassment almeno una volta nella propria vita.[2] Ha vissuto questa esperienza l’87% del totale delle donne e la stragrande maggioranza di esse la prima volta aveva meno di 18 anni. Viceversa, nella quasi totalità dei casi chi ha compiuto street harassment è un uomo, o un gruppo di uomini percepiti come adulti. Più della metà del campione ha affermato che l’orario non incida sulla possibilità di esperire street harassment, mentre il 21% ha indicato come maggiormente colpita la fascia diurna tra le 9.00 e le 21.00. I luoghi in cui ci si sente più vulnerabili alle molestie sono i mezzi pubblici, la strada, le fermate dei mezzi pubblici, i luoghi di ritrovo serale, le stazioni ferroviarie e i parchi.

La paura della violenza fisica e sessuale altera fortemente la nostra esperienza dei luoghi, al punto di modellarne la comprensione, la percezione e il modo in cui li attraversiamo e li abitiamo, vincolando in particolare il comportamento e le attività delle donne e delle altre categorie marginalizzate. Dai dati della ricerca che ho condotto è emerso, infatti, che chi ha subito episodi di street harassment evita alcune zone della città, preferisce non usare i mezzi pubblici o uscire di sera in solitudine. Appare determinante l’intervento di qualcuno in proprio aiuto quando si è vittime di tale fenomeno, ma raramente ciò accade.

Le iniziative volte ad arginare questo fenomeno sono varie. Proprio riconoscendo la rilevanza dell’intervento di chi assiste a street harassment, l’associazione no-profit Hollaback! – da poco diventata Right to be – conduce da alcuni anni un programma di formazione online che aiuta le persone a intervenire, salvaguardando la propria incolumità, quando sono vittime o testimoni di un atto di molestia in un luogo pubblico.

In Italia, tra le realtà impegnate nella denuncia sociale dello street harassment ricordiamo, solo per citarne alcune, “NO Molestie Di Strada”, “DONNEXSTRADA” e “Sono solo complimenti”. Anche Chalk Back, un movimento attivo in più di 150 città di tutto il mondo, è presente sul nostro territorio. Oltre a raccogliere le testimonianze di street harassment, sulle sue pagine le attiviste che ne fanno parte offrono un supporto emotivo a chi ha subito molestie per poi andare a trascrivere quelle esperienze con gessetti colorati a terra nel luogo esatto in cui sono avvenute, favorendo un processo di riappropriazione di quegli spazi.

Oltre al fondamentale impegno quotidiano del mondo dell’attivismo e dell’associazionismo, per arginare il fenomeno e favorire un cambiamento culturale, è necessario un coinvolgimento più strutturale del sistema scolastico. Attraverso l’attivazione di corsi e laboratori è possibile, in una fase fondamentale per lo sviluppo relazionale dell’individuo, decostruire stereotipi e modelli di relazione di genere squilibrati che contribuiscono a generare un ambiente fertile per ogni forma di violenza, incluso lo street harassment.

È necessario, infine, sia nella costruzione dei bilanci che nella pianificazione urbanistica assumere una prospettiva di genere coinvolgendo le comunità e le donne che vivono e usano quei luoghi quotidianamente. Per migliorare il senso di sicurezza collettivo, più che sul controllo e la repressione, occorre investire nella progettazione e nella diversificazione delle destinazioni d’uso degli spazi così da cambiare il modo in cui le persone ne fruiscono e favorire la prossimità tra le persone

Note

[1] I Paesi coinvolti sono stati: Argentina, Australia, Bahamas, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Canada, Colombia, Croazia, Francia, Repubblica Ceca, Germania, India, Irlanda, Italia, Israele, Corea del Sud, Messico, Nepal, Nuova Zelanda, Polonia, Sud Africa, Regno Unito, USA.

[2] Calabresi G., Lo street harassment e la costruzione sociale dei corpi. Dominio e pratiche di resistenza nello spazio urbano, 2022. 

Riferimenti

Mela A., Sociologia delle città, Carocci, Roma, 2006.

Kern L., La città femminista. La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini, Treccani, Roma, 2021.

Pitch T., Ventimiglia C., Che genere di sicurezza. Donne e uomini in città, Franco Angeli, Milano, 2001. Garreffa F., In/sicure, da morire. Per una critica di genere all’idea di sicurezza, Carrocci, Roma, 2010.

Gardner C.B. (1995), Passing by: Gender and public harassment, University of California Press, Berkley, CA.

Kearl H., Stop street harassment: Making public places safe and welcoming for women, Praeger, Santa Barbara, CA, 2010.

Di Leonardo M., The Political Economy of Street Harassment, Aegis, 1981.

Fogg-Davis H. (2005), Theorizing Black Lesbians within black Feminism: A Critique of Same-Race Street Harassment, Cambridge University Press.

Fileborn B., "Embodied geographies: Navigating street harassment". In J. Berry, T. Moore, N. Kalms, G. Bawden (Eds.), Contentious cities: Design and the gendered production of space, Routledge, London, 2021.

Vera-Gray F., Kelly L., Contested gendered space: Public sexual harassment and women’s safety work, International Journal of Comparative and Applied Criminal Justice, 2020.

Ilahi, N. (2009), Gendered contestations: An analysis of street harassment in Cairo and its implications for access to public spaces, Surfacing, 2(1), p. 56-69.

Fileborn B., Online activism and street harassment: Critical cartographies, countermapping and spatial justice, Onati Socio-Legal Series. Online first, 2020.

Calabresi G., Lo street harassment e la costruzione sociale dei corpi. Dominio e pratiche di resistenza nello spazio urbano, 2022.

Mela A., Toldo A., Socio-Spatial Inequalities in Contemporary Cities, Springer, Heidelberg, New York., 2019.