Fuori servizi. Gli Stati uniti in shutdown, che succederà?
Più di due milioni di impiegati del governo federale sono a casa per effetto dello shutdown: 800 mila lavoratori “non essenziali”, e altri 1,3 milioni cui è stato chiesto di lavorare senza essere pagati, per il momento. Continuano a lavorare circa 700 mila lavoratori “essenziali” (per esempio, in campi come l'assistenza medica e l’esercito); ma altri, come le guardie forestali e gli impiegati d’ufficio, resteranno a casa, con un periodo di ferie non retribuite.
Che cos’è lo shutdown? Ogni anno, alla chiusura dell’anno finanziario, il parlamento deve approvare un nuovo piano di spesa. Senza questa approvazione, il governo non può disporre dei fondi per finanziare i servizi, e deve chiuderli. L’anno finanziario si è chiuso al 30 settembre senza che la camera dei rappresentanti e il senato avessero raggiunto un accordo sul nuovo piano di spesa. I repubblicani vedono nell’approvazione del piano di spesa l’ultima occasione per fermare la riforma sanitaria, fortemente voluta dal presidente Obama, che ha preso l’avvio il primo ottobre: essendo ferocemente ostili alla riforma, ne chiedevano il definanziamento come merce di scambio per l’approvazione del piano di spesa. Questa richiesta è stata in qualche modo ammorbidita da una mozione che chiedeva il posticipo di un anno dell’Obamacare. Il perentorio rifiuto del senato ha determinato il completo stallo politico. D’altra parte, un’eventuale capitolazione del presidente alle richieste di un ramo del parlamento, non solo avrebbe messo in discussione la possibilità di attuazione delle politiche di Obama e sancito una sua epocale sconfitta politica, ma avrebbero creato un precedente per ogni futuro presidente che si fosse trovato con un parlamento diviso su questioni politiche di simile rilevanza.
Non è la prima volta che si è arrivati a uno shutdown; anzi in passato è successo già 17 volte. Il precedente più noto è quello avvenuto nel corso della presidenza Clinton: fu anche lo shutdown più lungo, durato 26 giorni (fra il 16 dicembre 1995 e il 6 gennaio 1996). I repubblicani, che avevano vinto le elezioni di metà mandato, vennero poi sconfitti nelle elezioni presidenziali. Questa esperienza, insieme ai sondaggi che mostrano come l’opinione pubblica non stia approvando la linea dura sul bilancio, rende nervosa la maggioranza dei repubblicani, essi stessi ostaggio della minoranza del Tea party, e pare imporre la ricerca di una via di uscita onorevole, in tempi molto stretti.
Quanto all'effetto economico del parziale shutdown, va detto che per il momento la chiusura limitata dei servizi pubblici sta comportando costi contenuti: è stato stimato che comporti una riduzione di 0,1-0,2% del Pil per ogni settimana di chiusura. Ma naturalmente i costi aumentano con il prolungarsi di tale situazione.
Il "debt ceiling". Costi ben maggiori potrebbero derivare dal braccio di ferro fra repubblicani e democratici se questo dovesse impedire il raggiungimento tempestivo di un accordo sull’innalzamento del limite all’indebitamento pubblico, un limite posto dal Congresso a quanto il governo può prendere a prestito per finanziare l’eccesso della spesa sulle entrate (attualmente questo limite è stato fissato a 16,7 miliardi di dollari). Secondo stime del Tesoro americano tale tetto sta per essere raggiunto e va presa una decisione entro giovedì per evitare una catastrofe finanziaria. Il governo americano non potrà più prendere a prestito per finanziare l’eccesso delle spese sulle entrate (che coprono circa l’85% delle spese) e dovrà decidere cosa tagliare: il pagamento degli stipendi o degli assegni sociali, o il taglio del pagamento degli interessi sul debito. Quest’ultimo corrisponderebbe al default sul debito, con conseguenze assai serie sui mercati finanziari internazionali. Basti pensare che, per il ruolo giocato finora dall’economia americana, i titoli del debito pubblico Usa sono usati come garanzia per una parte considerevole di operazioni finanziarie. In questo caso dunque, il braccio di ferro fra repubblicani e democratici, se non sciolto, produrrebbe conseguenze assai più gravi per l’intera economia mondiale. Anche in questo caso non è la prima volta che si arriva sull’orlo del precipizio: il tetto al debito è già stato innalzato 74 volte. Il punto del contendere è sempre lo stesso: i repubblicani rifiutano di approvare ulteriori aumenti delle imposte e, finché non lo fanno, Obama non darà seguito al suo piano di razionalizzazione dei programmi di assistenza sociale (che prevede anche interventi di riduzione di spese come quelle per il Medicare, in rapida crescita). La contrapposizione è dunque sempre la stessa: meno tasse (sui ricchi) contro più servizi (per i più poveri).
Questo apre il capitolo del non unanime sostegno dell’elettorato alla riforma sanitaria, volta ad assicurare un’assicurazione contro la malattia per il 15% degli americani attualmente senza copertura: un atteggiamento abbastanza incomprensibile visto dall’Europa. Eppure la parte dell'elettorato americano che si oppone all'estensione della copertura sanitaria è rilevante e pare in crescita: alla fine della presidenza Reagan il 71% della popolazione riteneva che lo stato dovesse prendersi cura della salute della parte di popolazione più povera, scesa l’anno scorso al 59%. E' un tema troppo complesso per essere trattato in poche righe, ma il nocciolo della questione è così riassumibile. La riforma sanitaria obbliga le assicurazioni a offrire a ciascun cittadino una copertura sanitaria a prezzi ragionevoli, indipendentemente dallo stato di salute (non possono cioè rifiutare una copertura alle persone che siano già malate al momento della stipulazione del contratto). Questo avrebbe il rischio di aumentare la quota delle persone con problemi di salute, le uniche con interessi immediati alla copertura, fra gli assicurati (un noto problema di "selezione avversa"); il che metterebbe a rischio la sostenibilità finanziaria di ogni compagnia di assicurazione. Per evitare ciò, la legge obbliga ciascun cittadino ad acquistare un’assicurazione sanitaria, pena il pagamento di una penale. Persone giovani e sane, che non avrebbero dunque acquistato una polizza assicurativa, si trovano così a dover sussidiare le persone con salute più fragile, che sarebbero state altrimenti inassicurabili. L’obbligo di assicurarle, inoltre, facendo aumentare i costi delle società di assicurazione, farebbe aumentare anche i premi per tutti. Di qui nasce l’opposizione alla riforma. (a. s.)
Sulla questione dello shutdown e le sue conseguenze sull'economia mondiale, Anna Maria Simonazzi, della redazione di inGenere.it, ha partecipato ieri a Il Mattino di Radio Popolare Network, clicca qui per ascoltare il podcast.