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La conoscenza si forma attraverso le parole. Con il glossario di Prossima inGenere vuole comporre un lessico minimo del mondo digitale. Molte espressioni ormai entrate nell'uso infatti restano spesso opache nel significato, il nostro obiettivo è quello di renderle più trasparenti. Oggi parliamo di filter bubble

Filter bubble

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Credits Unsplash/Anton Maksimov
glossario filter bubble

Prestito integrale dall'inglese composto dai sostantivi filter (filtro, filtraggio) e bubble (bolla), traducibile in italiano con "bolla dei filtri" o "di filtraggio" – nel linguaggio comune, per abbreviare, "bolla" – indica l'ambiente virtuale che come utenti definiamo attraverso le preferenze che esprimiamo con i nostri comportamenti online: dalla posizione geografica dalla quale ci colleghiamo, alle parole che immettiamo nelle stringhe di ricerca, alle pagine web che consultiamo agli acquisti che facciamo sulle piattaforme digitali, fino alle reazioni che digitiamo sui social attraverso pulsanti come "mi piace", "condividi", "segui".

L'espressione, entrata come neologismo in italiano nel 2017, è stata coniata nel 2011 dall'autore e attivista americano Eli Pariser, che l'ha utilizzata nel saggio The filter bubble: what the Internet is hiding from you (Penguin books) – in Italia pubblicato da Il Saggiatore con il titolo Il filtro: quello che Internet ci nasconde – per descrivere "quell'ecosistema personalizzato dell'informazione creato dagli algoritmi".

Con queste parole, Pariser descrive nel suo libro il fenomeno della "personalizzazione" del web, che ha una data d'inizio ben precisa: il 4 dicembre 2009 Google annunciava con un post sul suo blog ufficiale quello che, secondo il blogger statunitense Danny Sullivan, può essere considerato "il più grande cambiamento mai avvenuto nei motori di ricerca". 

Da quel momento, infatti, le ricerche sul web non sono più state uguali per tutti, ma, appunto, personalizzate, in base a degli indicatori (Google ne usa 57) che puntano a capire chi siamo, quali tipologie di siti web ci piacerebbe visitare e quale sarà la prossima attività che faremo online. 

Il criterio di filtraggio usato da ogni bolla di contenuti è quello della "rilevanza" rispetto alle preferenze espresse dall'utente. Il rischio più grande in termini di trasmissione delle conoscenze, e quindi di interpretazione della realtà, è che una bolla racconta soltanto ciò che vogliamo sentirci dire, confermando le nostre vecchie credenze e rinforzando i pregiudizi quando ce ne sono.

Secondo Pariser, la bolla ha tre caratteristiche principali: ci isola, perché al suo interno siamo soli; è invisibile; non scegliamo noi di entrarci. Se, quindi, scegliere di fruire determinati contenuti – come libri, giornali o trasmissioni televisive – è frutto di scelte attive che, come utenti, mettiamo in atto in maniera consapevole, non può dirsi lo stesso per i filtri personalizzati, che, secondo Pariser, subiamo in maniera passiva in cambio dell'utilizzo di servizi che sono solo apparentemente gratuiti, e che paghiamo, in realtà, fornendo informazioni preziose su di noi, ovvero i nostri dati.

Ad esempio, la filter bubble fa sì che la stessa ricerca sul web, effettuata con parole identiche da due utenti diversi, produrrà diversi risultati, personalizzati in base a esperienze, gusti, preferenze, interessi che sono stati registrati dagli algoritmi selettivi.

L'effetto principale della filter bubble è quello di isolare ciascun utente nella sua bolla di informazioni e ideologie, che comporta automaticamente l'esclusione di tutti quei risultati di ricerca – contenuti, pagine web, notizie – che esprimono punti di vista contrari. 

Questo aspetto è molto evidente nell'uso dei social media: il feed - il flusso di contenuti nella nostra homepage – riflette esattamente chi siamo e quello che ci piace.

Uno dei risultati prodotti dalla filter bubble è la creazione delle cosiddette echo chamber (camere dell'eco): l'esposizione ripetuta a contenuti che vanno a confermare le nostre convinzioni agisce come cassa di risonanza, andando non solo a rinforzare ancora di più quelle stesse convinzioni e ideologie, ma inducendoci a credere che non esistano posizioni contrarie; che le altre persone, cioè, guardino il mondo esattamente come lo guardiamo noi. 

La ripercussione più pericolosa delle filter bubble, secondo Pariser, è dal punto di vista della cittadinanza: se, infatti, come consumatori possiamo apprezzare il fatto che ci vengano mostrati contenuti filtrati dalle nostre preferenze, questo non deve tradursi in un accesso limitato a informazioni che potrebbero avere un impatto sulla nostra vita e sulle nostre scelte come cittadine e cittadini. 

Oltre a metterci in allarme, Pariser propone però anche una ricetta per difenderci dai rischi rappresentati dall'esistenza delle filter bubble, ovvero conoscere i filtri utilizzati dai motori di ricerca in modo tale da essere capaci di cercare e richiedere accesso a contenuti "scomodi", che ci facciano cioè, uscire dal confort della nostra bolla.

Riferimenti

"Vedere ciò che vogliamo vedere, le conseguenze della filter bubble", Agenda Digitale

Filter bubble nel Cambridge English Dictionary 

Filter bubble secondo Eli Pariser, Internazionale

Filter bubble come neologismo, Treccani

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