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Punire chi compra sesso? La legge svedese semplifica troppo: nella prostituzione non ci sono solo vittime e carnefici. Ma con il passare degli anni è cambiata parecchio, entrando in un mercato globale e tentacolare. Resta giusto l'approccio: partire dal cliente, il motore del mercato

Com'è cambiato
il mercato delle donne

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L'articolo, molto interessante, di Chiara Valentini mi ha fatto ripensare ai primi anni Settanta, quando il dibattito sulla prostituzione era molto acceso nel nuovo femminismo e in particolare dentro "lotta femminista", come si chiamava il gruppo internazionale di cui facevo parte. Credo che possa essere istruttivo ripercorrere (molto in sintesi) i punti salienti di quel dibattito, che forse può aiutarci a "vedere" meglio le novità che contiene la proposta svedese.

Per cominciare, la prostituzione veniva allora considerata da molte femministe "una forma di violenza dell'uomo contro la donna", come dice appunto l'articolo primo dell'attuale legge svedese. Ma questa forma di violenza non veniva, per così dire, "scorporata" da un contesto più complessivo. La prostituta, secondo le teorie dell'epoca, era l'altra faccia della casalinga (non per niente, si diceva, la moglie non è gelosa della prostituta ma dell'amante). Matrimonio e prostituzione infatti erano, a ben guardare, due istituzioni parallele. Non erano in guerra fra di loro, anzi si alimentavano e completavano a vicenda.

Certo, era un'altra Italia quella di cui sto parlando. E un altro mondo. Un mondo in cui la casalinga riceveva dal marito status sociale (e mantenimento, cioè soldi) in cambio di servizi domestici (fra i quali era compreso il "servizio sessuale", il ben noto "dovere coniugale'"). Il famoso libro di Kate Millett, "Quartetto", parla di questo, mettendo in scena un faccia-a-faccia, un confronto politico, tra prostitute e casalinghe. Ma in realtà sono sempre le femministe, negli anni settanta, ad avere 'parola pubblica' sull'argomento.

E' più avanti, negli anni ottanta, che entrano in campo le prostitute in carne e ossa con la forza delle loro neonate organizzazioni, e il dibattito prende una piega diversa. Perché le prostitute da tempo non sono più le "schiave" per le quali si era battuta Lina Merlin, non sono più sfruttate dallo Stato-lenone come all'epoca delle case chiuse e spesso non hanno nemmeno un pappone: sono e si dichiarano "lavoratrici del sesso". Non vogliono essere considerate delle "vittime", sostengono di non "vendere sesso"  ma di "scambiare" servizi sessuali contro denaro e dicono di aver fatto una libera scelta lavorativa. Libera, almeno, nei limiti delle umane possibilità.

Su questo litigammo a non finire. Il femminismo si divise. Alcune si schierarono con le prostitute, altre restarono sulle loro posizioni (prostituzione=violenza maschile).

Per quanto mi riguarda, io cercai di cambiare prospettiva. Scrissi un libro, "Il cliente", che provava a indagare il desiderio maschile (un vero "continente oscuro"). Scrissi quel libro perché avrei tanto voluto capire il motivo per cui un uomo considera il sesso a pagamento non solo una faccenda normale, ma anche molto appetibile, perfino più appetibile di una 'conquista amorosa' (come diceva una maitresse americana, che di uomini ne capiva: "fica gratis non è buona fica").

Naturalmente si trattava solo di un tentativo di analisi, che suscitò un certo interesse ma che rimase ai margini del dibattito politico in generale e femminista in particolare. Eppure sono ancora convinta che, per affrontare la prostituzione, è da lì che bisogna partire: dalla "domanda", che è il motore del mercato, e non dall'offerta. E la legge svedese lo fa, anche se a modo suo, cioè punendo il cliente. Un rovesciamento d'ottica indubbiamente rivoluzionario e dalla parte delle donne: ma la sanzione penale è davvero efficace quando si affrontano problemi di questo tipo? Continuo a dubitarne.

Dagli anni ottanta, comunque, il mondo è ulteriormente cambiato. E non in meglio, temo. Oggi sono tornate le "schiave del sesso", grazie alla tratta e a varie altre forme di sfruttamento globale del corpo femminile (e non solo). E soprattutto oggi ci sono vari gradi e livelli di prostituzione che hanno bisogno, a mio parere, di approcci differenti. C'è la migrante "trafficata", ci sono le prostitute "locali" - donne che spesso hanno subito abusi e stupri o che vivono in condizioni di disagio sociale, come denunciano le amiche svedesi - ma c'è pure la escort di lusso o la ragazza che esercita il "mestiere" solo per un tempo limitato, magari per pagarsi un viaggio o addirittura gli studi.

Anche nel passato, a dire il vero, esistevano svariate tipologie di prostitute. Ma era il sistema prostitutivo nel suo complesso a funzionare in modo differente (basta leggere il bel libro di Paola Monzini  "Il mercato delle donne", Donzelli editore, per rendersene conto). Sta di fatto che oggi la prostituzione non può più essere considerata come un mercato "unico" e non è nemmeno l'universo "separato" dei tempi delle nostre nonne: è una specie di piovra con molti tentacoli, ciascuno dei quali dotato di una vita propria.

Insomma non vorrei che la legge svedese - pur così innovatrice - alimentasse l'illusione che il "mercato delle donne" sia composto esclusivamente da vittime e carnefici. Che pure ci sono. E quindi è giusto proteggere le prime e perseguire i secondi. Ma oggi come ieri - forse più di ieri - la prostituzione non è soltanto questo. In ogni caso, per capirla e affrontarla, mi sembra che dobbiamo tornare a discuterne, perché le leggi, i regolamenti, le sanzioni non mancano, ma la parola politica e il confronto sì.

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