Le imprese femminili sono discriminate due volte nell'accesso ai finanziamenti. Un'analisi su Italia e Regno Unito mostra perché l’inclusione finanziaria è uno strumento cruciale per ridurre la diseguaglianza di genere nel sistema economico
La parità passa per
l'accesso al credito
L’Italia e la Gran Bretagna arrancano rispetto ad altri paesi avanzati anche per quanto riguarda l’imprenditorialità femminile, nonostante la Gran Bretagna presenti condizioni molto più favorevoli alla nascita di nuove imprese femminili rispetto all’Italia. In entrambi paesi, infatti, ci sono solamente cinque donne imprenditrici ogni dieci uomini, mentre negli Stati Uniti e in Canada, per esempio, ce ne sono otto ogni dieci.
Nel lavoro Investing in women: what women-led businesses in Italy and the UK need[1], finanziato dall’Ambasciata britannica a Roma, con Holly Lewis-Frayne di E-Economics e Paola Subacchi della Queen Mary University of London abbiamo esplorato come le imprese femminili in Italia e in Gran Bretagna finanziano la propria attività.
L’accesso al finanziamento è uno degli ostacoli principali alla creazione e alla crescita di imprese femminili e l’Italia e la Gran Bretagna sono tra i paesi in Europa dove le donne imprenditrici fanno più fatica a ottenere finanziamenti in tutte le fasi di sviluppo dell’impresa, dalla nascita alla crescita.
Un aspetto che differenzia l’Italia dalla Gran Bretagna è che in Italia c’è la legge la Golfo-Mosca che dal 2011 ha introdotto le quote di genere obbligatorie nei consigli di amministrazione delle imprese quotate in borsa, mentre in Gran Bretagna è stato adottato un approccio diverso, basato sulla moral suasion e sull’adozione di codici di comportamento volontari.
Lo studio inizialmente avrebbe voluto verificare se una maggiore presenza femminile nei consigli d'amministrazione delle banche avesse un qualche impatto sulle loro politiche di credito e in qualche modo riducesse la discriminazione che subiscono le imprese femminili. In realtà, rispondere a questa domanda non è stato possibile perché le banche non rendono pubblici dati disaggregati per genere sulla loro clientela business. Più in generale non sono disponibili dati con i quali svolgere analisi comparate a livello internazionale e quindi una delle indicazioni di policy finale del rapporto è proprio quella che sarebbe necessario iniziare a raccogliere dati disaggregati per genere nel settore finanziario, accordandosi a livello internazionale su una definizione comune di impresa femminile.
Nel rapporto, si sottolinea infatti come una maggiore disponibilità di dati disaggregati per genere sia il primo passo per misurare il gender gap a livello di inclusione finanziaria che effettivamente si registra nei diversi paesi e per capire come affrontare tale divario in modo più efficace. L’inclusione finanziaria è uno degli strumenti principali per ridurre la diseguaglianza di genere nel sistema economico, e quindi per raggiungere il quinto obiettivo di sviluppo sostenibile. Infatti è chiaro come la parità di genere passi anche attraverso l’indipendenza economica e come per questa sia essenziale una maggiore e più qualificata partecipazione delle donne al sistema economico, sia in termini di maggiore occupazione che di opportunità nel mondo dell’imprenditorialità.
Per quanto riguarda l’accesso al finanziamento, lo studio evidenzia come le imprese femminili subiscano una doppia forma di discriminazione. In primo luogo, essendo più piccole e specializzate in settori meno produttivi – per esempio nel caso italiano più del 50% delle imprese femminili sono attività come lavanderie, negozi di parrucchiere o di estetiste – risultano essere meno interessanti per gli investitori. Inoltre, le imprese condotte da donne sono percepite come più rischiose per una questione culturale. Il risultato è che le domande di finanziamento da parte delle donne imprenditrici spesso non vengono accolte e quando lo sono, rispetto agli uomini, le donne si trovano a pagare interessi più elevati e a dover accettare condizioni più stringenti, anche se normalmente hanno una quota più bassa degli uomini di crediti in sofferenza – come è stato dimostrato a livello globale dal successo del microcredito che tradizionalmente si rivolge soprattutto alle donne.
Così, in entrambi i paesi, quando vogliono creare un’impresa le donne utilizzano prevalentemente risorse personali o della famiglia. Quando invece ricercano finanziamenti esterni, le imprese femminili italiane fanno ricorso maggiormente al credito bancario mentre quelle britanniche si finanziano prevalentemente sul mercato del venture capital o ricorrono a business angel.[2] Anche in questi mercati però le donne subiscono una forte discriminazione se si pensa che in Gran Bretagna solamente l’1% del venture capital va a imprese con team interamente femminili. L’industria finanziaria è prevalentemente maschile, spesso dominata da una cultura del tipo old boy’s club e gli investitori uomini tendono a finanziare imprenditori simili a loro, e quindi altri uomini.
La buona notizia è che in Gran Bretagna ci sono alcune recenti esperienze di fondi di venture capital e gruppi di business angel di sole donne o con una elevata presenza femminile tra gli investitori, che stanno provando, con successo, a contrastare la discriminazione a cui sono normalmente soggette le imprese fondate e gestite da donne. Per esempio Voulez Capital è una società di VC che investe in start-up create da donne o con almeno una donna tra i fondatori. Sul loro sito viene sottolineato che si tratta di una scelta strategica basata su una reale opportunità economica poiché, come è stato dimostrato in diversi studi, come quello del Boston Consulting Group[3], le imprese dove la presenza delle donne è più elevata ottengono migliori perfomance.
Anche in Italia dove il mercato del venture capital è ancora immaturo, esistono alcune recenti esperienze come Angel 4 Women, una associazione di business angel donne che ha come mission quella di investire in start-up fondate da donne o che si rivolgono prevalentemente al mercato femminile.
Quindi cosa dovrebbero fare le banche e le altre istituzioni finanziarie per migliorare l’accesso al finanziamento delle imprese femminili? Le quote di genere sono uno strumento importante per ridurre le disparità di genere nel sistema economico ma sarebbe auspicabile da parte del mondo della finanza un ruolo più pro-attivo, con misure volte ad eliminare le discriminazioni di genere nel mercato del credito.
Innanzitutto, le banche dovrebbero iniziare a raccogliere e rendere pubblici dati disaggregati a livello di genere sulla loro clientela. Inoltre, dovrebbero analizzare la loro clientela per capire se esiste effettivamente un gender gap nell’accesso al credito e quali siano i servizi da offrire alle imprese femminili, anche intessendo relazioni più attive con i diversi network di donne imprenditrici e professioniste che sono sempre più presenti nel sistema economico.
Esiste un vasto potenziale di talento imprenditoriale non utilizzato tra le donne e le banche e le altre istituzioni finanziarie hanno un ruolo importante da svolgere perché queste risorse contribuiscano alla crescita economica, allo stesso tempo favorendo la crescita dei loro bilanci.
Note
[1] Lewis-Frayne H, Rabellotti R. e Subacchi P., 2020, Investing in women: what women-led businesses in Italy and the UK need, Milano e Londra
[2] Il venture capital è una forma d’investimento ad alto rischio, tipicamente orientata a finanziare startup innovative. Il business angel è una persona fisica che finanzia startup innovative, portando, oltre al capitale, la propria esperienza, le proprie conoscenze e i propri contatti. Il business angel a differenza dei fondi di investimento investe risorse proprie e spesso la sua motivazione non è esclusivamente finanziaria.
[3] Boston Consulting Group, 2019, Want to boost the global economy by $ 5 trillion? Support women as entrepreneurs
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