
Io, a dire il vero, non concilio. Mi limito semplicemente a vivere giorno dopo giorno. Mi spiego meglio: sarà che da quando sono andato via di casa, a 19 anni, ho sempre saputo che ogni mattina c’era da svegliarsi e tenere insieme a tutta una serie di compiti e attività, dallo studio ai tentativi più o meno (meno, meno…) pianificati di evitare che i vari appartamenti condivisi in comune con altri si trasformassero in porcilaie. E sarà che quella vita “da studente” l’ho fatta almeno per altri 15 anni… fatto sta che quando sono andato a vivere con la mia compagna e la sua primogenita, poco prima che nascesse la nostra prima e unica bimba, mi è parso assolutamente naturale continuare a vivere così come avevo fatto fino a quel momento.
Ovvio, le mansioni sono un po’ cambiate: le pile di piatti sono diminuite, mentre sono cresciute quelle dei panni da infilare in lavatrice, poi stendere e infine riporre. Certo, è vero anche che prendersi cura di una bimba è un po’ più complicato (ma anche un filino più gratificante) che stare appiccicato come un’ombra all’ennesimo coinquilino-matricola per evitare che ti vada a fuoco casa ogni volta che dimentica un padellino sui fornelli. Ma insomma, se sono cambiati ruoli, responsabilità e compagni di viaggio, resta che per tirare avanti, secondo me, a ognuno tocca fare un pezzettino di lavoro. E se ti rifiuti di farlo è giusto che i sensi di colpa ti sbranino, mentre la casa va a fuoco, riecheggiando delle urla di terrore del coinquilino-matricola.
Certo, ci sarebbe da aggiungere che se come tanti altri lavoratori forse non proverò mai il brivido di sapere cosa farò da qui ai prossimi tre anni (sempre se farò qualcosa, tra tre anni…), faccio anche parte di una specie privilegiata: del mio tempo infatti, ne dispongo a piacimento. Niente cartellini da timbrare, e se mi va di lavorare di notte e perdere tempo di giorno a scrivere post pieni di incisi su qualche blog, non devo rendere conto a nessuno, purché ovviamente si raggiungano gli obiettivi prefissati in partenza. E questo aiuta molto, perché se ti chiamano dal nido per dirti che la bimba è caduta sotto la mannaia dell’ennesimo bacillo, ci metti un attimo ad imprecare rigorosamente in silenzio, raccattare i tuoi fagotti, passare a ritirarla… e scoprire quasi sempre che in realtà ti hanno rifilato un pacco, perché in fondo anche questa volta era un falso allarme e ora passeremo almeno due-tre giorni a casa, in bilico tra scadenze da rispettare e improbabili spettacolini canori cui assistere, articoli da pubblicare on line, e gustosi pranzetti da cucinare. Se poi aggiungiamo che la mia compagna ha a sua volta tante fonti di ansia per un lavoro come quello nel settore pubblico che è sempre più svilito, deriso e disgregato (semicit.), ma almeno e per fortuna può contare su un minimo di diritti e sacrosante conquiste di civiltà, quali ad esempio quella di poter restare a casa per accudire un figlio malato… se insomma ci aggiungiamo pure questo, tutto sommato tocca riconoscere che siamo anche abbastanza fortunati. Perché in un modo o nell’altro, riusciamo sempre a incastrare impegni ed incombenze, tenendo il treno sulle rotaie e arrivando ogni sera sani e salvi, anche se magari un po’ stanchi, in stazione.
Detto questo, ci tengo a precisare che non faccio affatto tutto quello che c’è o ci sarebbe da fare. Di stirare ad esempio non se ne parla proprio, ma almeno lì con la mia compagna siamo pari e patta, visto che non lo fa nemmeno lei, con buona pace dei nostri outfit (l’importante, ho letto una volta mi pare su Facebook, è stendere bene il bucato…). E se in cucina sono un maniaco dell’ordine, appena varcata la sua soglia per me è quasi scontato che il resto della casa potrà sopravvivere intatto e come per magia, da un giovedì all’altro (è il giorno in cui una collaboratrice viene a fare il grosso del lavoro di pulizia e messa in ordine), senza che ci sia granché da fare, se non forse raccattare le quintalate di giochi che la bimba riesce a disperdere ovunque. Per non parlare di tutti quei lavori che fanno tanto maschio in canottiera: io una mensola non la so mica attaccare, al massimo ho imparato a montare le cassettiere più basic dell’Ikea, e se mai un rubinetto gocciola o la macchina ci sorprende con una ruota a terra, per me l’unica soluzione è attaccarmi implorante al telefono alla ricerca di aiuti. Insomma, di compiti a casa ne faccio, ma tanti altri potrei imparare a farne, dando meno per scontato che ci sarà sempre e comunque qualcuno a mettere pezze dove io neanche mi sogno di arrivare (siamo tutti matricole di qualcun altro…). Poi per fortuna, mi scatta implacabile l’istinto di conservazione, e mi dico che fino a quando non ce ne sarà bisogno, è bene dedicare quanto più tempo possibile alle attività davvero gratificanti.
Vabbè, sto divagando, e allora un’ultima cosa e poi la smetto. A Bologna, città in cui vivo da quasi 15 anni, se uno entra in un posto e fa una sparata, si becca dello sborone: colui che pur di farsi notare è disposto ad alzare la voce e raccontarla un po’ esagerata. Ebbene, ripensandoci, all'inizio di questo pezzo ho sboroneggiato un pochino: “io non concilio”, ho detto spavaldo, quasi volessi marcare chissà quali differenza con gli altri ospiti che mi hanno preceduto o mi seguiranno. In tutta sincerità però, io davvero faccio fatica a pensare di essere uno che concilia, semplicemente perché nuoto in questa acqua da una vita, e tutto quello che faccio mi sembra semplicemente normale. Se però qualcuno si prende la briga di aprire un spazio per raccogliere testimonianze di questo genere (a proposito, grazie per il bel lavoro che fate…), mi viene il dubbio che quella che io chiamo normalità forse non è poi mica così normale. E alla fine anche testimonianze come la mia, per quanto mi sembri incredibile, possono essere un minuscolo contributo per far sì che una parola come conciliazione, declinata al maschile quanto al femminile, possa entrare sempre più nel nostro vocabolario quotidiano. Visto che la conciliazione dovrebbe essere nient’altro che l’ossigeno invisibile nel quale provare a vivere, possibilmente nel migliore dei modi, le nostre esistenze.
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