Politiche

Work life balance: cosa cambia con la riforma per i congedi di paternità obbligatori, e cosa prevede la nuova normativa in materia di copertura economica e trasferibilità dei congedi parentali

Congedi di paternità,
a che punto siamo

8 min lettura
Foto: Unsplash/ Kelly Sikkema

L’approssimarsi della scadenza per la trasposizione in Italia della direttiva europea sul work-life Balance, direttiva 1158 del 2019, fissata al 2 agosto 2022, ha indotto l’emanazione del decreto legislativo 105 del 30 giugno 2022.[1] L’architettura del decreto ha seguito una linea minimale consolidando misure già sperimentate con le ultime leggi di bilancio, pur con aggiustamenti migliorativi, ma senza attuare pienamente i principi fondamentali del diritto eurounitario che, coniugando l’eguaglianza tra uomini e donne sul lavoro e la condivisione tra lavoro e cura familiare, imporrebbero un più complessivo adeguamento dell’organizzazione sociale e del lavoro.[2] Molte disposizioni della riforma incidono su quelle del Testo Unico sulla maternità e paternità (decreto legislativo 165/2001 e successive modifiche), riformulandone alcune e integrandole in senso migliorativo, come anche della legge 104/1992 sulla tutela delle persone con disabilità, mentre altre disposizioni, come si vedrà, lasciano diverse perplessità.

Il congedo “obbligatorio” di paternità

Una delle principali innovazioni della riforma è costituita dal riconoscimento del diritto al congedo di paternità a titolarità autonoma, introdotto sperimentalmente con la legge Fornero del 2012 e di durata progressivamente estesa fino a 10 giorni, ma condizionato dall'approvazione delle leggi annuali di bilancio. Si è così colmato finalmente il limite dell’assetto normativo precedente che riconosceva al padre solo il congedo di paternità “in via suppletiva” nel caso di assenza, o impossibilità della madre a prendersi cura del figlio. Un’altra novità riguarda la sua estensione nei confronti dei pubblici dipendenti in precedenza esclusi.[3]

Il congedo mantiene la durata di 10 giorni lavorativi, conforme a quella prevista dalla direttiva,[4] ed è fruibile anche in contemporanea al congedo obbligatorio della madre. È confermata la misura del trattamento economico pari al 100% della retribuzione, più favorevole rispetto a quello riservato alla madre (80%), ma giustificato quale “azione positiva” volta a favorire la fruizione effettiva del congedo di paternità, data la sua scarsa utilizzazione.[5]

L’effettività costituisce una delle questioni da sempre aperte in questa materia, e l’appellativo “congedo obbligatorio” cela un’ambiguità che neppure il recente provvedimento pare risolvere, pur avendo rafforzato l’apparato sanzionatorio nei confronti del datore di lavoro che rifiuti, si opponga, o ostacoli l’esercizio dei diritti di assenza in capo al lavoratore, tra cui quello al congedo di paternità,[6] con conseguenze ulteriori sotto il profilo della mancata possibilità di ottenere, nei due anni successivi alla rilevazione dell’illecito, il rilascio del certificato di “parità di genere” ai sensi dell'art. 46-bis del Codice di pari opportunità, come modificato dalla legge 162/21 (la cosiddetta legge Gribaudo), o di altre analoghe certificazioni previste dalle regioni o province autonome. Si tratta di strumenti indubbiamente utili, che si sommano a quelli derivanti dal diritto antidiscriminatorio – tenuto conto che i comportamenti descritti configurano discriminazioni già vietate dall’ordinamento comunitario e interno – e rafforzano la tutela del lavoratore dipendente, di cui si esplicita il divieto di licenziamento per tutta la durata del congedo. È inoltre importante che la riforma abbia considerato l’esigenza di dare adeguata informazione dei diritti e delle tutele sia ai genitori sia nei confronti dei caregiver, affidando all’Inps e alla Presidenza del Consiglio il compito di promuoverne la conoscibilità e l’utilizzazione mediante servizi digitali dedicati e mediante campagne di informazione.

Resta aperta, sul piano giuridico, la questione relativa al caso in cui sia il padre stesso a rinunciare, per condizionamenti socioculturali o indirette pressioni derivanti dall’ambiente lavorativo. La formulazione letterale della disposizione: “il padre lavoratore si astiene per un periodo di 10 giorni” non muta la natura del congedo obbligatorio di paternità quale diritto potestativo, e dunque rinunciabile, a differenza di quello di maternità che è assistito da un vero e proprio divieto di prestare attività lavorativa penalmente sanzionato. Occorrerà attendere l’evidenza sull’utilizzo del congedo di paternità per verificare la effettiva volontà dei padri di condividere i compiti di cura del neonato.

Un altro nodo importante in materia di congedo di paternità concerne la titolarità che è riconosciuta con riferimento alla paternità biologica, e a quella affidataria o adottiva (art. 27-bis c.4 T.U.). Non è stata accolta la sollecitazione (D. 1158, art. 4 c.2 e 3) circa il suo riconoscimento anche alla figura del “secondo genitore equivalente”. In sede di trasposizione, si sarebbe potuto tener conto della legge 76/2016 sulle unioni civili in modo da evitare di produrre una discriminazione per orientamento sessuale, anche alla luce delle importanti pronunce della Corte costituzionale in tema di “omogenitorialità” e dell’orientamento giurisprudenziale e amministrativo che ammette l’estensione nei confronti del genitore intenzionale dei congedi parentali sulla base del verificarsi di determinati presupposti.[7] 

Copertura economica e trasferibilità del congedo

Per quanto concerne i congedi parentali di 6 mesi fruibili da ciascun genitore, la riforma ha migliorato alcuni aspetti della disciplina previgente, ma per altri versi ne ha significativamente mutato l’assetto. Sotto il primo profilo, il diritto a ottenere la copertura economica del congedo pari al 30% della retribuzione è innalzato fino all’età di 12 anni dei figli (dagli 8 anni precedenti). La copertura economica si applica anche nel caso di prolungamento del congedo spettante in caso di figlio disabile. Altra novità positiva riguarda le famiglie monoparentali: il tetto di durata massima spettante al genitore solo, o esclusivo affidatario del figlio, è innalzato a 11 mesi (dai 10 precedenti).

Non è invece accolta la sollecitazione della direttiva a elevare il grado di copertura in modo da ridurre il disincentivo economico all’utilizzo dei congedi parentali per i padri, tenuto conto che il ricorso più frequente da parte delle madri è indotto anche dal fatto che guadagnano di norma di meno dei padri; pertanto, la loro assenza incide in modo più limitato sul reddito familiare. Il tetto rimane invariato così come la durata della copertura pari a 3 mesi sui 6 consentiti a ciascun genitore.

La riforma ha introdotto una modifica dirompente autorizzando, per la prima volta, la trasferibilità da parte di un genitore della quota dei congedi retribuiti di 3 mesi in capo all’altro genitore, che in tal modo avrà a disposizione 9 mesi complessivi. Ciò stravolge il paradigma di condivisione paritaria finora prevalso nel sistema dei congedi parentali, basato sul modello take it or loose it, in base al quale ciascun genitore ha in esclusiva la propria quota che viene persa se non usufruita. Il testo unico sulla maternità e paternità aveva privilegiato la scelta di mantenere la titolarità separata dei congedi, non consentendone la trasferibilità, alla luce dell’assetto costituzionale che nel tempo ha superato la visione incentrata sulla “esclusiva funzione familiare della madre”, riconoscendo la necessità della sua condivisione da parte del partner e della società.

In sede europea non è mancata una discussione, al termine della quale ha prevalso la visione che ammette la possibilità di trasferire una quota dei congedi, diffusa in alcuni ordinamenti, che tuttavia non impediva al legislatore italiano di mantenere inalterato l’assetto precedente.[8] Il nodo rilevante sollevato dalla nuova disciplina, nonostante formalmente ciascun genitore sia in posizione di eguaglianza rispetto all’altro,[9] è ben noto: di fatto, sono soprattutto i padri a propendere per il trasferimento della propria quota di congedo alle madri secondo la tradizionale ripartizione familiare male bread winner/woman caregiver.

Dai dati sull’utilizzo dei congedi Covid-19 durante la pandemia risulta infatti uno sbilanciamento di questo tipo, con ripercussioni negative nei confronti delle donne sul piano occupazionale e retributivo.[10]

Ulteriore perplessità riguarda il regime economico/normativo dei congedi parentali data la disposizione che esclude il computo dei congedi ai fini della maturazione degli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio,[11] in contrasto con il divieto di discriminazione.[12]

Riferimenti

Cardinali V., Post Lockdown. Rischi di transizione in chiave di genere, Inapp policy Brief 21 novembre 2020

Militello M., Conciliare vita e lavoro, Giappichelli 2020

Peruzzi M., Criteri di distribuzione dei premi di risultato e possibili discriminazioni di genere, Rivista Italiana Diritto del lavoro, 2017, II, 286

Scarponi S., Work-Life Balance tra diritto UE e diritto interno, WP M. D’Antona - Int. 156/21

Zucaro R., Conciliazione vita – lavoro e gender – gap nella cura. L’evoluzione legislativa nel prisma del quadro normativo europeo, Rivista giuridica del lavoro, 2022, n. 2, I, 310

Note

[1] Pubblicato in G.U. del 29.7.22 Serie gen, cfr. Messaggio Inps n.3096 del 5.8.22 e Nota INL n. 9550 del 12 settembre 2022.

[2] Un approccio più esteso caratterizza la legge – delega “Sostegno e valorizzazione della famiglia” n.32 del 7 aprile 2022.

[4] La durata del congedo di paternità è estendibile a 20 giorni in caso di parto plurimo; può essere fruito anche in modo frazionato da 2 mesi prima del parto fino ai 5 mesi successivi, anche in caso di morte perinatale del figlio. Inoltre, può cumularsi con il congedo spettante al padre che subentri al congedo obbligatorio della madre, prolungandone la durata complessiva.

[6] La sanzione amministrativa va da un minimo di 516 a un massimo di 2.582 euro (D.lgs. art. 1, c.2 lett.g).

[7] L’atteggiamento restrittivo seguito non è coerente neppure con il diverso orientamento accolto dal D.lgs.105 nel caso del caregiver, ove è prevalso un approccio più aperto (v. infra).

[8] L’art.5, c.2 D. 1158 stabilisce che gli Stati Membri provvedono affinché 2 mesi di congedo parentale (sui 4 previsti n.d.r.) non possano essere trasferiti. Per la ricostruzione del dibattito sul testo della norma v. Militello (2020: 108-109).

[9] Il nuovo art. 34 stabilisce: “Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 fino al dodicesimo anno di vita del figlio a ciascun genitore lavoratore spetta per tre mesi, non trasferibili, un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione. I genitori hanno altresì diritto, in alternativa tra loro, ad un ulteriore periodo di congedo della durata complessiva di tre mesi, per i quali spetta un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione”.

[10] Cardinali 2020; Zucaro 2022.

[11] Art.42, c.5 del T.U., “sono computati nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione delle ferie, tredicesima mensilità o gratifica natalizia ad eccezione degli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio, salvo quanto diversamente previsto dalla contrattazione collettiva” (D. Lgs.105, art.1, c.1 lett.i) n.4).

[12] Art.25, c.2 Codice pari opportunità: “….Sono discriminatori.. i trattamenti svantaggiosi rispetto alla generalità dei lavoratori derivanti dall’esercizio dei diritti connessi alla maternità, paternità e genitoriali” In materia di premio di risultato cfr. T.Torino 26.10.2016 su cui Peruzzi 2017

Leggi anche

Cosa cambia con la riforma per le persone che lavorano come caregiver