Politiche

Pur essendo il il 47% dei candidati, erano solo il 12% dei capilista. Tuttavia le donne erano anche il 50,5% degli iscritti al voto. L'affluenza femminile alle urne rivela, più che un maggiore impegno politico, la loro preoccupazione per la situazione del paese. E per il loro percorso verso la parità

Deluse ma partecipi.
Le tunisine al voto

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foto Flickr/European Parliament

In Tunisia il 26 ottobre si è votato per eleggere i rappresentati del Parlamento che, per i prossimi cinque anni, terrà le redini del paese dei gelsomini insieme al nuovo presidente, che verrà eletto il prossimo 23 novembre. All’ombra dell’ampia serie di elogi che la Tunisia ha ricevuto da parte di tutta una serie di osservatori internazionali, per l'esecuzione trasparente delle seconde elezioni libere nel corso della sua storia, e soprattutto all’ombra della decantata affluenza alle urne (stimata intorno al 69%) e vista come un indicatore positivo della volontà del popolo a impegnarsi con il sistema democratico nascente, si nascondo però alcuni elementi meno degni di plauso, che hanno caratterizzato queste elezioni. Questi elementi sono sicuramente rappresentati dalle defezioni che si sono registrate lungo tutto il percorso elettorale, in riferimento alla rappresentanza e alla partecipazione di genere.

Infatti sebbene secondo un report realizzato dal Gender Concerns International, ben il 50,5%  degli elettori iscritti al voto in Tunisia sia stato costituito da donne, e sebbene la presenza femminile all’interno dei seggi (in qualità di scrutinatrici) sembrerebbe essere stata ben rappresentata, esiste però un rovescio della medaglia che non è stato adeguatamente presentato. La grande affluenza delle donne tunisine alle urne, per esempio, ha indubbiamente rappresentato l’emergere del fatto che proprio le donne si siano dimostrate più preoccupate degli uomini per la politica del paese: perché?

Sicuramente tra le motivazioni alla base della buona partecipazione femminile al voto, possono annoverarsi da un lato l’aspirazione a raggiungere la stabilità e la sicurezza nazionale, per avere così un contesto sociale più favorevole in cui poter perseguire la propria emancipazione, e dall’altro anche il desiderio di avere un paese in cui la qualità della vita sia più conveniente possibile, in modo da consentire alle proprie famiglie (soprattutto ai propri figli) di vivere una vita dignitosa. Pur potendo assumere queste ragioni come la spinta che è stata alla base di quel 50,5% di tunisine che ha preso parte alle operazioni di voto, un altro fattore motivante è stato però ampliamente espresso dalle donne stesse nelle testimonianze che hanno rilasciato alla Tap (Tunis Afrique Presse). In quasi tutte le testimonianze raccolte, la determinazione delle donne tunisine a voler "far sentire la loro voce", più che da virtuosi intenti di cittadinanza, sarebbe stata spinta dalla profonda delusione verso tutto quanto accaduto nel paese dopo la rivoluzione, soprattutto per ciò che riguarda proprio la questione di genere.

Dalla sfiorata possibilità di vedersi come (s)oggetti “complementari” all’uomo all’interno della nuova Costituzione, passando attraverso il fatto che nel 2011 siano state soltanto 67 le donne che, su un totale di 217 parlamentari, hanno fatto parte dell’Assemblea nazionale costituente, fino ad arrivare alla lampante evidenza che in queste elezioni legislative, pur avendo rappresentato le donne il 47% dei candidati, soltanto il 12% di loro sono state nominate capoliste, le donne tunisine avrebbero così preso coscienza del fatto che, all’interno del processo di transizione democratica del paese, la questione della parità di genere è stata più volte messa in discussione.

Sebbene sia vero che le donne tunisine possono vantare (in tutto il mondo arabo) una condizionedi emancipazione fuori dal comune fin dal 1957 (anno in cui venne promulgato il Codice di statuto personale), è altrettanto vero che ciò non ha potuto garantire un’effettiva uguaglianza di partecipazione al voto e di rappresentanza tra uomini e donne, né sotto Ben Alì né tantomeno dopo la sua caduta. Questa realtà si è quindi direttamente riflessa nella composizione delle liste elettorali presentate per queste elezioni. Tenendo in considerazione proprio il fatto che la percentuale di uomini capo lista (88%) è stata di gran lunga superiore a quella femminile (già citato 12%),  tali liste elettorali, anziché impegnarsi a presentare la promozione di una società che porta avanti la lotta per l'uguaglianza e che propende a favorire la partecipazione politica di tutti i suoi componenti, si sono presentate rafforzando l'idea che le elezioni siano solo una questione di potere, e che il potere sia una questione principalmente maschile.

In un seminariocondotto proprio durante il periodo di campagna elettorale, sul tema "I diritti delle donne in tempo di elezioni e la legge generale in materia di lotta contro la violenza nei confronti delle donne e delle ragazze”,  Nadia Châabane, segretaria di stato per gli affari della donna e della famiglia, ha a più riprese sottolineato che la partecipazione delle donne nella vita politica in Tunisia (anche dopo la rivoluzione) sta continuando a rimanere modesta, mentre dovrebbe essere rafforzata per garantire la piena parità di diritti tra uomini e donne, in particolare a livello di accesso a posizioni decisionali.

Per Châabane infatti, sebbene l’attuale Costituzione preveda l‘affermazione del principio di uguaglianza tra uomo e donna, continua però a manifestarsi la necessità di mettere in atto meccanismi specifici per applicare, a tutti gli effetti, questo principio. In questo senso, in materia di rappresentanza e partecipazione di genere al processo elettorale, il richiamo ad una legge specifica in materia, dovrebbe rappresentare una priorità su cui il prossimo governo nazionale dovrà lavorare nei prossimi cinque anni.

A questo proposito, Laura Baeza, ambasciatrice e capo della delegazione dell'Unione europea in Tunisia ha prontamente dichiarato che l’Ue, in vista di un nuovo programma di cooperazione bilaterale con la Tunisia, stanzierà 7 milioni di euro (dal gennaio 2015) per promuovere la riduzione di ogni tipo di disuguaglianza tra uomini e donne a livello nazionale, regionale e locale. Tale programma di finanziamento poi, prevederà perfino la possibilità di avviare progetti che saranno applicati dalla società civile e che comprenderanno il sostegno alla partecipazione delle donne alla vita politica del paese.

Ragionando quindi da una prospettiva di genere che mira al raggiungimento di uguali diritti e possibilità tra uomo e donna, sembrerebbe proprio che la realizzazione di ciò non sia ancora pienamente avvenuta in Tunisia. A dare ulteriore conferma di ciò, ci sarebbe anche il fatto che proprio la Tunisia è stata classificata al 123esimo posto nel nuovo rapporto del World economic forum sulle questioni di genere, pubblicato lo scorso 28 ottobre. Secondo quanto riportato dal rapporto, la Tunisia non starebbe ancora realizzando buone pratiche di uguaglianza di genere soprattutto per ciò che riguarda l’ambito economico, l'accesso all'istruzione e anche diritto alla salute. Tuttavia, il Paese si colloca bene in termini di parità di genere per ciò che riguarda il confronto con i paesi vicini (Algeria 126simo posto, Mauritania 131esimo, Marocco 133esimo) e al confronto con l’interocontinente africano, classificandosi anche al terzo posto al confronto con l’intero mondo arabo, in cui viene preceduta dal Kuwait (113esimo) e dal Qatar (116esimo).