L’estate di inGenere è ricca di pensieri su orizzonti femministi indirizzati alle ragazze che stanno vivendo il presente e alle donne che vivranno nel futuro. Li abbiamo chiamati "messaggi in bottiglia". In questo, Francesca Bettio ci parla della relazione che le donne hanno con i soldi, tra le pagine di sette scrittrici inglesi del Settecento
Vi portereste Jane Austen sotto l'ombrellone per capire l'economia?
Se rispondete con un sorriso divertito, significa che non avete letto Joanna Rostek, una giovane studiosa inglese che, nel volume Women’s economic thought in the Romantic Age: towards a transdisciplinary herstory of economic thought (Taylor & Francis, 2021), ha scavato in romanzi, pamphlet e memorie di sette scrittici inglesi del Settecento per recuperare una visione dell'economia in un'ottica di genere, che l'allora nascente disciplina economica con la ‘E’ maiuscola ignorava.
Il risultato è che le donne e la disciplina nata con Adam Smith continuano a non piacersi troppo. Nelle 300 istituzioni più prestigiose al mondo per ricerca e gestione dell'economia – università, istituti di ricerca, banche centrali e altre organizzazioni - le donne contavano solo per un terzo alla fine del 2020 e, per ora, non ci sono ragioni forti per anticipare che questo deficit di presenza si sanerà in tempi ragionevoli.
Discriminazione? L'evidenza non manca. Norme sociali? Certo, le donne continuano a essere più amate quando parlano di sentimenti, meno quando parlano di denaro. Diversità di interessi? Il destino delle donne è ancora molto più legato al lavoro che non passa per il mercato, mentre l'economia è tutt'ora ancorata a una misura – quella del Prodotto interno Lordo (Pil) – che non supera i confini del mercato.
Tutto ciò fa capo a questioni di potere dentro e fuori la famiglia, che ancora oggi l'economia affronta solo superficialmente, o maschera dietro una razionalità astratta.
Le letterate, le pamphlettiste, le educatrici inglesi del Settecento avevano la libertà di mettere il potere al centro della loro ricostruzione dell'economia senza frapporvi alcun velo. Una libertà che, paradossalmente, era favorita dai limiti loro imposti.
Tenute fuori dalle istituzioni accademiche fino alla fine dell'Ottocento, le donne in grado di scrivere ricorrevano al genere del diario, alle lettere, al romanzo o ai pamphlet, senza godere dell'autorevolezza dell'accademia, ma senza necessariamente subire le limitazioni e i canoni da essa imposti.
A quell'epoca, peraltro, bastava sottrarsi alla fascinazione della ‘mano invisibile’ che Smith poneva a fondamento dell'economia di mercato per osservare che l'economia del matrimonio era invece fondata su un istituto – la coverture – che disciplinava il potere sulle donne ponendo l'esistenza del marito, appunto, a ‘copertura’ di quella delle mogli, sotto il profilo legale, economico e civile.
Grazie alla coverture, all'atto del matrimonio la personalità giuridica della donna veniva sospesa, ‘consolidata’, secondo i suoi sostenitori, tramite quella del marito, sotto la cui ala protettiva poteva agire.
Sarah Chapone, Mary Wollstonecraft, Mary Hays e Mary Robinson hanno sollevato il velo protettivo della coverture mettendone a nudo i crudi risvolti economici.
Una volta sposata, tutto ciò che apparteneva alla donna diventava di proprietà del marito, a meno che quest'ultimo non le concedesse il permesso di fare testamento a favore di se stessa o di altre persone, che però poteva essere revocato prima della convalida da parte delle autorità ecclesiastiche.
Il marito diventava proprietario anche dei guadagni della moglie, qualora quest'ultima lavorasse, mentre nessuna Corte di Giustizia poteva obbligare il marito a mantenere la moglie, salvo la Magistrate Court, su esplicita richiesta della parrocchia.
Con qualche eccezione, la moglie non poteva citare o essere citata in giudizio, né entrare in un rapporto contrattuale, se non per conto del marito. Ma il ravvisare un vantaggio nel non poter essere ritenuta colpevole è frutto di strabismo, dichiara Sarah Chapone nel pamplet Hardships of Women.
La forte disparità di accesso a risorse e scambi economici fra moglie e marito rendeva molto più difficile per la prima contrarre debiti e soprattutto camuffarli, mentre un pretendente scaltro di una donna di qualche sostanza poteva nascondere facilmente i suoi debiti e pagarli con le proprietà acquisite in sede di matrimonio.
Meglio correre il rischio di insolvenza in proprio che non avere accesso alle risorse, ammonisce Chapone, ricorrendo a un paragone efficace: privare una persona di tutte le sue proprietà per poi esentarla dal rischio di incarcerazione è come privarla di ogni piacere decretando, in compenso, che non debba soffrire alcuna pena.
Ancora più radicale l'analisi che Mary Wollstonecraft intesse nel celebre racconto gotico Maria: or, The Wrongs of Woman. Le storie parallele della ricca ereditiera Maria che si innamora e sposa un uomo sbagliato e della ‘feme sole’ Jemina vengono dipanate in toni drammatici, per dimostrare che in realtà voler sfuggire all'azzardo di essere soggiogata in quanto moglie esponeva al rischio di incappare nella schiavitù propria delle donne sole, nonostante, sulla carta, queste ultime avessero più diritti di quelle sposate.
Complice lo zio, Maria, una giovane di classe medio-alta, sposa George, pur destinando a sé una parte dei suoi beni. Il marito si rivela incline alla truffa, all'adulterio e al libertinaggio e Maria fatica a ottenere da lui il permesso di aiutare finanziariamente membri della sua famiglia, della comunità e perfino la figlia illegittima di lui.
Quando Maria si convince che il matrimonio è completamente fallito, rifiuta di aver rapporti sessuali ancor prima che George, con la legge dalla sua parte, proponga a un amico i favori della moglie in cambio di denaro.
La sfortunata eroina tenta infine di andarsene mettendo mano ai beni rimasti in suo possesso ma, complice la legislazione esistente, il legale del marito riesce a strapparle la figlia legittima e a confinarla in un manicomio. La sua guardiana in manicomio è Jemina, una donna non sposata figlia di una serva sedotta.
Prima di trovare lavoro nel manicomio, per sopravvivere Jemina aveva dovuto lavorare per un rigattiere, prostituirsi, mendicare, rubare e sopportare abusi e stupri in quanto mantenuta. Maria e Jemina sono entrambe donne in gamba, ma l'economia del matrimonio da una parte e le poche opportunità lavorative dall'altra le avvicinano a una condizione di schiavitù.
Casi estremi in un'epoca in cui, nella pratica, la dottrina della coverture era attenuata da vare istituzioni e non sempre rispettata? Non proprio. Nella storia di Maria, per esempio, c'è parecchio della biografia della stessa Wollstonecraft. Ma soprattutto, il rischio di abusi non può essere considerato occasionale quando il proprio destino dipende dalla benevolenza e dalla correttezza di altri.
"Sia dato alle donne egual accesso a proprietà e risorse economiche", chiedevano dunque a voce spiegata Chapone e Wollstonecraft.
Jane Austen è andata oltre questo appello, pur preferendo ai toni drammatici una scrittura destinata a farne una delle figure letterarie più importanti dell'epoca.
Per Austen, l'accesso alla proprietà non basta, poiché serve avere la libertà di gestire proprietà e risorse, e per agire concretamente questa libertà occorre competenza. Eliza Brandon, uno dei personaggi minori del celebre Sense and Sensibility (Ragione e sentimento) è ricca, ma è proprio per via della sua dote che finisce vittima di un matrimonio di convenienza, destinato a sanare i debiti della famiglia dello sposo.
Trascinata in basso dalla negligenza di un marito adultero, cede alla seduzione e forse alla prostituzione, finendo i suoi giorni in una prigione per debitori. A Eliza è stata sottratta la libertà di gestire la proprietà, e questo l'ha condannata a un destino non dissimile da quello di Maria descritto da Wollstonecraft.
Secondo Austen, tuttavia, il salvaguardare questa libertà (quando le risorse ci sono) costituisce solo la premessa, poiché per agirla compiutamente, come si è detto, occorre competenza.
Le molte storie che intessono la trama di Ragione e sentimento sono popolate da donne molto competenti nella gestione di proprietà e affari, e di non pochi uomini che non sono alla pari con loro.
La protagonista del romanzo, Elinor, una maestra di strategica oculatezza per il bene della propria famiglia e di altri, incarna positivamente questo messaggio. Scaltrezza, visione e competenza nel gestire l'economia familiare e gli affari vengono però riconosciute da Austen anche a personaggi femminili moralmente controversi come Fanny Dashwood, che ad alcuni lettori e lettrici potrebbe risultare ‘odiosa’, o ‘ricca ma ingorda’.
Il messaggio è chiaro: sia data anche alle donne la libertà di gestire proprietà e risorse perché, a dispetto dei pregiudizi, non sono da meno degli uomini.
Oltre due secoli dopo la pubblicazione di Ragione e sentimento, viene perciò spontaneo chiedersi se Austen non fosse allora più femminista di quanto lo siano le campagne promosse dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd), dalla Banca Mondiale o dalla Comunità europea per colmare il deficit di alfabetizzazione finanziaria delle donne.
Chiosando la scrittrice, quanta dell'asserita disparità di genere in alfabetizzazione finanziaria è dovuta alla riluttanza a riconoscere che una maggiore prudenza nella gestione del rischio economico-finanziario non va necessariamente svilita come una minore, e quindi inferiore, ’propensione’ al rischio?
Vogliamo ricordarci dell'accusa, non del tutto infondata, di eccessivo testosterone degli operatori finanziari nello scoppio della crisi finanziaria del 2008? E se può suonare come una provocazione, a sostegno di quest'ultima affermazione va ribadita l'autorevolezza che Ragione e sentimento ha acquisito fra gli stessi economisti.
Nel suo noto studio sulla distribuzione della ricchezza dagli albori del capitalismo, l'economista Thomas Piketty utilizza Austen come fonte, mentre Suk-Young Chwe la vede come esperta di teoria dei giochi, uno dei capisaldi dell'economia.
Va detto che, negli scritti delle sette proto-economiste del Settecento raccontateci da Rostek, si avverte una forte enfasi su accesso e gestione della proprietà come frutto della posizione di classe delle scriventi, mentre le donne di classe medio-bassa hanno molta meno voce. Un esito inevitabile quando sono le fonti scritte a nutrire la narrazione.
Ciononostante, si prova un senso di sorpresa di fronte alle molte richieste di carattere universale e di indubbia attualità che compaiono negli scritti delle sette autrici, non ultima la parità di retribuzione.
Nell'opera di Mary Wollstonecraft, Priscilla Wakefield e Mary Ann Radcliffe non manca nemmeno la rivendicazione del lavoro domestico e di cura come attività non ‘naturali’, che richiedono competenze specifiche da nutrire e migliorare con la formazione, da riconoscere e remunerare in modo adeguato.
In un'epoca in cui gli economisti consideravano lavoro solo quello pagato, appare rivoluzionaria, per esempio, la lettera che Mary Lamb, scrittice di libri per bambini, inviò nel 1815 alla rivista British Lady Magazine and Monthly Miscellany, proponendo che il lavoro di cucito fatto dalle donne a casa venisse retribuito.
Dobbiamo molto a queste proto-economiste femministe: appartenenti a un contesto che, per alcuni versi, ci appare come un'epoca remotissima, si sono battute a favore del diritto economico per antonomasia per una donna, l'essere messa in condizioni di poter contare su di sé.
Rileggiamole, non solo per il piacere di unire storia e letteratura, ma anche perché c'è ancora strada da fare sulla via che ci hanno indicato.
Riferimenti
M. Suk-Young Chwe, Jane Austen, Game Theorist. Princeton: Princeton UP, 2013.
T. Piketty, Capital in the Twenty-first Century, Harvard University Press, 2014.
J. Rostek, Women’s economic thought in the Romantic Age: towards a transdisciplinary herstory of economic thought, Taylor & Francis, 2021.