Politiche

Il divario di genere nei percorsi di formazione, di vita e di lavoro in Italia è ancora fortemente marcato a sfavore delle donne. Educare alla parità si pone come un obiettivo irrinunciabile per una società più giusta. Dati e strumenti raccolti in un volume pubblicato da Pearson

Educare alla parità
nell'Italia di oggi

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Unsplash/Zahra Amiri

Nonostante i significativi cambiamenti avvenuti nel corso dell’ultimo secolo, il nostro paese continua a presentare rilevanti asimmetrie rispetto alle esperienze e alle opportunità di donne e uomini, in molti diversi ambiti della vita sociale, dalla famiglia al lavoro, dalla politica allo sport, dai contesti scientifici e tecnologici alle rappresentazioni mediatiche, dall’ambito sanitario a quello economico. Non è un caso che il rapporto annualmente pubblicato dal World Economic Forum relativo agli squilibri di genere nei diversi paesi del mondo ci collochi sistematicamente a notevole distanza dalle nazioni più virtuose, alle spalle anche di molte realtà meno avanzate sul piano socio-economico, ma evidentemente più equilibrate sul versante della parità di genere: l’ultima edizione del rapporto pone l’Italia al 63esimo posto su 156 paesi considerati. La recente pandemia sembra peraltro aver ulteriormente inasprito i divari già esistenti, peggiorando le condizioni di buona parte della popolazione femminile da diverse prospettive. 

Differenze di genere nei percorsi educativi e professionali

Sebbene a lungo le donne siano state escluse dalle opportunità educative, negli ultimi decenni il divario di genere è stato colmato e perfino invertito, tanto che oggi esse in realtà rappresentano la componente maggioritaria della popolazione studentesca nei diversi gradi della filiera educativa, dove sembrano peraltro ottenere risultati mediamente migliori. Ciononostante, le donne continuano a incontrare rilevanti ostacoli nel mondo del lavoro: tra i principali possiamo citare le maggiori difficoltà legate all’accesso, così come i maggiori rischi di uscita e abbandono, spesso legati alla fatica di conciliare la vita lavorativa con gli impegni familiari. Vanno ricordati inoltre i fenomeni della segregazione orizzontale (ovvero della differente composizione di genere di diversi settori e occupazioni, spesso con conseguenze anche sul piano del riconoscimento economico) e della segregazione verticale (ovvero la progressiva riduzione della componente femminile al salire delle posizioni di responsabilità). A tutto ciò si aggiunge il maggiore rischio di restare intrappolate tra le maglie della precarietà, così come di incorrere in molestie e pratiche discriminatorie, con conseguenze critiche per molte donne, soprattutto coloro che avevano responsabilità di cura e condizioni contrattuali meno solide.

I divari di genere presenti nel mercato del lavoro sono in parte riconducibili anche a un altro importante fenomeno che connota le traiettorie educative di ragazze e ragazzi, vale a dire la segregazione formativa, ovvero la tendenza a impegnarsi in certi ambiti disciplinari e non in altri: le donne maggiormente nelle discipline umanistiche e sociali (SSH) e gli uomini nelle materie tecnico-scientifiche (STEM). Se nel corso dell’anno accademico 2019-2020, in Italia, le studentesse rappresentavano più della metà della popolazione universitaria (55,4% su un totale di 1.730.563 iscritti, dati Miur, 2021), esse tuttavia non erano equamente distribuite tra le varie aree disciplinari.

 
In particolare i dati evidenziano un picco di iscrizioni femminili nell’area delle “Discipline umanistiche e artistiche” (78%) e una forte con- trazione nelle aree disciplinari tecnico-scientifiche, tra cui l’area “Scienze agrarie e veterinarie” (47,9%) e “Ingegneria e tecnologia” (30%). Una analoga situazione si rileva se si considerano i dati relativi al conseguimento delle lauree. Nel 2019 le donne costituivano il 56,9% dei laureati, con una presenza maggioritaria nell’area umanistico-artistica (79,5%) e minoritaria nell’area ingegneristico-tecnologica (30%). La divaricazione dei percorsi di studio in base al genere, e in particolare tra ambiti socio-umanistici e tecnico-scientifici, ha rilevanti conseguenze in termini sia di opportunità lavorative sia di riconoscimento economico e sviluppo professionale. Le figure professionali legate all’area Stem risultano infatti maggiormente ricercate dalle imprese, che inoltre sono più propense ad assumere con contratti stabili. Secondo il Rapporto Almalaurea 2020, il tasso di occupazione per le lauree Stem, a cinque anni dal titolo di secondo livello, era pari all’88,3%. Le figure professionali legate all’area Stem risultavano anche meglio remunerate: a cinque anni, le persone laureate in discipline tecnico-scientifiche dichiaravano, in media, di percepire una retribuzione pari al 16% in più rispetto alle altre.

Le asimmetrie nei contesti decisionali

Un ulteriore importante ambito di asimmetria che caratterizza la società italiana è quello relativo ai contesti decisionali, a partire dai luoghi della politica. Come è noto, anche perché se ne è parlato molto recentemente, in occasione delle elezioni alla Presidenza della Repubblica, il nostro paese non ha mai avuto alcun presidente della Repubblica né del Consiglio di genere femminile. Sono state 3 (su 15) le donne a presiedere la Camera, e solo una è stata chiamata a presiedere il Senato.

 
Dalla nascita della Repubblica solo il 5% degli incarichi ministeriali è stato affidato a donne, solitamente con competenze meno rilevanti e prestigiose. Le donne rappresentano invece il 35% di coloro che siedono in Parlamento. Le asimmetrie di genere non riguardano in realtà solo le posizioni di respiro nazionale, ma sono riscontrabili anche a livello regionale, provinciale e comunale. Le donne presidenti di regione sono state fino a oggi solo il 3% e 13 regioni non sono mai state guidate da donne. Nel momento in cui scriviamo, una sola regione ha una presidente donna, mentre la presenza femminile nelle assemblee regionali si attesta al 22,3% (al di sotto del livello europeo, pari al 34,2%). Sono donne solo il 9,2% dei presidenti di provincia, il 21,1% dei sindaci di città metropolitane e il 34% dei consiglieri comunali.
 
Spostando l’attenzione sugli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in borsa, possiamo osservare un aumento della presenza in anni più recenti, dovuto all’introduzione di azioni positive dedicate: anche grazie a esse, alla fine del 2020, la presenza femminile nei CdA di tali aziende raggiungeva il 39%. Contestualmente la presenza di amministratrici delegate presentava tuttavia una lieve flessione, scendendo al 2%. La presenza femminile risulta ancora fortemente minoritaria anche nelle posizioni apicali del mondo finanziario, così come di quello militare, sportivo e religioso.
 

Anche in questo caso la pandemia ha rappresentato una lente di ingrandimento rispetto a questa situazione: la costituzione di una pletora di comitati e cabine di regia al fine di affrontare l’emergenza pandemica ha messo ben presto in luce la fortissima sotto rappresentazione in termini di genere (nella gran parte dei casi le donne erano infatti una componente fortemente minoritaria, quando non erano assenti), che di fatto rispecchia i profondi squilibri esistenti agli apici delle varie istituzioni e organizzazioni coinvolte.

Il persistere della violenza di genere

Nel riflettere sulle articolazioni dell’asimmetria di genere nella società non possiamo non considerare anche la persistente e capillare diffusione del fenomeno della violenza di genere nelle sue diverse articolazioni. Secondo i dati Istat 2014, in Italia una donna su tre ha subìto qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Le forme più gravi sono state esercitate da partner o ex partner, da parenti o amici. Ad esempio, gli stupri sono stati commessi nel 63% dei casi da partner, così come i femminicidi nel 75% da partner o ex partner.

Anche la violenza di genere è stata esacerbata dalla pandemia. Il confinamento forzato durante le fasi più critiche della diffusione del virus ha infatti costretto molte donne a lunghe permanenze in casa con compagni maltrattanti, riducendo la possibilità di sottrarsi alla violenza. In questa fase è stato più difficile per le donne segnalare le situazioni più critiche, così come contestualmente è stato più difficile per i servizi riuscire a intervenire.

Accanto a queste forme più esplicite di violenza, vanno inoltre ricordate le molte altre articolazioni del fenomeno, dalla violenza psicologica a quella economica, fino alle nuove tipologie emergenti, veicolate attraverso i dispositivi digitali e i social media, come il cyberstalking, il revenge porn e gli attacchi di odio, che come è noto colpiscono in misura prevalente le donne (Vox – Osservatorio italiano sui diritti, 2021)

Una ormai ampia mole di studi e ricerche ha messo in luce nel corso degli anni come la maggior parte dei fenomeni evidenziati, e soprattutto delle asimmetrie che li connotano, abbia profonde radici culturali, legate ai diversi ruoli e aspettative sociali associati alla presenza di corpi diversamente sessuati, così come a stereotipi e pregiudizi di genere, radicati nella società e reiterati attraverso i processi di socializzazione delle generazioni più giovani e per il tramite di una pluralità di attori e agenzie di socializzazione: dalle famiglie, ai gruppi dei pari, ai social media, ai modelli di consumo, ai percorsi educativi e formativi.

Questi ultimi svolgono un ruolo particolarmente rilevante, sia per l’influenza che possono esercitare nella riproduzione di modelli e stereotipi tradizionali, sia invece per la loro capacità di sviluppare una consapevolezza critica e di promuovere relazioni più rispettose e paritarie.

Educare alla parità nell'Italia di oggi

Il quadro appena delineato rende evidente che è quanto mai urgente creare sinergie operative tra docenti e discenti affinché la promozione della cultura della parità non sia solo un’intenzione programmatica, ma si trasformi in azioni concrete da implementare in classe, nella pratica didattica quotidiana e nelle scuole di ogni ordine e grado. Il volume Educare alla parità. Principi, metodologie didattiche e strategie di azione per l'equità e l'inclusione (Pearson, 2022) intende, dunque, offrire spunti teorici e indicazioni operative per supportare docenti, studenti e studentesse nella costruzione e promozione di una cultura dell’inclusione e dell’equità. È grazie, prima di tutto, all’azione collettiva dei e delle docenti di ogni ordine e grado che possiamo decostruire i pregiudizi inconsapevoli e gli stereotipi di genere responsabili degli squilibri e delle disuguaglianze formative che i dati statistici relativi al contesto italiano mettono in evidenza in maniera così chiara: quella affidata al personale docente è una responsabilità grande, preziosa, delicata ed estremamente urgente.

Consapevoli dell’importanza dell’intervento che ciascun/a docente dovrà operare all’interno delle proprie classi, veri e propri “laboratori” di parità, ci siamo adoperati per fornire loro degli strumenti teorici e pratici chiari, rigorosi e “operativi”: in tal modo riteniamo di poter contribuire a innescare quel cambiamento che, riverberan- dosi sulle generazioni di oggi e su quelle di domani, porterà all’affermarsi definitivo di una piena parità di genere. Per questo motivo, ognuno dei contributi presenti nel volume è corredato da una serie di spunti operativi finali pensati per docenti di ogni ordine e grado: si tratta di attività, suggerimenti didattici e scintille di attività che ci auguriamo possano accendersi nei diversi contesti scolastici generando azioni di promozione del cambiamento.

Attraverso il suo impianto generale il volume intende, prima di tutto, proporsi come modello operativo-metodologico per affrontare la promozione della parità di genere non in astratto, ma a partire dal contesto attuale di riferimento: per questo prende avvio dalla presentazione e analisi dei dati raccolti attraverso un duplice survey rivolto a docenti italiani nel novembre 2021 per sondare le loro opinioni su processi educativi e diversità, con una particolare attenzione alla presenza di visioni più o meno stereotipate rispetto al genere all’interno dell’ambiente scolastico.

Dopo un’accurata disamina dei dati raccolti attraverso queste indagini, il volume offre una serie di contributi di carattere teorico volti a fornire ai lettori gli strumenti critici più adeguati e rigorosi per inserire il tema dell’educazione alla parità di genere nel suo più ampio contesto scientifico di riferimento.

Estratto da Della Giusta M., Poggio B., Spicci M. (a cura di), Educare alla parità. Principi, metodologie didattiche e strategie di azione per l'equità e l'inclusione, Pearson, Milano 2022