Politiche

Intercettare il cambiamento, comprendere le nuove forme di discriminazione e investire nella parità: il futuro delle donne è nelle politiche su lavoro, conciliazione, diritti. Lo conferma il nuovo Gender policies report dell’Inapp

Il futuro della parità
è nelle politiche

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Photo: Unsplash/Marc-Olivier Jodoin

L’attuale contesto europeo vive una persistente fase di crisi che trae origine dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia, dalla situazione di instabilità geopolitica europea alimentata dal conflitto bellico russo-ucraino, nonché dalla crisi energetica e climatica. In tale scenario le disparità di genere si moltiplicano e pongono ai paesi europei vecchie e nuove sfide a cui le politiche pubbliche dovrebbero trovare risposte capaci di raggiunge l’intera popolazione, composta da uomini e donne. Focalizzando l’attenzione sulle evoluzioni intervenute nel contesto, l'ultimo Gender policies report dell’Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (Inapp) si pone l’intento di indagare le implicazioni di genere che hanno contrassegnato, nel corso del 2022, il mondo del lavoro al fine di contribuire a una sempre maggiore conoscenza dei fenomeni e delle problematiche, e per orientare il dibattito pubblico e scientifico. 

Un'occupazione ridotta e precaria

Il rapporto parte da una necessaria riflessione sul mercato del lavoro dove, nonostante generali miglioramenti rispetto al biennio precedente, la ripresa mostra una persistenza dei gap di genere, riservando alla componente femminile una posizione subalterna. Sebbene i dati Istat relativi a ottobre 2022 mostrino un tasso di occupazione totale pari al 60,5%, una lettura disaggregata per genere mostra che la dinamica di crescita resta caratterizzata per le donne da un'occupazione ridotta e precaria e da un forte ricorso al part-time.

A settembre 2022, il gap di genere tra gli occupati era pari a 18 punti percentuali, il tasso di disoccupazione a 9,2 per le donne contro 6,8 per gli uomini e i tassi di inattività a 43,3 punti per le donne contro 25,3 per gli uomini. In parallelo, l’analisi dei dati Inps sull’andamento dei contratti attivati nel primo semestre 2022, conferma lo scenario di una crescita del lavoro femminile all’insegna della precarietà e della debolezza contrattuale, del regime orario ridotto e conseguentemente di minori redditi. In tale prospettiva, la componente femminile del mercato del lavoro sembra essere connotata da una condizione di debolezza rafforzata, data dalla compresenza di due fattori di criticità: la forma precaria contrattuale e il tempo parziale.

Il lavoro è poco flessibile

Anche i dati sulla conciliazione vita-lavoro evidenziano un mercato del lavoro italiano più rigido della media europea. Le donne, sia in Europa che in Italia, hanno minori opportunità di flessibilità rispetto agli uomini. Al tempo stesso, gli uomini si fanno carico del lavoro durante gli orari antisociali perché si trovano più spesso a dover rispondere alle richieste di flessibilità che arrivano da parte dei datori di lavoro, e riferiscono più spesso di dover adattare i propri orari quotidiani a improvvise richieste aziendali.

Il tema della flessibilità degli orari rappresenta un fattore dirimente in prospettiva di genere perché interseca fortemente il tema della cura e, come dimostra l’analisi dei dati tratti dalla Quinta indagine Inapp sulla qualità del lavoro, rivela un forte legame con la qualità percepita del lavoro: a maggiori margini di flessibilità sono associati più alti livelli di qualità nel lavoro per uomini e donne.

Povertà, lavoro domestico, lavoro sommerso

Il report propone inoltre una lettura di genere e intersezionale della partecipazione dei giovani, mettendo in evidenza come anche a causa di scarsi investimenti pubblici, deficit strutturali che connotano la componente di genere del mercato del lavoro e un sistema consolidato di stereotipi e pregiudizi che accompagna la narrazione sul femminile, il genere rappresenta un elemento di criticità e un fattore di rischio significativo rispetto alla possibilità di scivolare nella condizione di povertà.

Anche il tema del lavoro domestico presenta diverse implicazioni di genere, non solo perché il settore rappresenta il pilastro dell’assistenza del paese ma soprattutto perché si configura quale bacino occupazionale altamente femminilizzato e al contempo caratterizzato da forti elementi di precarietà, basse tutele e bassi salari e da una significativa incidenza del lavoro sommerso. Il settore è in costante crescita: a oggi rileva circa 2 milioni di famiglie quali datori di lavoro e una crescente domanda, particolarmente volta a sostenere le esigenze di cura di persone anziane o malate.

Il futuro dipende dalle politiche

Sul piano delle politiche, il report dedica una riflessione sul ruolo che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) può giocare nel miglioramento della parità di genere, tema integrato nel piano secondo una logica trasversale a tutte le missioni, con l’obiettivo di tradurre operativamente il metodo del gender mainstreaming in una logica sistemica.

Tale approccio, così come delineato nel piano, potrebbe però rappresentare un punto di debolezza nella fase attuativa, laddove l’assenza di missioni specifiche pone criticità rispetto alla misurazione degli effetti. Risulta inoltre essenziale porre attenzione alle dinamiche relative alle deroghe alle quote occupazionali obbligatorie e considerare la necessità di potenziare l’efficienza della pubblica amministrazione nella prospettiva indicata dalle Linee guida sulla parità di genere nell’organizzazione e gestione del rapporto di lavoro.

Fortemente collegate all’implementazione del Pnrr sono le modifiche introdotte dalla legge 162/2021, riferite al reporting aziendale. Recenti studi e ricerche hanno infatti dimostrato il ruolo crescente che gli schemi retributivi basati sui premi di risultato hanno nell’aumentare i differenziali retributivi di genere, rafforzando la consapevolezza che non di rado è proprio nella definizione delle premialità che si consolidano soluzioni potenzialmente in grado di compromettere la concreta attuazione della eguale valorizzazione del lavoro femminile e del lavoro maschile.

Alla luce di ciò, le politiche e gli interventi volti a garantire una maggiore trasparenza salariale assumono rilievo quale elemento conoscitivo necessario per influenzare il contenuto e la portata delle trattative salariali e dei contratti collettivi e supportare le eventuali azioni in giudizio da parte dei lavoratori e delle lavoratrici nei casi di discriminazione. 

Un ulteriore elemento di importante novità è rappresentato dal recente recepimento nel nostro ordinamento della direttiva europea 2019/1158/UE, attraverso il D.Lgs.105/ 2022 che sancisce la messa a sistema della disciplina sul congedo di paternità obbligatorio con una durata pari allo standard minimo fissato a livello europeo, l’estensione ai padri del divieto di licenziamento per la durata del congedo e l’introduzione di meccanismi sanzionatori per i datori di lavoro al fine di garantire la fruibilità del diritto. Sebbene il riconoscimento formale ai padri del congedo obbligatorio rappresenti un importante passo in avanti in termini di policy, non si può non rilevare, con riferimento alla sua esigua durata, la persistenza di un modello stereotipico di genitorialità, nel quale i padri rivestono un ruolo evidentemente secondario.

Comprendere le nuove forme di discriminazione

Nuove forme di discriminazione stanno emergendo nel mercato del lavoro digitale riproponendo le stesse dinamiche già note su genere, razza, etnia, disabilità, età e orientamento sessuale. Il tema della discriminazione algoritmica, generato da una società contemporanea liquida, immateriale e iperconnessa come quella che stiamo vivendo è legato all’uso degli algoritmi da parte delle piattaforme digitali e riguarda la capacità di questi di risentire del sistema di significati, concetti, idee e giudizi (e con essi stereotipi, pregiudizi e atteggiamenti discriminatori) di chi li ha ideati e costruiti.  

In Italia il primo caso di discriminazione algoritmica si è verificato nei confronti dei rider delle app di trasporti e delivery per motivi sindacali e si riferisce al meccanismo di prenotazione delle sessioni di lavoro tramite piattaforma digitale, basate su statistiche relative alla “partecipazione e affidabilità” dei lavoratori. Il tribunale di Bologna ha rilevato una sorta di “cecità” della piattaforma digitale in questione, incapace di distinguere tra ragioni futili e ragioni importanti, come lo sciopero, l’infortunio, la malattia e la maternità.

Verso un lavoro garantito?

Il nuovo rapporto dell'Inapp si sofferma inoltre ad analizzare, in ottica di genere, una proposta che sta suscitando sempre maggiore interesse nel dibattito pubblico sulle politiche di contrasto alla povertà e alla disoccupazione: l’ipotesi dello Stato come occupatore di ultima istanza e la progettazione di piani di "lavoro garantito".  In particolare, la progettazione del lavoro in un programma di job guarantee potrebbe innescare una riflessione cruciale per l’adozione dell'approccio di "social provisioning" avendo, ad esempio, il potenziale per influenzare le norme di genere che sono alla base della distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo e che contribuiscono alla segregazione professionale delle lavoratrici e alla loro discriminazione in termini di retribuzione e benefici.

Il rapporto si chiude con uno spazio dedicato al bilancio di genere. Uno strumento fondamentale per l’attuazione del gender mainstreaming. Tuttavia, nel corso degli ultimi due decenni, le numerose sperimentazioni realizzate, a livello internazionale, nazionale e territoriale, hanno delineato un quadro di ancora forte eterogeneità e frammentarietà delle esperienze, delle metodologie e degli approcci.

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