Politiche

Ci sono padri che si approcciano alla genitorialità con intenzioni completamente diverse da quelle che animavano le generazioni passate. E mentre i dati parlano ancora di forti disuguaglianze tra i ruoli, la letteratura inizia a raccontare questo mutamento

Il grembo dei
nuovi padri

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Il ruolo dei padri è cambiato notevolmente negli ultimi decenni. Da figura di potere e autorità, quella paterna è diventata negli anni recenti una figura che si rapporta con i figli in maniera più complessa anche sul piano emotivo. In questo processo il cambiamento delle donne è fondamentale: la nuova presenza delle madri nel mercato del lavoro, insieme a una visione femminista e più paritaria, hanno creato lo spazio per questo cambiamento. Oggi i ruoli genitoriali sono più intrecciati: la difficoltà che provano le donne a far coesistere il ruolo di madre e quello di lavoratrice, la provano, con forme diverse, anche i padri.

La trasformazione della paternità e della maternità hanno seguito percorsi differenti: i padri cambiano a un ritmo più lento rispetto alle madri. C'è più tensione per loro tra modernità e tradizione: i padri contemporanei mostrano ancora alcune caratteristiche della paternità tradizionale, essendo tuttora molto coinvolti nei meccanismi del lavoro retribuito, con i tempi di lavoro a condizionare la loro presenza in famiglia, l’ambizione e la pressione sociale verso la carriera. Tutto ciò in tempi di grande incertezza economica e precarietà.

Inoltre, raramente possono rifarsi a modelli genitoriali in cui la cura è condivisa, trovandosi impreparati alla sfida della divisione dei compiti, che oggi si manifesta in maniera più complessa, così come il carico delle responsabilità.

Le madri di oggi dedicano più tempo dei padri alla cura, ma questa non è la sola dimensione da considerare. Dedicarsi ai figli significa svolgere molte attività diverse, dalla cura fisica, all’aiuto nei compiti, dall'accompagnarli a scuola alle varie attività pomeridiane, fino al sostegno emotivo. Queste attività sono ancora prevalentemente svolte dalle madri.

La partecipazione paterna oggi aumenta, fino a far scomparire il divario di genere, soprattutto nelle attività considerate piacevoli, quelle che la letteratura economica internazionale considera come le più simili al tempo libero: giocare, leggere, o parlare. La pandemia ha mostrato il perpetrarsi di questi squilibri, anche se la chiusura dei servizi di cura e delle scuole ha costretto anche i padri ad attivarsi e a sconfinare nelle attività a loro più estranee.

Il percorso verso una diffusione capillare di una nuova forma di paternità e di condivisione in cui padri e madri dedicano lo stesso tempo di cura e si occupano delle stesse attività è ancora lungo. A frenarlo c’è una certa resistenza culturale, secondo cui sarebbero le madri le più adatte alla cura, mentre i padri dovrebbero occuparsi del sostentamento economico della famiglia; ma anche dinamiche lavorative in cui gli uomini tendono in maniera ancora molto forte a essere coinvolti. La struttura del lavoro, altamente competitivo, l’orientamento alla performance, e l’organizzazione oraria di lavoro e scuola mal si prestano a questo cambiamento.

I turni dei padri, che meno delle madri accedono a occupazioni a orario ridotto, sono poco compatibili con quelli dei figli.

Almeno a livello teorico, però, il tema del bilanciamento tra tempo di lavoro e temo di cura è visto anche per i padri come una priorità. Secondo la Rilevazione sulle forze lavoro del 2018 fra i genitori occupati con figli sotto i 15 anni è quasi identica e vicina al 35% la quota di padri e madri che lamentano problemi di conciliazione tra lavoro e famiglia. L’orario di lavoro lungo è indicato come l’ostacolo maggiore da più di un quarto di madri e padri. Nonostante questa simile attenzione, sono però le madri lavoratrici poi, nella pratica, a modificare i propri tempi di lavoro per dedicarsi alla cura: nello stesso anno, tra gli occupati con figli di 0-14 anni ha dichiarato di aver apportato un cambiamento nel lavoro attuale per prendersi cura dei figli il 38,3% delle madri occupate, contro l’11,9% dei padri. Mentre le prime principalmente riducono l’orario lavorativo, i secondi tendono a cambiare lavoro.

I nuovi padri, dunque, seppur abbiano fatto molti passi in avanti rispetto ai padri del passato nel ridefinire la paternità, sono ancora ingabbiati, volenti o nolenti, in un sistema che li condiziona e rende difficile svincolarsi dalla tradizione.  

Talvolta sono le storie e la letteratura, più che i numeri, a raccontare di questi cambiamenti. È così che, tra i vari temi che raccoglie il romanzo di Chiara Gamberale, Il grembo paterno (Feltrinelli, 2021) c’è anche la contrapposizione tra due padri: quello della protagonista, Adele, e l’uomo sposato che Adele ama, Nicola, padre di due figli avuti con sua moglie.

Due figure paterne molto diverse, l’uno aderente alla tradizione, con il suo essere taciturno e autoritario, l’altro costantemente richiamato al suo ruolo di genitore, alla partecipazione attiva alla vita dei figli. Entrambi sicuramente molto occupati nel lavoro. Questo libro spinge a fare i conti con il maschile, con la figura paterna in maniera profonda e complessa, così come con altri temi molto attuali per la demografia e la sociologia contemporanea, tra cui la fecondazione assistita.

A emergere in maniera netta è l’importanza psicologica della figura paterna. La maggior presenza, la divisione della cura in maniera equa, lo sradicamento della tensione tra lavoro e famiglia, hanno una dimensione non solo sociale ma individuale molto forti.

A questa rilevanza sarebbe necessario ancorarsi nel definire il cambiamento della paternità, accelerarlo e arrivare a nuove forme di genitorialità più fluide e ancora complementari, ma con nuovi equilibri.