I dati raccolti dallo European Institute for Gender Equality dimostrano che solo attraverso l’introduzione di misure legislative che rendono obbligatoria l’adozione di quote nelle organizzazioni si raggiungono risultati importanti in termini di parità
L'empowerment passa
per le quote in azienda
La parità di genere nel nostro paese rappresenta un obiettivo ancora lontano, soprattutto se lo si confronta con gli altri paesi europei. Se poi si osservano i dati nel tempo il quadro appare più sconfortante. Il Gender Equality Index prodotto dallo European Institute for Gender Equality (EIGE) annualmente evidenzia per l’Italia rilevanti criticità soprattutto nell’ambito del lavoro, delle retribuzioni, e della segregazione orizzontale e verticale, così come nella ricerca e nella formazione.[1]
In Italia, più che in molti paesi europei, la difficile conciliazione fra vita lavorativa e privata costituisce un ostacolo centrale al pieno raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e in particolare dell'obiettivo 5 sulla parità di genere, e stabiliti dai più recenti accordi europei. Le donne, anche in virtù di un sistema di welfare carente, continuano a sostenere il peso delle attività di cura e assistenza, producendo ricchezza non pagata.
Eppure alcune iniziative legislative volte a promuovere l'empowerment femminile sembrano aver ottenuto risultati particolarmente positivi. In particolare la legge Golfo-Mosca (L.120/2011), che ha inserito le quote di genere nelle società quotate in borsa.[2]
La presenza delle donne in posizioni di potere e la loro partecipazione ai processi decisionali anche nei board delle imprese è di particolare rilevanza perché pone le basi per l’adozione di una prospettiva di genere nella definizione e attuazione di politiche e interventi “gender sensitive” nella società e nell’economia. E purtroppo i dati dimostrano che solo attraverso l’introduzione di misure legislative che “obbligano” l’adozione di quote si raggiungono risultati importanti.
I dati raccolti regolarmente da EIGE supportano questa evidenza. L’analisi di EIGE dimostra che i progressi compiuti verso una migliore rappresentazione delle donne nei board delle imprese quotate in borsa nei paesi dell’Unione europea è stata in buona parte la conseguenza dell’introduzione di provvedimenti legislativi adottati da alcuni paesi membri.
Alla fine del 2021 nell’Unione europea, le donne dei consigli di amministrazione delle imprese quotate ha raggiunto il 30,6%. Come si vede nella Figura 1, alcuni paesi, fra cui l’Italia, hanno raggiunto risultati importanti, avvicinandosi o anche superando la soglia di parità.[3]
Figura 1. Donne nei Cda delle imprese quotate borsa (%, EU-27, Ottobre 2021)
Fonte: EIGE, Gender Statistics Database
La crescita è stata molto lenta tra il 2003 e il 2010 (0,5 punti percentuali per anno) e invece è salita considerevolmente tra il 2010 e il 2015 (con una media di 2 punti percentuali per anno), influenzata dall’impatto dell’introduzione di quote per legge in alcuni paesi dell’Unione.
Come evidenzia la figura 2, infatti, l’empowerment femminile cresce nei paesi dove tali iniziative sono state condotte con particolare incidenza in termini di obbligatorietà. L'impatto degli interventi governativi per contrastare gli squilibri di genere diventa evidente se si analizzano i dati per paese e per tipo di azioni intraprese. Partendo da un livello simile, nell'ottobre 2011, la percentuale di donne nei consigli di amministrazione è salita dal 13 al 36,4 % (+ 23 punti percentuali) nel gruppo di paesi che hanno adottato provvedimenti legislativi, al 30,3% (+17,3 punti) nei paesi che hanno attuato misure soft, e solo al 16,6% (+2,8 punti) in quelli che non hanno introdotto nessuna misura. Ciò dovrebbe fungere da campanello d'allarme per i decisori politici negli stati membri in cui persistono notevoli squilibri di genere.
Figura 2. Donne nei Cda delle imprese quotate in borsa, per tipo di azioni intraprese (%, EU-27, 2003—2021)
Fonte: EIGE, Gender Statistics Database
Per quanto riguarda l'Italia, la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa è notevolmente aumentata, raggiungendo quasi il 39% nel 2021 (partendo dal 2% del 2003). Si può dunque ragionevolmente affermare che l’introduzione delle quote di genere previste dalla legge Golfo-Mosca ha generato impatti fortemente positivi, come la figura 3 evidenzia.
Figura 3. Donne nelle imprese quotate in borsa in Italia (%, 2003-2021)
Fonte: EIGE, Gender Statistics Database
Di questo assetto tuttavia va verificata la sostenibilità. C'è bisogno infatti di monitorarne l’impatto anche dopo l’estensione della legge alle società pubbliche, introdotta con la proposta di modifica del codice di pari opportunità tra uomini e donne (Dlgs n.198 dell’11 Aprile 2006). In base a questa proposta viene quindi esteso il criterio di riparto degli amministratori delle società quotate, che trova applicazione per sei mandati consecutivi e, in base al quale, il genere meno rappresentato deve ottenere almeno due quinti degli amministratori eletti (ossia il 40%), anche nelle società costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni e non quotate in mercati regolamentati.
Tale proposta, al vaglio del Senato, introduce inoltre notevoli e sostanziali cambiamenti sia nelle aziende pubbliche che in quelle private. Primo fra tutti, l’obbligo di certificazione di genere delle aziende con oltre 50 dipendenti.[4] In particolare, la certificazione consentirà uno sgravio contributivo dell’1%, nel limite di 50 mila euro all’anno, per ciascuna azienda virtuosa. Ma, come al solito, si devono attendere i Dpcm per capire e definire con precisione i parametri dello strumento.
Gli indizi per un cauto ottimismo sembrano esserci anche considerando la scelta di introdurre meccanismi di eligibilità e premailità negli appalti pubblici per le imprese che assicurano equilibri di genere nei board e nelle condizioni organizzative di lavoro. La certificazione di parità, inoltre, costituisce una delle misure che il governo ha inserito nella missione 5 del Piano nazionale di ripresa e resilienza, intitolata Inclusione e coesione, tra le politiche per il lavoro, e destinando a questa finalità 10 milioni di euro.
Bisognerà ancora una volta valutare se e in che modo queste iniziative risulteranno avere impatti realmente positivi come la Legge Golfo-Mosca ha dimostrato.
Note
[1] Ogni anno, dal 2013, EIGE misura il Gender Euality Index dei paesi europei volto a fornire una valutazione dei progressi sull'uguaglianza di genere. L'indice si basa su una metodologia composita di 31 indicatori afferenti ai domini del lavoro, della finanza, della conoscenza, del tempo, del potere e della salute a cui si è successivamente aggiunto il dominio della violenza contro le donne e l’approccio intersezionale di analisi.
[2] La legge Golfo Mosca ha imposto una presenza di almeno 1/5 di ciascun genere per la prima elezione degli organi successiva al 12 agosto 2012. La quota è poi aumentata a 1/3 per le due elezioni successive, ed ha poi raggiunto il 40% nel dicembre 2019 per le ulteriori tre elezioni.
[3] Attualmente, sette paesi dell’Unione europea hanno implementato dei sistemi di quote di genere per le imprese quotate in borsa: Francia e Italia (40%), Belgio e Portogallo (33%), Austria e Germania (30%), e Grecia (25%)). In Olanda, una proposta legislativa sul 33% è stata recentemente approvata dal parlamento, e sarà implementata a partire dal 2022.
[4] Dal 1 gennaio 2022 inoltre nella proposta di legge si introduce un meccanismo di premialità per le aziende in possesso del certificato di parità nell’ambito della valutazione da parte di autorità di fondi europei, nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini del riconoscimento di aiuti di stato al cofinanziamento degli investimenti sostenuti. Viene inoltre prevista una relazione al Parlamento, da redigere ogni due anni, con i risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni. Viene quindi finalmente istituita una verifica di veridicità dei rapporti presentati dalle imprese e introdotto un meccanismo sanzionatorio amministrativo in caso di inosservanza o dichiarazioni mendaci.
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