L’estate di inGenere è ricca di pensieri su orizzonti femministi indirizzati alle ragazze che stanno vivendo il presente e alle donne che vivranno nel futuro. Li abbiamo chiamati "messaggi in bottiglia". In questo, Barbara De Micheli ragiona intorno ai significati della parola appartenenza intesa come riconoscimento delle diversità
Nella letteratura organizzativa di lingua inglese che si occupa di diversità, equità e inclusione da qualche anno compare con sempre maggiore frequenza la parola belonging, traducibile in italiano con appartenenza.
In italiano, ma anche in inglese, appartenenza è un termine che veicola concetti ambivalenti: da un lato rimanda al possesso, qualcosa ci appartiene quando lo possediamo, apparteniamo a qualcuno o qualcuno ci appartiene quando in qualche modo c’è un vincolo molto forte che ci lega.
Ce lo ricordano le canzoni pop che celebrano l’amore romantico in tutte le sue distorsioni patriarcali, dalla super hit anni '90 di Ambra Angiolini T'appartengo alla recentissima You belong with me di Taylor Swift, passando per I belong to you di Lenny Kravitz.
Ma l’appartenenza funziona come cardine dell’amore romantico soprattutto perché oltre al possesso implica il riconoscimento (Taylor Swift dice tu mi appartieni perché solo io ti capisco) e la reciprocità (Lenny Kravitz canta io appartengo a te, e anche tu appartieni a me).
Infatti, il concetto di appartenenza rimanda all’idea di sentirsi parte, di fare parte, di appartenere a una persona, un luogo, un contesto, un insieme di persone, un'organizzazione, un gruppo, una comunità.
In questa seconda accezione è proprio l’idea del riconoscimento a essere prevalente: la persona (le persone) che amo sono persone che riconosco e che mi riconoscono; il gruppo e il contesto di cui scelgo di far parte sono a misura anche della mia persona, li scelgo anche perché non mi fanno sentire esclusa, estranea, non appartenente.
Sono spazi – fisici, metaforici o virtuali – per me sicuri, perché concepiti, realizzati, e che si trasformano tenendo conto, anche delle mie specificità, con il risultato appunto di farmi percepire di essere accolta, di stimolare il mio desiderio di farne parte e partecipare attivamente.
Al contrario dell’appartenenza troviamo l’estraneità: il sentirsi – o essere costantemente appellati come - stranieri, estranei, non conformi. L’esclusione che viene messa in pratica a partire da caratteristiche individuali immodificabili – il sesso, il genere, l’età, la razzializzazione, il corpo – di cui ci viene fatta colpa (come se ne fossimo individualmente responsabili) mentre risultano stranianti solo perché è il contesto a non tenerne conto quando si definisce o viene definito.
Posso ovviamente sentire di non appartenere, di essere estranea, ai gruppi in cui sono forzatamente inclusa – la famiglia, la scuola, l’organizzazione in cui lavoro, il paese in cui risiedo. E questo senso di estraneità è spesso causa di isolamento, solitudine, malessere, ripiegamento su se stessi, voglia di evasione.
In ambito organizzativo la definizione più consolidata è quella che troviamo nel recente rapporto di Deloitte, dove l'appartenenza (belonging) all'interno dell'organizzazione è il “risultato della sensazione di sentirsi rispettate e trattate in modo corretto, una sensazione che permette alle persone di contribuire in modo significativo al raggiungimento degli obiettivi condivisi”.
Tuttavia, l’attenzione all’importanza del senso di appartenenza viene da più lontano, come spesso accade per i concetti che partono con un forte potere trasformativo e poi si ammorbidiscono strada facendo, per essere assorbiti nella conversazione mainstream e quindi adattati alla consulenza organizzativa.
Sono stati infatti i gruppi di attivisti anti-razzisti americani a porre sul piatto il tema del critical belonging, a partire dal lavoro liminale di bell hooks Belonging. A culture of place (Tradotto in italiano con Sentirsi a casa. Una cultura dei luoghi, Meltemi, 2023), dove l’autrice sostiene che l’appartenenza non è legata soltanto alla presenza nei luoghi fisici ma anche a una connessione emotiva profonda rispetto a un luogo e alle persone che vi si muovono.
bell hooks mette in discussione in modo radicale il mondo per come funziona, le istituzioni per come lavorano, le politiche pubbliche e le politiche organizzative per come si sviluppano e agiscono senza considerare le specificità individuali, e avendo a riferimento uno standard cieco rispetto a genere, età e razzializzazione, che produce spazi in cui chi non è conforme (all'uomo bianco di età media, eterosessuale, giovane, in salute e benestante) non sente di appartenere.
Se nel passaggio da hooks a Deloitte buona parte della critica al sistema si perde, rimane però il valore di una visione di intervento nelle organizzazioni che non si limiti ad azioni singole ma che si impegni nella direzione di un cambiamento strutturale.
Inserire il termine belonging accanto a diversità, equità e inclusione vuol dire superare l’idea che l’inclusione sia un processo di omologazione – si include, si integra chi si conforma – e capire che invece comporta un impegno, più o meno intenso, alla trasformazione del contesto, così da creare spazi in cui le persone e possano esprimere le proprie differenze e specificità.
Lavorare per creare un senso di appartenenza significa allora coinvolgere le persone nelle organizzazioni e sottoporre ad analisi critica le procedure e gli standard organizzativi per valutare se, anche quando sembrano imparziali e neutri, non penalizzino nei fatti i gruppi sottorappresentati.
Si può fare adottando approcci al cambiamento organizzativo complessi e di lungo periodo, come ad esempio i gender equality plans, che permettano di rilevare l’impatto di cambiamento e mettere in atto azioni correttive in collaborazione con le persone direttamente interessate.
Il punto è arrivare alla consapevolezza che il senso di appartenenza si costruisce collettivamente, ascoltando le persone e le loro voci per dare vita a spazi che, attraverso tentativi, errori e correzioni, possano accoglierle nelle loro complessità. È un percorso lungo e faticoso. Ma è già iniziato e non è impossibile.
Riferimenti
bell hooks, Sentirsi a casa. Una cultura dei luoghi, Meltemi, 2023