Un estratto da Donne e sport. Analisi di genere continua (I libri di Emil, 2021) di Gioia Virgilio e Silvia Lolli, la prima economista sanitaria, la seconda insegnante di educazione fisica e sociologa dello sport, entrambe con una lunga esperienza di sportive alle spalle
Riprendiamoci
lo sport

Nel libro Donne e sport. Analisi di genere continua (I libri di Emil, 2021) Gioia Virgilio ha raccolto notizie storiche e non solo italiane dello sport al femminile; ha saputo farlo con lo sguardo culturale di una femminista che da presidente dell’associazione Orlando ebbe l’idea quattro anni fa di coinvolgermi per uno sguardo femminile sullo sport.
Pochissimi in Italia si erano cimentati fino ad allora sull’argomento. Il notevole lavoro fatto per questo libro aiuta la divulgazione per un’ampia conoscenza sull’argomento: è stato finora difficile trovare anche a livello universitario lo spazio culturale che dovrebbe avere il tema donne e sport. Sono molto contenta di essere stata scelta quale esperta nella programmazione degli incontri di Orlando. Mettere a disposizione proprie competenze in questo modo, cioè per approfondire le reciproche conoscenze ed ampliare la discussione e la ricerca non può che far piacere.
Nella lettura della prima parte ho ritrovato, oltre alle ricche informazioni, una costante culturale, un pensiero unico per quanto riguarda l’Italia, che è emerso spesso anche in alcune precedenti presentazioni, fortunatamente non in tutte, perché abbiamo cercato di invitare parterre di atlete, dirigenti, studiose, molto vari. Tuttavia ho constatato spesso, fra gli interventi dal pubblico, che l’egemonia dello sport in Italia diventa solo calcio.
Fin dal 2017 in tutti gli incontri lo sguardo è stato volutamente ampio su tutto lo sport e sull’educazione fisica e sportiva al femminile. L’analisi che ha fatto Gioia in questo libro però ha dovuto tenere conto della situazione, c’è un capitolo corposo dedicato al calcio femminile. Certamente ha avuto un’esplosione mediatica notevole in Italia con i mondiali di giugno 2019, anche forse per la mancanza del calcio maschile rimasto fuori dalle competizioni.
C’era un vuoto nella comunicazione giornalistica perché l’Italia, unico paese al mondo ad avere tre quotidiani nazionali solo sportivi, informa non su tutti gli sport, ma maggiormente sul calcio. Gioia ha raccolto le voci di atlete e appunto le informazioni soprattutto giornalistiche. Per me è la conferma che nell’Italia attuale lo spazio dedicato al calcio è sempre immenso; a livello storico ed internazionale invece la voce di donne sportive riguarda uno spettro di sport molto più ampio.
Quindi possiamo dire che lo sport femminile sta declinandosi ancora una volta in Italia soprattutto come calcio? Fortunatamente noi siamo riuscite a parlare di sport in senso lato, ricercando soprattutto le atlete rappresentanti molti sport. Quindi abbiamo cercato di trasmettere una cultura che per l’Italia non è ancora diffusa a tutti i livelli.
Irma Testa, prima pugile italiana a partecipare alle Olimpiadi, nel film documentario diretto da Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman (2018)
Questa considerazione mi introduce al tema scuola che è il luogo nel quale si fa cultura per tutti. Innanzi tutto la cultura italiana dovrebbe passare da questa idea: “Non ci può essere sport senza educazione fisica e sportiva”. È un principio che però nel nostro paese non passa, non è mai passato. Si è infatti creato un sistema sportivo che ha molta più importanza dell’educazione fisica e sportiva scolastica. Questo ci rende molto diversi da tutti gli altri paesi del mondo e dobbiamo capire la situazione nella quale si colloca oggi anche il tema educazione fisica e sportiva insegnata a classi miste.
Poi ricordo che la materia con l’insegnante specifico esiste nella scuola media superiore di primo e secondo grado. Non c’è la certezza di una programmazione seria nelle scuole primarie; dipende dai maestri; spesso è svolta attraverso la partecipazione del sistema sportivo, con società che propongono a pagamento i loro corsi. Ancora una volta la proposta di legge sull’educazione fisica e l’insegnante specifico alla primaria anche in questa legislatura si è fermata ormai da più di due anni al Senato, dopo il passaggio veloce alla Camera. Non serve neppure più chiedersi il perché.
In realtà, la storia dell’educazione fisica e dello sport ha sempre distinto tra i sessi anche quando l’educazione fisica aveva già più possibilità di mettersi in luce in Italia, come per esempio durante il ventennio fascista. Serafino Mazzarocchi, direttore tecnico dell’Accademia Nazionale di Educazione Fisica, nel suo libro scritto nel XX anno E. F., cioè nel 1942, sottolinea nei confronti di questa educazione: “Malgrado gli insegnamenti lasciatici dal Baumann e dal Monti, e gli ammaestramenti di un secolo di esperienza, la superficialità e la faciloneria resistono ai tempi e di quando in quando riprendono forza e danno vita ad un – caporalismo ginnastico – negatore dei principi superiori che governano l’educazione fisica […]. È vero che è comodo conquistare titoli ed esercitare professione con pochi e superficiali studi; ma è altrettanto vero che non si può sentire, amare ed esercitare l’educazione fisica bene, senza averne comprese le ragioni teoriche generali e le ragioni scientifiche e tecniche particolari”.
Nel testo sono ripresi i principi scientifici già spiegati da Baumann e dagli altri ginnasiarchi italiani come Monti, Mosso, Obermann nell’Ottocento. In particolare, durante l’incontro sulla scuola nel ciclo dei confronti a Orlando, l’attrice Marinella Manicardi ha letto una parte di Emilio Baumann dal suo libro “Ginnastica e Scienza” del 1910, ultima sua opera, nel quale descrive i contenuti e i metodi didattici che si possono utilizzare diversamente fra la ginnastica femminile e quella maschile.
Illustrazione contenuta nel libro di Serafino Mazzarocchi del 1942
Anche nel libro scritto da Mazzarocchi trent’anni dopo ci sono pagine dedicate alle differenze di sesso da tenere in considerazione, soprattutto nel periodo dell’adolescenza. Questo autore segue sostanzialmente le indicazioni della ginnastica dell’inizio del secolo, ma sottolinea due elementi fondamentali che dimostrano l’evoluzione del pensiero e della moda femminile. In primo luogo, quando parla di “spirito” come finalità importante dell’educazione fisica si riferisce alla psicologia, scienza che si andava sviluppando sempre più dopo la “rivoluzione” freudiana; ricorda ad esempio l’attenzione, concentrazione, il coraggio che attraverso gli esercizi di educazione fisica si possono sviluppare nell’allievo, chiamato a seconda dei casi ginnasta al maschile o al femminile. Riguardo al secondo elemento, Mazzarocchi pone attenzione sulle malformazioni posturali derivanti dall’uso delle scarpe a tacco alto, divulgate dalla moda femminile del tempo.
Le differenze sessuali da cogliere nell’educazione sono espresse nel testo mentre esamina gli attrezzi e gli esercizi; al termine, come nel libro di Baumann, sono dedicate alcune pagine nel capitolo sulla didattica: “L’educazione fisica maschile e femminile”. Qui rispetto a Baumann, che è molto più analitico, sono descritti alcuni elementi tipici del periodo fascista e del 1942, quando le leggi razziali erano già entrate in vigore. [...]
Del resto, anche nella storia dell’educazione fisica e dello sport nell’Italia repubblicana le differenze tra le attività maschili e femminili sono continuate. Il libro di Angela Teja descrive la storia dell’educazione fisica femminile dal 1867 fino allo sviluppo del metodo della “ginnastica moderna” ad opera di Andreina Gotta”.
Solo negli ultimi anni lo sport ha consentito campionati femminili in molte federazioni, come abbiamo sottolineato più volte negli incontri in cui le atlete hanno ben descritto queste situazioni storiche. L’educazione fisica e sportiva fino alla fine del Novecento in Italia si è insegnata per squadre separate (maschi e femmine), dopo per classi miste.
Le situazioni attuali descritte nei tanti incontri sono il frutto di esperienze di lavoro; in esse forse già si percepisce la necessità di una vera trasformazione culturale in Italia, e non solo. Riprendo una riflessione che Jennifer Hargreaves, sociologa inglese, ha scritto nell’introduzione del suo fondamentale libro: il 20° secolo ha visto enormi cambiamenti nei modelli di consumo e di leasure, nelle relazioni fra i sessi e nell’importanza data al corpo nella cultura occidentale. Sono alcuni evidenti cambiamenti che portano ad analizzare lo sport al femminile.[1]
Rugby femminile, Malaga, 2017 (Foto: Quino Al/Unsplash)
Le donne nel 19° e nel 20° secolo sono descritte nel suo libro perché per capire lo sport di oggi occorre partire da lì, dalla relazione fra gli sport, il corpo e l’identità personale. Qui sta il nucleo della questione per quanto riguarda l’educazione fisica e sportiva insegnata alla classe intera, soprattutto negli ultimi anni della scuola media superiore.
Praticare questa materia scolastica vuol dire: 1) educare alla corporeità con il movimento del corpo ed educare attraverso di esso; 2) sviluppare la persona rispettando la sua integrità e le sue potenzialità, farla crescere e maturare appunto come persona anche nella sua identità di genere; 3) insegnare a rispettare se stessi e gli altri accettando le differenze per essere in grado di superare pregiudizi dovuti a non conoscenza ed ignoranza nei confronti di chi non conosciamo a fondo.
Il primo approccio nell’incontro con l’altro è sempre attraverso il corpo: vedo, ascolto, percepisco l’altro nella sua fisicità, pur se oggi abbiamo spesso questa conoscenza non solo in modo diretto, ma virtuale. L’obiettivo educativo è sempre quello di dare valore ad ogni studente; come si dice in Italia dobbiamo garantire le pari opportunità, quindi non posso offrire diversità di trattamento e distinguere in educazione fisica e sportiva scolastica fra maschi e femmine, lasciando da parte chi non riesce perché altri sono più capaci a livello sportivo. Oggi in tutte le scuole affrontiamo l’insegnamento della materia alla classe intera, ormai anche tutti i collegi docenti delle superiori di II grado hanno optato per questa soluzione.
Quindi, seguendo i principi sopra descritti devo coinvolgere tutte/i nella lezione, pur tenendo presente l’individualizzazione dell’insegnamento. Tuttavia l’impostazione del lavoro non rende questo sempre possibile. Per esempio, soprattutto nel triennio della scuola media di II grado, quando le differenze sessuali a livello fisico-motorio diventano più evidenti, proporre i giochi sportivi con la palla potrà essere fatto in modo individualizzato, ma senza togliere spazi a nessuno. Non sempre si rispetta la didattica individualizzata, anche perché non è possibile quando le palestre a disposizione sono troppo piccole.
Poi per me, Covid permettendo, i giochi sportivi richiedono un coinvolgimento del gruppo nel suo insieme, quindi non uso troppo questa didattica. La classe che si ha di fronte è molto diversificata e non solo per il genere. Come esposto in alcuni incontri, non mi trovo di fronte a gruppi omogenei. Per quanto possano essere considerati tali anche i gruppi sportivi, certamente questi presentano meno differenze delle classi ove l’insegnamento di educazione fisica e sportiva avviene fra l’altro solo per due ore alla settimana, dalle quali si devono togliere a volte i tempi per gli spostamenti e per cambiarsi in spogliatoio.
A scuola, in palestra, devo tener conto, come ho ricordato in alcune presentazioni e in un mio libro (Lolli, 2013), di almeno quattro età differenti: cronologica (non sempre gli studenti della classe hanno la stessa età, ci sono a volte molti ripetenti); biologica (è quella di maturazione e in adolescenza le differenze fra i generi e fra ogni singolo studente si osservano molto bene); sportiva (in Italia in particolare diventa estremamente importante; le differenze per il tempo vissuto in una specifica disciplina sportiva, anche fra uno stesso genere, possono essere molto elevate); sociale (percezione del corpo nel confronto con gli altri e il necessario rispetto di sé e degli altri; lo sviluppo di questa età assai anticipato può provocare molti disagi di tipo psico-sociale in palestra; gli studenti si “mettono a nudo”, non sono vestiti e coperti, mentre altre/i provocatoriamente esibiscono il corpo con abiti più attillati; in palestra e negli spogliatoi i disagi provocati da età di sviluppo psico-sociale diversi possono essere più visibili).
34esimo meeting internazionale di atletica Montgeron-Essonne (Francia), 2018 (Foto: Nicolas Hoizey, Unsplash)
Quando si decise per la classe unica anche in educazione fisica e sportiva, a differenza di altri paesi, non si fecero ricerche, indagini preliminari neppure fra gli stessi insegnanti di educazione e fisica. Del resto, come già scritto, la cultura italiana, universitaria e non, non ha avuto interesse ad alcun approfondimento serio né alla interlocuzione continua con noi. Si preferisce raccontare biografie di atleti, molto spesso calciatori; analisi e ricerche sono relegate in nicchie ristrette.[...]
Coltivo la speranza che partendo da una rivisitazione culturale dell’educazione fisica e sportiva italiana si possa cominciare ad incidere di più su tutta la società italiana trasmettendo i valori della materia per il benessere psico-fisico e sociale di tutte e tutti e nel rispetto delle differenze non solo fisico-motorie, ma anche psico-sociali. Ci si aspetta, e si sta attuando negli ultimi tempi, di offrire realmente le pari opportunità per tutti e tutte, cioè poter accedere senza discriminazioni culturali/sociali ad attività sportive che pregiudizialmente sono state considerate o maschili o femminili.
Come insegnante di educazione fisica e sportiva posso e dovrei abbattere questi pregiudizi ed offrire perciò ad ogni singolo studente la possibilità di cimentarsi in movimenti ed esercizi finora ritenuti più adatti per un sesso: perché non far praticare ritmica ai maschi? Perché mi devo sentire dire da uno studente nuovo, cioè non abituato al mio modo di far svolgere la lezione pratica: “questi sono esercizi di danza” quando ho richiesto semplicemente un movimento di mobilità articolare combinando il movimento delle braccia con l’elevazione sull’avampiede?
C’è il dovere di insegnare tutte le possibilità dell’educazione fisica e sportiva, della “vecchia ginnastica” per il benessere del singolo, ma anche per il benessere sociale. Devo creare un gruppo, la classe in fondo è un microcosmo sociale, nel quale le differenze devono essere accettate e prima meglio conosciute. L’obiettivo è rispettarsi; si basa sulla conoscenza e sull’integrazione nelle sue varie modalità ed esperienze… L’educazione fisica e sportiva nella scuola dunque potrebbe contribuire moltissimo a far convivere meglio.
La classe mista in palestra dovrebbe dare questa possibilità; conoscersi e riconoscere i propri e gli altrui disagi e difficoltà nell’eseguire un movimento con il corpo; aiutarsi anche psicologicamente a superare i problemi che si incontrano semplicemente perché finora non si sono mai svolti determinati esercizi. Ciò non può che migliorare l’integrazione, cioè il rispetto verso l’altro/a. Ovviamente occorre la capacità di osservazione nelle relazioni che si instaurano nelle classi e in palestra, poi la capacità di intervento, magari anticipando qualsiasi atteggiamento di prevaricazione nei confronti dei meno capaci.
Estratto da Donne e sport. Analisi di genere continua, di Gioia Virgilio e Silvia Lolli, I libri di Emil, 2021. Ringraziamo le autrici e l'editore per la concessione
Note
[1] Sporting females. Critical issues in the history and sociology of women’s sports, Routdlege, London, 1994