Lavoro domestico e salario minimo, qual è la situazione in Italia? Ne parliamo con Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, associazione sindacale nazionale dei datori di lavoro domestico che da anni segue la questione da vicino
Salario minimo e
lavoro domestico

Lavoro domestico e salario minimo, Andrea Zini, qual è la situazione in Italia?
In Italia, a differenza della Francia ad esempio, non esiste un provvedimento che imponga per legge a tutti i lavoratori un salario minimo orario. Nel settore del lavoro domestico esistono, però, dei minimi retributivi al di sotto dei quali non è possibile concordare lo stipendio della collaboratrice o del collaboratore familiare. Questi valori vengono rinnovati di anno in anno come conseguenza della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo o per effetto della contrattazione collettiva.
Da qualche anno a questa parte, però, il tema del salario minimo è tornato al centro del dibattito pubblico e politico anche in virtù dei numerosi provvedimenti che sono arrivati in Parlamento. A che punto siamo?
L’ultimo disegno di legge presentato, adottato come testo base per la discussione e tutt’ora in esame presso la Commissione Lavoro di Palazzo Madama, ha come prima firmataria la senatrice, già ministra del Lavoro, On. Nunzia Catalfo (Atto Senato n. 658 recante “Disposizioni per l'istituzione del salario minimo orario”). Nel fascicolo degli emendamenti che attualmente risultano ancora validi (il termine per la presentazione scadeva il 13 dicembre 2021) c’è anche quello che esclude il comparto domestico dall’applicazione della norma. "Per le prestazioni di lavoro domestico – si legge - rese a favore di persone fisiche che non esercitano attività professionali o di impresa l'importo del trattamento economico minimo orario (…) è definito, sulla base del trattamento economico minimo previsto dal contratto collettivo nazionale del settore, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le associazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (…)".
Quanti sono i contratti collettivi per lavoro domestico attualmente registrati al Cnel?
Pur non avendo dubbi su quale sia il contratto collettivo del settore maggiormente rappresentativo a livello nazionale, ovvero quello sottoscritto dalla Federazione Fidaldo (la stessa che tramite l’Inps raccoglie anche il contributo di assistenza contrattuale F2 di Cassacolf), dobbiamo tuttavia segnalare che allo stato attuale sono registrati al Cnel ben 28 contratti collettivi che richiamano a vario titolo le figure delle colf, badanti e assistenti familiari. Tra questi, ovviamente, non tutti sono in corso di validità magari per assenza di rinnovo o perché attribuibili a sigle sindacali fittizie, che nella pratica non svolgono alcuna attività a sostegno delle categorie che si prefiggono di tutelare e, soprattutto, non risultano materialmente applicati.
Il passaggio a un salario minimo comporterebbe dei costi per le famiglie?
Già dal dal 2019 in occasione di una pubblica audizione al Senato avevamo messo in guardia da eventuali insostenibili aumenti a carico delle famiglie datrici di lavoro domestico qualora fosse stato applicato un salario minimo di 9 euro lordi alle retribuzioni di colf, badanti e baby sitter. Secondo i nostri calcoli in alcuni casi si sarebbe potuto arrivare a pagare una assistente familiare oltre 2 mila euro al mese a fronte di un sistema di agevolazioni fiscali assolutamente insufficiente.
Questo succede anche negli altri paesi dove il salario minimo per il comparto domestico è già esistente?
Non proprio. Solo per citare un esempio, in Francia, a fronte di un salario minimo garantito per legge destinato al lavoratore (che nel 2022 è pari a 10,57 euro l’ora), il datore di lavoro ‘fragile’ può godere di uno sconto sul costo della badante pari a circa il 50%. In Italia si arriva al massimo all’8%. Da qui ben si comprende come la nostra ‘chiusura’ rispetto all’applicazione della legge sul salario minimo al comparto domestico non sia legata a questioni di principio. Al contrario, assicurare una giusta retribuzione ad un lavoratore che svolge mansioni tanto delicate, quali quelle che attengono all’universo dell’assistenza familiare, dovrebbe essere un diritto! Quello che riteniamo inconcepibile è che a farsene carico debbano essere solo le famiglie, già chiamate ad uno sforzo organizzativo ed economico senza precedenti, a fronte di un welfare pubblico totalmente inadeguato ed incapace di soddisfare le esigenze dei singoli.
Quindi cosa proponete per garantire un salario minimo alle lavoratrici del settore domestico?
La nostra posizione nel corso degli anni non è cambiata: nessuna modifica al rialzo dei parametri contenuti nel Ccnl domestico potrebbe essere considerata sostenibile dalle famiglie se non accompagnata preventivamente da una riforma del fisco, con l’introduzione della totale deducibilità del costo del lavoro domestico. Alla luce dell’attuale sistema di agevolazioni fiscali, che prevede solo parziali ed insufficienti forme di detrazioni e deduzioni per il personale domestico, l’unico salario minimo possibile è quello contrattato tra le parti sociali nel Ccnl e che, purtroppo, anche a causa di costi troppo elevati, già non viene accettato in 6 rapporti di lavoro su 10.