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Pratiche femministe: il percorso di un gruppo di operatrici di Bologna nel contrasto alla violenza sulle donne raccontato da un'esperta di studi di genere, curatrice del volume La capacità di trasformare il mondo. Pratiche femministe di servizio sociale (Settenove, 2023)

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Credits Unsplash/Adrien King

"Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto".

Le parole della poeta peruviana Cristina Torres Càceres e le più recenti di Elena Cecchettin – "Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto" – riecheggiano quelle del Manifesto per l'eliminazione del maschio firmato nel 1967 dalla scrittrice femminista americana Valerie Solanas – "A liberare le donne dalla morsa maschile sarà dunque la distruzione totale del sistema".

Epoche, geografie, background diversi. Stessa conclusione.

Ma che fare di questa consapevolezza se la posizione è quella di un servizio sociale?

È la domanda che ha preso corpo durante il lungo percorso di formazione intrapreso da venti operatrici di ASC InSieme, un'azienda pubblica dell'area metropolitana di Bologna che si occupa della gestione degli interventi socioassistenziali, socioeducativi e sociosanitari per un territorio di circa 113.000 abitanti. Assistenti sociali, educatrici, mediatrici culturali e linguistiche, operatrici di pari opportunità, impegnate su diverse aree operative: minori e famiglie, persone adulte, anziane e con disabilità.

Il percorso è iniziato nel 2014 con la Casa delle donne per non subire violenza e Senza Violenza, due associazioni del territorio bolognese impegnate, in stretta sinergia, nel lavoro con donne che hanno subito violenza e con gli uomini che ne sono autori. 

La relazione che si è instaurata con queste due realtà è diventata nel tempo un'alleanza di pensiero che scompagina la neutralità dell'intervento e illumina la possibilità di un posizionamento del tutto originale per un servizio sociale: tenere la parte delle donne, chiedere conto agli uomini, dare credito alle volontà delle figlie e dei figli.

Da questo percorso è nato il Gruppo specialistico violenza intrafamiliare, un coordinamento permanente per il riconoscimento e il trattamento della violenza, oggi un punto di riferimento importante per chi riporta un problema di violenza e per la rete territoriale per il contrasto.

L'idea di cura che connota il servizio sociale ha un carattere prevalentemente riparatorio. È concepita per riequilibrare, compensare, sedare. A partire dalla prevalenza di donne che ne garantisce il funzionamento e che lo frequenta – molto di più degli uomini, anche quando il bisogno non è il proprio. 

Un'idea impastata con la rappresentazione stereotipata del femminile, "naturalmente" predisposto all'accoglienza, al conforto, all'accettazione, alla rinuncia, all'invisibilizzazione. E confermata non solo dalla limitatezza delle risorse dedicate – in linea con tutto quello che riguarda le donne –, ma ancor più dalla sottovalutazione del suo valore politico ed economico e dall'esclusione dai luoghi decisionali. 

Il servizio sociale è il luogo deputato alla riparazione di quello che la macroeconomia del mondo distrugge. Il luogo del fare ciò che non importa pensare, perché è già stato pensato nella dimensione dei massimi sistemi, dalla politica dei vantaggi universali e impersonali. 

Prima ancora di parlare di rivittimizzazione, questa idea è alla base del vittimismo e della vittimizzazione ricorrenti. A partire da quella con cui le stesse operatrici si guardano e guardano chi a loro si rivolge. Uno sguardo che ha represso l'immaginazione e il desiderio, cioè la possibilità di percorrere sentieri non tracciati, inesplorati, nuovi, di contestare il palliativo della parità; di pensare, come scrive Luce Irigaray, "un'organizzazione sociale differente, [un'altra] moneta di scambio, un'economia non di mercato".[1]

Da questa prospettiva, "distruggere tutto" appare l'unico modo per forzare il sistema, per allargare l'orizzonte e dare corpo a una domanda di senso.

"Perché, come donna, devo ‘avere pari diritti’, se là dove mi porta la parità non mi aspetta altro che norme fatte dagli uomini, stress e dipendenza dal denaro e dal capo invece che dal marito? Qual è il valore di una felicità che consiste in quotazioni di borsa in salita e in case-fortezza protette da sistemi di allarme? La parità è un valore che vale la pena perseguire? Cosa significano ricchezza e carriera in un mondo distrutto?".  Così si chiede – e ci chiede – Ina Praetorious nel suo L'economia è cura (Altraeconomia, Milano 2019), prospettando lo scontro di due diverse distruzioni. 

La percezione è che, se non si attiva la distruzione femminista, quella patriarcale annienterà il mondo. Il dominio culturale di un'economia incurante che non esita, in nome della supremazia totale, a devastare programmaticamente tutto: il pianeta e i suoi ecosistemi, gli ambienti di vita, le comunità umane, le singole persone e oltre, verso l'infinito interstellare, attraverso satelliti nucleari ed esperimenti di colonizzazione spaziale.

Parlare in questi termini da un servizio sociale significa farlo da una posizione di esperienza. Al servizio sociale arrivano le vittime del sistema patriarcale che ha costruito questo mondo e che ora lo sta distruggendo. Forse si potrebbe lasciargli l'onere della distruzione, ma non è la distruzione che ha in mente chi crede che un'alternativa sia ancora possibile.

Il libro La capacità di trasformare il mondo, che ho avuto il piacere di curare per Settenove, racconta distruzione e ricostruzione dall'interno di un luogo che lavora quotidianamente sulla distruzione e sulla ricostruzione umana. 

Il luogo è un servizio sociale pubblico e l'inizio del racconto è l'esperienza di specializzazione nel contrasto alla violenza maschile contro le donne. La voce narrante è quella del gruppo specialistico violenza intrafamiliare di ASC InSieme e la narrazione è il concatenarsi di una serie di evidenze. 

Come l'analisi della violenza maschile contro le donne abbia portato a leggerne gli effetti sulla costruzione della disparità sociale; come questa lettura abbia stimolato la critica del modello assistenzialistico e vittimizzante diffusamente interiorizzato; come questa critica abbia svelato la tradizione patriarcale dell'istituzione di appartenenza; come questa scoperta abbia suscitato un posizionamento femminista per la trasformazione di sé e della parte di mondo che ognuna rappresenta.

L'idea di cura raccontata in questo testo comincia dall'esercizio del pensiero.

Non si può concepire la violenza maschile contro le donne senza pensare al sistema che la produce e riproduce. Non si riesce ad andare a fondo di questo pensiero senza considerare il fatto di essere parte di questo stesso sistema. Non si può pensare questo sistema senza appoggiarsi a un'epistemologia alternativa.

Citando ancora Elena Cecchettin e parafrasando una delle sue affermazioni – "i mostri non sono malati, ma figli sani del patriarcato", potremmo dire che le istituzioni sono le sue figlie desiderate e sanissime. 

E se non dobbiamo dimenticare che l'origine dei servizi pubblici è frutto di lotte sociali per la tutela e la cura di tutte e di tutti, è altrettanto importante guardare senza indulgenza a come la pervasività neoliberista li abbia progressivamente svuotati del loro valore politico, rendendoli mere funzioni dell'economia mercantile che non esita a tagliare la spesa pubblica e privatizzare la cura. 

Nel servizio sociale, questa pervasività scredita il lavoro delle operatrici, caricandole di incombenze insopportabili, silenziando le loro idee di sostenibilità e di trasformazione a cui contrappone un management dirigistico, avulso dal contesto, smanioso di imprimere la propria riorganizzazione nella convinzione chiarissima di riuscire a far tornare i conti finanziari e umani. 

È il sistema che definisce la misura di autodeterminazione accettabile, i limiti invalicabili, le regole indiscutibili, il posto che ogni persona deve occupare nel mondo. È il potere che accorda o nega la significatività, l'utilità, il valore (a chi ci lavora); la riabilitazione, l'evoluzione, la realizzazione (a chi vi si rivolge con una richiesta di aiuto).

Il fuoco è acceso, ma perché "bruci tutto" va mantenuto tale; il che non significa solo alimentarlo, ma anche continuare a credere che bruciare tutto abbia senso, vedere oltre il fuoco e cominciare già da ora a ricostruire su fondamenta nuove, perché la devastazione della distruzione non ci getti, a un certo punto, nello sconforto. 

Se ci è chiara la violenza del sistema culturale-economico dominante, l'incuria dilagante, lo sgretolamento delle basi vitali su cui poggia la nostra possibilità di sussistenza, la compromissione della politica, il danno prodotto sui suoi strumenti di tutela, di solidarietà, di giustizia, ci sarà altrettanto chiara la necessità di appoggiarci a un altro paradigma.

Le pratiche femministe sono quelle che sostituiscono il principio della reciprocità a quello della contrapposizione, tipico dell'ordine dualistico patriarcale; che riconoscono il valore dell'interdipendenza, piuttosto che quello dell'individualismo e dell'autosufficienza; che si autoriconoscono la visione e la competenza per trasformare il mondo e che si riferiscono alla genealogia di pensiero che ha acceso il fuoco e lo sta alimentando.

Nell'esperienza raccontata dal gruppo specialistico violenza intrafamiliare di ASC InSieme, queste pratiche prendono la forma di una rielaborazione artigianale dell'approccio delle capacità elaborato dall'economista Premio Nobel Amartya Sen e dalla filosofa statunitense Martha Nussbaum. 

Uno strumento per la promozione dell'empowerment e della agency individuali e collettive con le quali darsi potere su ciò che veramente conta: vita, salute, spazio vitale, relazioni, comunità, formazione, spazio emozionale, spazio progettuale, gioco, politica. 

Dieci valori per dieci capacità che la narrazione declina in una serie di azioni di servizio sociale corredate di domande guida ed esemplificazioni sul doppio piano del lavoro che, per essere credibili e autorevoli, operatrici e operatori devono fare su di sé, e con il quale sostenere i percorsi di consapevolezza e di autodeterminazione di chi si rivolge a un servizio sociale. 

Un modo per muoversi costruttivamente dentro la distruzione e per esercitare il valore politico di una professione di enorme potenzialità trasformativa.

Note

[1] Luce Irigaray, Sessi e genealogie, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007, p. 93

Per approfondire

La capacità di trasformare il mondo. Pratiche femministe di servizio sociale (Settenove, 2023)