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In Italia la fase due nella gestione dell'emergenza innescata dalla pandemia è stata pensata senza le donne. Eppure bastava poco, le esperte non solo esistono, ma sono necessarie per progettare un futuro più giusto

Un futuro
passato remoto

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Foto: The Guardian

Non dare risposte è una risposta, e le risposte del governo italiano stanno tutte nei silenzi del primo ministro.

Nelle scorse settimane sono circolati appelli e interventi ragionati da parte della società civile, proposte autorevoli e qualificate (sostenute da numeri) che hanno messo al centro l’infanzia, le donne, il lavoro di cura, le categorie di lavoratrici e lavoratori rimaste fuori dalle misure per attutire gli effetti della crisi.

Ignorare queste voci significa dare una risposta precisa: l’occupazione femminile non è una priorità, come non lo sono i diritti e le esigenze che restano fuori da task force perlopiù composte da uomini ‘autorevoli’ che evidentemente non hanno nessun interesse ad aprire la gestione della crisi a istanze diverse da quelle che rappresentano.

Eppure, rispetto all’assenza femminile nei gruppi al lavoro sull’emergenza, le donne, e non solo loro, si erano già fatte sentire, e a tutti i livelli. C’è stata l’iniziativa #Datecivoce, sostenuta da più di cento associazioni di donne della società civile che ha seguito la lettera di NoiDonne e Noi Rete Donne indirizzata a Cristine Lagarde e Ursula Von der Leyen per una Europa dei popoli solidale e delle donne. Poi quella della Società italiana degli economisti, che ha sollevato la questione dell’assenza di economiste nel sottogruppo della task force del Ministero per l'Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione. L’intervento dell’ex ministra Roberta Pinotti, che ha proposto che nelle nomine che vengono fatte dalla presidenza del consiglio e dai ministeri ci sia una presenza delle donne di almeno il 40 per cento. E quello di Mara Carfagna in parlamento, per denunciare l’esclusione delle esperte nella progettazione della cosiddetta “fase due” e nelle attività per la ricostruzione: 20 uomini su 20 nel comitato tecnico-scientifico della protezione civile, 4 donne su 17 nella task force guidata da Vittorio Colao.

Un’assenza confermata dalle scelte del governo per il rinnovo della dirigenza delle società controllate pubbliche: come ha denunciato Lella Golfo sul Sole 24 ore del 24 aprile, tra gli amministratori delegati in rinnovo sono stati confermati tutti gli uomini, mentre l’unica donna è stata sostituita da un uomo. Insomma, le donne sono nei consigli di amministrazione, grazie alla legge sulle quote in azienda, o al massimo fanno le presidenti.

Potremmo aggiungere che l’Italia è l’unico paese in Europa in cui le scuole non riaprono, ma i bambini potranno tornare a vedere i nonni – come a dire, lasciateli a loro. Eppure le soluzioni sarebbero tante, dalle solite alternative estive all’organizzazione di servizi in piccoli gruppi di quartiere. D'altra parte l'idea di riaprire le aziende e mantenere chiuse le scuole, rimediando con un'estensione di 15 giorni del congedo parentale e rafforzando i bonus alle baby sitter, può essere venuta in mente solo a un uomo di vecchio stampo che vede i figli per il bacio della buona notte. Il messaggio sembra essere proprio che le donne devono stare a casa per permettere agli uomini di risolvere i problemi del mondo.

Con la costituzione di un irrilevante quanto coreografico “comitato per il Rinascimento” tutto di donne, che non si capisce come e se mai avrà un impatto sulle altre task force, il quadro sembra essere proprio completo: la fase due è stata decisa senza le donne ed è sulle spalle delle donne che cadrà il peso maggiore di questa scelta.

Però le donne sono in prima fila nella gestione pratica dell’emergenza, come sempre. E sul loro lavoro a costo zero si continua a contare comunque. E allora se più della metà della popolazione starà a casa a prendersi cura di qualcuno, mentre l’altra metà disegnerà il nostro futuro, l’unico cambiamento del mondo che questa crisi comporterà, sarà il ritorno a un passato remoto.

Invece ci sarebbe da guardare avanti. E, certo, non è detto, che una task force bilanciata sul genere – che non vuol dire includere una o due donne vicine ai capi, o avere task force di potere discutibile come quella proposta dalla ministra Bonetti – riuscirebbe a rendere evidente al governo che se non riaprono le scuole è un problema per i genitori andare al lavoro, o che il voucher baby sitter serve proprio a poco. Ma è quantomeno ipotizzabile, che coinvolgendo donne, si spera un po’ più consapevoli, la gestione dell’emergenza cambierebbe e non di poco.

Basta notare come alla crisi generata dalla pandemia stanno reagendo paesi governati da donne, dalla Germania alla Nuova Zelanda, alla Danimarca, a Taiwan.[1] O anche solo riconoscere come almeno la metà degli scienziati che hanno contribuito allo studio e all’identificazione di virus come Ebola, Sars e Hiv, siano donne – come si legge in Spillover, il libro di David Quammen sul passaggio dei virus da animali a uomini che già nel 2013 annunciava che il rischio per un’umanità in rapida espansione sarebbe stato quello di imbattersi in un’epidemia ad alto contagio.

È il momento di aprire gli occhi, di piantarla una volta per tutte con la retorica che ipocritamente celebra come fondamentale il ruolo delle donne durante le crisi solo quando serve come welfare a costo zero.

Ma le donne, come ricordava Flavia Zucco tempo fa sulle pagine di inGenere, sono prima di tutto un serbatoio di conoscenze, il potere ha bisogno della loro competenza

Persino una scelta a sorteggio, tra tutte le liste di esperte che sono circolate negli ultimi giorni, avrebbe garantito competenza. Le esperte non solo esistono, ma sono fondamentali per ripensare il mondo e renderlo migliore, per tutti.

Note

[1] Ne hanno parlato Jon Henley and Eleanor Ainge Roy in un articolo uscito di recente su The Guardian, da cui è tratta l'immagine riportata in apertura di questo articolo.