Politiche

"Di mamma ce n'è più d'una", il libro di Loredana Lipperini all'attacco del mito della super-madre. Un viaggio nelle nostre tendenze e nevrosi, tra le fan di un ritorno del maternalismo e l'efficientismo delle "acrobate". Siamo davvero passate dal "vogliamo tutto" al "gli devo tutto"?

Nessuno è perfetto.
Figuriamoci le mamme

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Ha avuto un coraggio notevole Loredana Lipperini, giornalista, blogger molto nota (www.lipperatura.it) e conduttrice di Fahrenheit, la più popolare trasmissione del pomeriggio di rai3, ad affrontare quel tema difficile e dalle troppe facce che è la maternità. In particolare in un paese come il nostro, dominato ancor oggi dalla tradizionale icona del materno oltre che dai molti stereotipi di un mammismo spesso lamentoso e mistificante. Ma d’altra parte il suo recente Di mamme ce n’è più d’una (Feltrinelli, pp. 314, 15 euro) era la conclusione in qualche modo obbligata di una trilogia partita con Ancora dalla parte delle bambine, proseguita con Non è un paese per vecchie e infine arrivata al nodo della condizione femminile, al campo di battaglia più che mai aperto della maternità. O per essere più esatti “delle” maternità, con cui tutte le donne, in positivo o in negativo, si trovano prima o poi a fare i conti. Conti con se stesse, con (o anche senza) un compagno, con le proprie paure e desideri ma anche con i miti e gli interdetti della società in cui vivono, con le sue leggi e la  sua struttura economica, con le immagini veicolate dai media e le tendenze culturali spesso contrastanti e, più recentemente, con le voci della rete.

È dall’America che parte il libro di Loredana Lipperini, per individuare la frattura che, a suo parere, divide le donne “dei nuovi anni ‘10”. Lo scenario è quello di un neo-maternalismo nato appunto negli Stati Uniti, fra l’imperversare di ricettari di cucina e dove le vendite di attrezzi per fare le marmellate a  casa sono cresciute del 135 per cento negli ultimi due anni. E dove molte ragazze, invece di sognare la partenza verso mondi diversi, credono che il luogo magico a cui approdare sia la maternità: come racconta il recente film 17 ragazze, che due registe esordienti, le sorelle Coulin, hanno ripreso da un fatto di cronaca successo nel Massachusetts. Non è difficile capire come l’ondata neo-maternalista abbia parecchio a che vedere con la crisi economica. La donna-madre-di-famiglia, tutta figli e lavoro domestico, deve essere piuttosto rassicurante per una società traumatizzata dalla crisi e dove la natalità da qualche anno ha cominciato improvvisamente a decrescere, se la rivista Time, ricorda Lipperini, è arrivata nel 2012 a pubblicare in copertina, come un’icona di modernità, una ragazza bionda che ha attaccato al seno un bimbo di 3 anni, con il titolo “Sei abbastanza mamma?”. Come è ovvio i pareri contrari a questa mistica materna sono numerosi. E la discussione  si svolge alla luce del sole, anche sulla grande stampa e nelle trasmissioni televisive, oltre che nella rete.

In Italia invece, sostiene Lipperini, la faccenda è più tortuosa. La nuova religione del materno è arrivata anche nel nostro paese, infilandosi in qualche modo nelle sue caratteristiche meno apprezzabili, nel retroterra di un cattolicesimo spesso ostile alle donne e di un machismo ringalluzzito da 20 anni di berlusconismo. Più recentemente, aggiungo io, si muove su un tessuto sociale sempre più frammentato e povero di punti di riferimento, dove la maternità diventa sempre più difficile, fra nidi  drammaticamente insufficienti e con le nostre leggi di tutela che non si applicano o si applicano in forme ridotte all’esercito delle ragazze precarie. Per non parlare delle ostilità crescenti che le mamme incontrano nel mondo del lavoro, perfino al momento di essere assunte e poi quando mettono al mondo i figli. In questo scenario accidentato succedono fenomeni preoccupanti. Invece di cercare una voce comune di denuncia e di protesta, fra le mamme del nostro paese sembra prevalere lo scoraggiamento e la rassegnazione, che può anche essere dissimulata in vari modi. Se la vita reale è sempre più sfavorevole ci si può rifugiare nello spazio virtuale delle immagini: a partire dai matrimoni “da sogno” in microreplica, servizi da conservare e far girare on line fra parenti e amici. O come le foto dei bimbi agghindati come piccoli principi, testimonianze di un consumismo povero e di una vita che non c’è, ma si può provare a inchiodarla con un clic.

Sono molto efficaci questi passaggi del libro di Lipperini. Ma lo sono ancor di più le testimonianze di una guerra dolorosa e ambigua che altre mamme italiane stanno conducendo fra di loro nello spazio dei blog e dei siti e di cui c’è una percezione sociale piuttosto debole. Oggetto del contendere è l’idea stessa di maternità, che per una parte sta scivolando verso una specie di religione del materno e del sacrificio, di matrice cattolica. Non è un caso che un punto dolente sia quello dei primi anni di vita del bambino. Secondo le “maternaliste” meglio lasciar perdere gli asili nido, solo la vicinanza della mamma può assicurargli una crescita equilibrata: e non importa se la pedagogia più avanzata sostiene il contrario. Ma c’è anche l’allattamento, ormai considerato un dovere, magari a oltranza e senza orari fissi: anche se poi nessuno si preoccupa di denunciare che il nostro mondo del lavoro rende difficilissime anche le forme di allattamento più moderate. E ci sono i pannolini usa e getta da bandire e le vaccinazioni da mettere alla porta, come d’altra parte l’epidurale perché non ci avevano detto “tu partorirai con dolore”? Un gradino dopo l’altro, anche con l’aiuto dalle teorie della decrescita, si scivola verso il culto naturalista delle “madri selvagge”. O delle madri interamente dedicate, a fronte di un bambino-piccolo-tiranno. Riprendendo il fondamentale libro di Elisabeth Badinter Le conflit. La femme et la mère (uscito in Italia con l’infelice titolo di Mamme cattivissime) Lipperini ricorda  che al vecchio “vogliamo tutto” delle femministe anni '70 rischia di sostituirsi, per le loro figlie e nipoti, un minaccioso “gli devo tutto”. Un modello peraltro molto ben visto dai governi, specie di centro-destra, che da tempo cercano di scaricare sulle donne i costi di un welfare sempre più carente.

Ma anche le donne dell’altra partita, le più illuminate, che rifiutano di considerare la maternità il centro del proprio destino e pensano che i figli e il lavoro siano due pezzi irrinunciabili dell’identità femminile, non sarebbero del tutto affidabili. Le mamme egualitarie o “acrobate”, come alcune si definiscono, con il loro sforzo di tenere insieme i pezzi diversi della propria vita a costo di fatiche e orari di lavoro assurdi, si presentano comunque come subalterne al modello sociale che vuole le donne pronte a sacrificarsi sempre e in ogni situazione. Si dividono fra i sensi di colpa nei confronti della famiglia e dell’azienda, si difendono con un’alzata di spalle dagli attacchi delle maternaliste, che giudicano retrograde e un po’ fissate, ma senza individuare strade nuove. Che invece ci sarebbero, sostiene Lipperini, come d’altra parte ci sono tanti modi diversi di essere madri. Per esempio c’è il suo.  Arriva oltre la metà del libro il racconto che Loredana fa di se stessa. È un vero pugno allo stomaco la storia di questa ragazza piena di speranze ed entusiasta della naturalità, che una ventina d’anni fa rischia la vita in un parto devastante, dando alla luce un bimbo che vivrà solo 7 giorni. E non è finita perchè un anno dopo anche un secondo figlio le nasce morto. “È colpa di Cernobyl”, le dice una rassegnata infermiera al risveglio dall’anestesia. Invece era colpa di una placenta che non si staccava, di una ginecologa anche lei troppo fiduciosa nella Natura, di esami di routine non fatti. Loredana però non si arrende, riprova ancora, passa quattro mesi della nuova gravidanza a leggere l’Orlando furioso in un letto d’ospedale, seguita questa volta da medici di prim’ordine. Alla fine viene al mondo Carlotta, e più tardi un maschietto. Con un prezzo terribile era diventata mamma. Una mamma però piena di sensi di colpa e assediata dalla paura sul “come” comportarsi con quei piccoli esseri fragili e misteriosi. Ma a poco a poco ha avuto  la forza di capire che la maternità non può essere condotta e nemmeno gestita nel nome di ideologie improbabili e che il modello iper-materno di ritorno è un pericolo da non sottovalutare. D’altra parte la perfezione non esiste, è la constatazione che affida alle sue lettrici e lettori. Ognuna deve costruirsi il suo modo di essere madre, non importa se imperfetta. E lo stesso devono imparare a fare anche i padri, i nuovi arrivati, ancora un po’ confusi, nel terreno della genitorialità condivisa.

Questo mi sembra il punto centrale di un libro perfino troppo ricco di suggestioni e di analisi, ma certamente prezioso in un paese dove è molto difficile liberare la maternità da ipocrisie e rimozioni sempre più soffocanti.