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Oltre il femvertising dell'App economy, interrogarsi sulla relazione tra genere e robot non significa disquisire del sesso degli angeli. Se il genere serve alla società per produrre dispositivi di potere è fondamentare chiedersi, di volta in volta, chi lo detiene

App economy, una
lettura femminista

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Foto: Unsplash/ Rob Hampson

Siamo meravigliate da come le applicazioni del nostro smartphone alleggeriscano la fatica delle nostre esistenze pratiche, e tutte sappiamo che si tratta di esempi di intelligenza artificiale. Tutt’altra faccenda è conoscerne appieno il funzionamento. 

L’intelligenza artificiale decostruisce e ricostruisce la logica del pensiero (reverse engineering) e accumula conoscenze (machine learning) imparando dai nostri comportamenti. Google impara da ciò che cerchiamo ciò che vogliamo trovare. Quando acquistiamo un libro o vediamo un film inneschiamo meccanismi di apprendimento automatici. I nostri gusti culturali non hanno più segreti per le piattaforme digitali di Amazon e di Netflix. Di più, le macchine informatiche promettono di sollevarci dalla fatica quotidiana di gravosi compiti, sia nella produzione di merci che nel lavoro di cura, attraverso il proliferare di oggetti intelligenti. Entro il 2020, per la International Federation of Robotics, 1,7 milioni di robot industriali entreranno nelle fabbriche di tutto il mondo, e 42 milioni nelle case per uso domestico o personale.

Le macchine contengono un’enorme quantità di informazioni (miliardi di parole, immagini e filmati) ma se i dati sono parziali o contengono pregiudizi, le macchine e i loro risultati saranno imperfetti. Proprio come accade all’intelligenza biologica mappata attraverso un paradigma patriarcale e sessista. Una lettura femminista può dirci molto riguardo alle manifestazioni umane dei robot e al loro utilizzo per funzioni sociali. 

Sesso e genere dei robot

Il genere è un aspetto imprescindibile nell’evoluzione delle future forme di intelligenza artificiale. Nella produzione di robot umanoidi si dovrebbe considerare l’intera riflessione sui generi (Lgbtqia), e non si tratta di una questione puramente teorica o di filosofia dei robot, basti pensare che le sembianze date alle macchine umanoidi dell'intelligenza artificiale sono il più delle volte di sesso femminile.

I robot addetti alle reception hanno un aspetto femminile perché ritenuti piacevoli e rassicuranti, confermando lo stereotipo. Soffermiamoci sull’aspetto di Sophia e Geminoid, due robot umanoidi che hanno recentemente destato un certo scalpore. La prima, Sophia, il cui volto ricorda intenzionalmente Audrey Hepburn, può gestire 65 espressioni facciali che accompagnano il suo eloquio funzionalmente fornito da un enorme data base di informazioni. Dopo una gremita conferenza di presentazione, nel novembre 2017, Sophia ha ricevuto la cittadinanza dell'Arabia Saudita, paese dove le donne in carne e ossa godono di pochissimi diritti. Conferire tale onorificenza conferma in pieno quanto il robot umanoide sia stato concepito in modo da risultare subalterno a un ordine fortemente patriarcale. 

In modo altrettanto evidente, Geminoid è la copia perfetta del suo creatore. "Mi collego e parlo, ascolto, vedo attraverso di lui" ribadisce Hiroshi Ishiguro che lo ha realizzato. Dal punto di vista di genere, nessuna preoccupazione. Inoltre, nnostante l'animismo della cultura giapponese tenda a considerare la vita digitale come una nuova specie, non sembra che Geminoid possa rientrare tra le specie diverse da quella umana. L’androide è fatto a somiglianza del suo creatore e già questa mossa, evocando la frase della Genesi "Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza…", è indicativa di un bisogno di onnipotenza tutto maschile, che sommato al narcisismo dello sforzo realizzativo non lascia spazio a prospettive rassicuranti. 

L'automazione, un'arma a doppio taglio

Gli investitori sono costantemente a caccia di nuove e spericolate idee per la creazione di start-up in grado di monetizzare qualsiasi manifestazione esistenziale umana in nome della cosiddetta "App economy": interpretazioni automatiche del linguaggio naturale umano, sistemi di investigazione e tutela della sicurezza personale, e molto altro ancora. Agita da robot digitali che alleggeriscono la fatica delle nostre esistenze pratiche, l’App economy evolve senza soluzione di continuità. Ne sono un esempio le stampanti e le lavatrici intelligenti: se connessi al sistema Dash Button di Amazon, questi dispositivi ordinano in automatico inchiostro e detersivo.

C'è da chiedersi se non dover provvedere ai materiali di consumo dei nostri elettrodomestici sia un reale alleggerimento cognitivo. Difficile rispondere, certo è che spesso il target di riferimento di questi dispositivi è la popolazione femminile, educata e, sempre più allenata a essere consumatrice di gadget tecnologici.

Per le donne l’automazione e la robotica sono un'arma a doppio taglio. I vistosi fenomeni di disoccupazione femminile dipendono dalla scomparsa di lavori, in gran parte svolti da donne, nell’amministrazione e nella manifattura e sono sostituti dall'automazione e da software intelligente. 

Allo stesso tempo emergono nuove subalternità di genere. Prendiamo in esame il clikwork che polverizza il concetto stesso di lavoro. Alcuni esempi esplicativi: le indicazioni trovate dai motori di ricerca in corrispondenza del codice tag sono inserite manualmente da lavoratrici a cottimo sottopagate. Similmente la rimozione dai data base, fatta a mano, delle immagini pornografiche taggate impropriamente. Per Ipeirotis, il mercato del lavoro del clik, gestito principalmente dalle piattaforme di ingaggio automatico come mTurk, sono per lo più utilizzate da donne.

Ma è nell'ambito dell'automazione delle funzioni di cura che l'intelligenza artificiale esprime al massimo la promessa salvifica di alleggerimento della fatica. Sperimentazioni e produzione di applicazioni redditizie e di successo, simulano le funzioni cognitive necessarie a svolgere questo incarico. Uomini e donne che trascorrono la maggior parte del loro tempo fuori casa cercano nell'intelligenza artificiale la soluzione al tanto tempo necessario alla sorveglianza degli anziani e dei bambini.

Per gli anziani, un esempio è MyTherapy, app utilizzata per garantire la regolare assunzione dei farmaci prescritti. L’intrattenimento e la sorveglianza dei bambini dipende da innumerevoli applicazioni che fanno uso di intelligenza artificiale. Pensiamo al ciuccio intelligente munito di sensori: eseguirà ripetute analisi salivari del bambino allo scopo di monitorare il suo stato di salute. Oppure al Baby Gigl, porta biberon connesso a Internet che "analizza, corregge e sorveglia il comportamento degli adulti mentre danno il biberon, grazie a un inclinometro in grado di emettere un segnale luminoso e sonoro quando il gesto è scorretto". All'improvviso l’intelligenza artificiale, realizzata da programmatori poco più che adolescenti, sa meglio dei "poveri, fallaci genitori" qual è il gesto corretto da adottare; la casa smart, programmata da applicazioni e funzionalmente autonoma, non ha più bisogno dell'angelo del focolare. Le donne sono "finalmente liberate" dall'obbligo del lavoro domestico. Ma è davvero così?

Oltre il femvertising

Le promesse dell’App economy hanno attinto dalle lotte dei movimenti delle donne, scimmiottandone gli slogan e gli intenti per scopi commerciali (femvertising). Per i femminismi attuali forse è tempo di guardare alla dimensione politica e culturale delle applicazioni come artefatto informatico, per contrastare la visione del mondo della "quinta Silicon Vally". Una visione che ipotizza la crescente dequalificazione dell'uomo, fallace e inefficiente, e la comparsa di un essere computazionale giudicato superiore: il percorso ideale per creare condizioni favorevoi a regimi autoritari e di intensa subalternità culturale. Per nostra fortuna, il riferimento è sempre al maschio ricco e di razza bianca. Il pensiero critico delle donne, che sfugge a questa deprimente interpretazione, potrebbe fare maggiore luce sui nuovi differenziali di potere della rivoluzione digitale. E allora un nuovo orizzonte di significato potrebbe emergere per tutti.

Riferimenti

Barbara Henry, Il robot è maschile, femminile o neutro? - Etica, robotica e mondo del lavoro, Internet Festival, 2016, Pisa

Eric Sadin, La silicolonizzazione del mondo. L'irresistibile espansione del liberismo digitale, Einaudi Passaggi, 2018

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