Avere figli e lavorare sembra essere una delle sfide più difficili del nostro tempo. Mentre in Italia migliaia di madri lasciano il lavoro, nel Regno Unito aumentano i padri casalinghi e le persone scendono in piazza per chiedere una riforma dell'assistenza all'infanzia e nuove politiche per le famiglie
I nuovi dati dell’Istat sulla natalità in Italia rilevano un calo delle nascite, con 393mila nati nel 2022, e restituiscono la fotografia di una situazione preoccupante che ogni 1000 abitanti conta meno di 7 nascite e più di 12 decessi. L’incremento delle nascite in Italia è fermo al 2008, mentre prosegue il calo demografico, che il rapporto di Istat individua soprattutto nel sud Italia, con un impatto importante sull’economia nel lungo periodo, come sottolineato anche da Confindustria.
A lanciare l’allarme è la stessa ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, che rivendicando l’importanza di aver aggiunto quel “natalità” alla sua carica, ha di recente sottolineato l’urgenza di un cambiamento culturale per fermare quello che i media hanno soprannominato "l’inverno demografico". Senza voler cogliere inquietanti echi dell’antico slogan “date più figli alla patria”, resta l’impressione che il “cambiamento culturale” auspicato nasconda più di una trappola. In assenza di importanti interventi pubblici, il maggior peso di una scelta dalle ricadute personali e collettive continuerà a gravare sulle donne, le stesse che ottengono contratti precari e guadagnano meno dei colleghi uomini.
Nel 2020 sono state quasi 33mila le neomamme che hanno lasciato il lavoro, costrette dai datori di lavoro o più semplicemente dall’assenza di nidi e alternative a sostegno di chi ha appena avuto un bambino. Il fenomeno delle dimissioni in bianco, fatte firmare dalle organizzazioni a tantissime giovani al momento dell’assunzione, è un mal costume ancora incredibilmente diffuso nel paese. E la quasi totalità delle lavoratrici accetta, sia per inesperienza, sia perché è difficile dire ‘no’ a un contratto.
Secondo i dati di Save the Children del 2022, raccolti da un rapporto dedicato alle "madri equilibriste", il 42,6% delle donne tra i 25 e i 54 anni non è occupata, con un divario rispetto ai compagni di più di 30 punti percentuali. Oppure, laddove il lavoro sia stato mantenuto, spesso si trasforma in un contratto part-time: è così per per il 39,2% di donne con 2 o più figli minori. Nel primo semestre 2021 solo poco più di 1 contratto a tempo indeterminato su 10 è stato firmato da una donna.
Le donne italiane non sono però le uniche in Europa a vivere il ricatto della maternità sul lavoro. In un paper diffuso a maggio 2021 e intitolato Sticky floors or glass ceilings? The role of human capital, working time flexibility and discrimination in the gender wage gap, l'Ocse ha rilevato che la maternità contribuisce per il 60% al divario retributivo di genere in 25 paesi europei, a fare il restante 40% ci pensano norme sociali, stereotipi di genere e discriminazioni.
Uno scenario confermato anche dalla ricerca condotta da PwC UK Women in Work 2023, secondo la quale la motherhood penalty è uno dei fattori determinanti a incidere su differenze di salario, disoccupazione e rallentamento della carriera. In sei paesi europei, infatti, le madri vedono un calo del 60% del salario rispetto ai padri nel corso dei dieci anni successivi alla nascita del primo figlio, con un impatto enorme sul saldo pensionistico e sui risparmi alla fine della vita lavorativa.
Al di fuori della comunità europea la situazione per madri e neomadri, non è certo più rosea. Nel Regno Unito ogni anno, 54.000 donne perdono il lavoro semplicemente perché incinte e 390.000 mamme lavoratrici subiscono discriminazione sul lavoro.
A questo si aggiungono i costi dell’assistenza all’infanzia che minacciano di esercerbare la disuguaglianza di genere. L’Inghilterra, in particolare, ha uno dei costi di assistenza all’infanzia tra i più alti al mondo, circa il 30% del salario medio, a cui si aggiunge la mancanza di disponibilità, con un'offerta che dal 2018 al 2022 ha subito un calo del 10%. Con l’aumento del costo della vita, i costi di nidi e scuole dell’infanzia gravano pesantemente sull’economia familiare tanto da costringere non solo le donne ma anche gli uomini, a lasciare il lavoro e prendersi cura dei figli.
Dal 2022 la percentuale di padri casalinghi nel Regno Unito è aumentata di un terzo rispetto al 2019. Il catalizzatore di questo cambiamento sarebbe stato la pandemia. Secondo una ricerca dell’Office for National Statistics, nel Regno Unito oggi ogni 9 padri, uno decide di lasciare il lavoro e dedicarsi alla famiglia, nel 2019 il rapporto era di 1 a 14. Tra luglio e settembre 2022 sono stati 141.000 i padri che hanno deciso di licenziarsi per restare a casa con i figli e dedicarsi alla gestione della casa.
Nell'Unione europea si tratta di un accadimento ancora più raro: solo un uomo su 100 interrompe la propria carriera per un periodo non superiore a sei mesi per prendersi cura dei figli, rispetto a una donna su tre. Sebbene sia un fenomeno interessante, gli stay-at-home dads sono ancora una minoranza e gli effetti della cosiddetta SheCession iniziata con la pandemia potrebbero, nel lungo periodo, danneggiare in modo permanente la carriera delle donne e aumentare il numero delle famiglie in condizioni di povertà.
Di fronte a questi orizzonti persino Il racconto dell’ancella appare sempre meno distopico. Esemplare è la storia di Joeli Brearley, curatrice della piattaforma Pregnant Then Screwed. Due giorni dopo aver informato il suo datore di lavoro di essere incinta del suo primo figlio, Brearley è stata licenziata con un vocale. Incinta di quattro mesi e disoccupata, ha preso in considerazione l'idea di intraprendere un'azione legale ma la gravidanza ad alto rischio e lo stress avrebbero potuto compromettere la sua salute e quella del bambino. Brearley ha deciso quindi di raccontare la sua storia sui social e di lanciare un progetto sul tema in occasione dell'8 marzo del 2015. Oggi la sua piattaforma è diventata uno spazio in cui le donne condividono le loro storie di discriminazione durante la gravidanza o la maternità, ricevendo consulenza e supporto gratuiti. Il progetto è cresciuto rapidamente tanto da diventare oggi un ente di beneficenza dedicato ai problemi legati alla maternità, sostenendo decine di migliaia di donne e promuovendo con successo una campagna per il cambiamento che ha visto il 29 ottobre 2022, 12.000 genitori scendere in piazza per chiedere una riforma sui costi di nidi e scuole dell’infanzia, congedi parentali e lavoro flessibile nel Regno Unito.
Dal Regno Unito all’Europa sembra quasi che l’onere della maternità gravi ancora quasi esclusivamente sulle spalle delle donne. Come suggerisce il rapporto di Save the Children, è necessaria un’azione congiunta che fissi degli obiettivi nel medio lungo termine per una crescita sociale ed economica che tenga conto delle madri. È necessario cambiare la visione sociale del ruolo materno, intraprendendo iniziative di sensibilizzazione culturale per ribaltare la prospettiva secondo cui la maternità è un ostacolo nel mondo del lavoro, e vederla invece come un’occasione di crescita sociale importante per tutti. Favorire l’occupazione delle donne e delle madri, rafforzando il sistema di tutela delle lavoratrici esposte a una condizione di precarietà permanente, promuovendo strumenti di conciliazione ma anche di condivisione dei carichi di cura, flessibilità sul posto di lavoro e intervenendo sui fenomeni di segregazione orizzontale, sul differenziale salariale e sulla segregazione verticale in termini di percorsi di carriera.
È fondamentale l’introduzione di un sistema di valutazione e certificazione delle politiche aziendali che favoriscano la conciliazione tra famiglia e lavoro. Il family audit dovrebbe valutare all’interno di ogni organizzazione la presenza di congedi parentali, flessibilità dell’orario di lavoro, possibilità di lavorare da remoto, sistemi di accesso e di promozione non discriminanti rispetto alla genitorialità, servizi offerti e contributi finanziari. Ma soprattutto sarebbe opportuno facilitare e valorizzare il ruolo degli uomini nel lavoro di cura, sviluppando un forte impegno a livello culturale e legislativo per aumentare il loro coinvolgimento nel lavoro di cura e familiare che sembra ancora limitato e legato a modelli tradizionali di genere, rafforzando anche la tutela giuridica dei padri. E poi investire sul welfare, intensificando la rete dei servizi di cura e di protezione territoriale per garantire a tutti i bambini un servizio educativo, con la necessaria copertura dei posti e adeguati standard qualitativi.
Sarà solo attuando politiche aziendali e istituzionali efficaci che potremo superare inverni demografici e scarse libertà di scelta.