Politiche

Mentre le imprenditrici under35 resistono perché più al passo con le nuove tecnologie, il governo punta tutto su settori in cui le donne sono poche e non qualificate. Ci vorrebbe un piano che funzioni, perché fare impresa diventi un'alternativa percorribile

Ci vorrebbe un piano
per le imprenditrici

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Foto: Unsplash/ Brooke Lark

Nel 2019 le imprese femminili del settore terziario, dove le donne si concentrano maggiormente, sono aumentate di oltre 34 mila unità rispetto al 2014. Eppure, nonostante il trend crescente, il tasso di femminilizzazione delle imprese è decisamente sotto la proporzione di donne nella popolazione, attestandosi, secondo l’Osservatorio di Unioncamere, al 22%.  

Inoltre, come è accaduto per l’occupazione, anche il lento e progressivo aumento dell’imprenditoria femminile ha trovato una battuta di arresto con la pandemia. Stando ai dati di Unioncamere nel 2020 è diminuito infatti il numero di imprese femminili, e soprattutto perché è crollata la natalità delle imprese. Insomma, molti sogni sono rimasti nel cassetto aspettando tempi migliori.

Un dato interessante rilevato da Unioncamere è che nel 2020 il calo di natalità delle imprese femminili è stato maggiore nei territori più colpiti dal Covid. Quindi ha riguardato più il nord che il sud e, altro dato interessante, più le donne over35 che le giovani.

Ed è proprio dalle under35 che è partita la ripresa: nel primo trimestre del 2021 le iscrizioni delle imprese femminili giovanili sono tornate in positivo. E sono state le under35 a puntare di più su innovazione e imprese ad alto contenuto tecnologico, anche perché hanno più competenze Stem, e questo si riflette nei progetti di impresa.

I dati dell’osservatorio ci raccontano anche di come le imprese guidate da donne siano più sensibili all’impatto ecologico e alla responsabilità ambientale, e più propense alla sostenibilità sociale – con il il 31% delle imprese femminili che ha investito in sostenibilità ambientale contro il 26% di quelle guidate da uomini e con un 72% che pratica politiche di welfare aziendale contro il 67% delle imprese al maschile. Un altro buon motivo per investire sulle donne che fanno impresa. 

Questo non toglie che siano le imprenditrici a pagare il prezzo più alto della crisi: nel primo trimestre di quest’anno, infatti, si legge nel rapporto “l’incremento percentuale delle nuove imprese guidate da donne continua a essere ben inferiore a quello delle imprese maschili (1% a fronte del 9,5%)”.

Nel guardare a questi numeri non si può tralasciare che le imprese femminili, così come l’occupazione, sono concentrate in settori che hanno subito di più gli effetti della pandemia: turismo e ristorazione, servizi alla persona, educazione. Sono gli stessi settori che con la vaccinazione di massa hanno mostrato una ripresa più veloce, anche se non sono ancora rientrati a pieno regime.

Come fanno impresa le donne in Italia

Se parliamo di imprenditoria femminile dobbiamo osservare alcune cose: da una parte le donne fanno impresa in ambiti con un minore impatto tecnologico e sono meno propense all’innovazione e alla digitalizzazione, dall’altra c’è un’avanzata generazionale con una crescita delle under 35 che aprono start up innovative. 

In Italia l’imprenditoria femminile mostra una realtà eterogenea anche a livello regionale, più presente nel mezzogiorno e di più piccole dimensioni rispetto alla realtà imprenditoriale “maschile”. La regione con la più bassa percentuale di imprese guidate da donne è il Trentino Alto Adige con il 18%, mentre le prime tre in classifica risultano Molise, Basilicata e Abruzzo.

Fonte: Rapporto Unioncamere, 2020

Le imprese femminili, in generale, sono concentrate più al sud che al centro nord, e ci sono molte imprenditrici del sud che fanno impresa al centro nord. Quindi possiamo dire che, a scapito di quello che si pensa, le imprenditrici sono soprattutto donne del sud. Questo il quadro che era emerso dal primo rapporto sulle start up in Italia: donne giovani del sud con la laurea e spesso anche un dottorato.Va rilevato però che l’alta densità di imprese femminili, soprattutto al sud, è dovuta anche al bisogno di generare forme di autoimpiego. 

Se al sud l’imprenditoria femminile si concentra nell’agricoltura e nel commercio, a nord troviamo una concentrazione di imprese femminili nel settore manufatturiero. La forma societaria più usata dalle donne è la ditta individuale, che prevale nel 60% delle imprese femminili (mentre la quota delle ditte individuali è circa il 50% delle imprese guidate da uomini). Circa 97 imprese su 100 guidate da donne non hanno oltre i 9 addetti ma è una dinamica estesa a tutta l’imprenditoria italiana se si considera che nelle imprese maschili il dato è 94,5 su 100. 

Nel caso italiano poi, molto spesso parliamo di impresa familiare, quindi impostata su un modello patriarcale e familista che riflette il proprio sistema valoriale nella gestione dell’impresa, relegando le donne a ruoli subordinati, più tradizionali e meno retribuiti. Anche se, pure qui, assistiamo a una lenta trasformazione in cui sono sempre di più le donne che guidano imprese di famiglia come raccontano Francesca Maria Cesaroni e Annalisa Sentutti, che studiano la partecipazione delle donne alle imprese familiari.

La dimensione spesso ridotta delle imprese guidate da donne impatta sull’accesso al credito, sugli investimenti, sull’internazionalizzazione. Andrebbero quindi rafforzate le competenze delle imprenditrici e bisognerebbe incrementare i finanziamenti per rafforzare la ricerca a supporto di settori ad alta densità di imprenditoria femminile, come per esempio i servizi alla persona dove c’è un mercato potenziale ampissimo, oltre a rilevare l’aumento di giovani donne disposte a rischiare in proprio in settori ad alta innovazione. C’è un margine per fare questo nel Piano nazionale di ripresa e resilienza presentato dal governo, vedremo come verranno sviluppate le progettualità.

Perché la formazione è così importante

Lo sviluppo dell’imprenditoria femminile è senz’altro presente nelle iniziative dei policy maker, e non solo rappresenta un tassello aggiuntivo verso l’inclusione ma apporterebbe vantaggi a livello di business. Secondo studi della Banca Mondiale, una maggiore presenza femminile tra le imprese saprebbe meglio intercettare i bisogni di mercato – non difficile da credere visto che intere gamme di prodotti sono disegnati su misura per il sesso maschile, e nonostante gli utenti finali non siano soltanto uomini.

Un aspetto spesso trascurato è la minore inclinazione delle donne a fare domanda di credito, forse anche perché scoraggiate in partenza. Una capillare informazione sulle fonti di finanziamento e le agevolazioni possibili sembra ancora lontana, ma è il presupposto – insieme a un’adeguata formazione sulla creazione di business plan corredata da conoscenze digitali e di alfabetizzazione finanziaria – per potenziare l’avvio di nuove start up.

Dai dati di Unioncamere risulta infatti che le imprese femminili soffrono di un gap rispetto a quelle maschili in termini di digitalizzazione, solo il 19% ha adottato o sta adottando misure di impresa 4.0 contro il 25% di quelle maschili, e il motivo è da rintracciare sicuramente nella minore conoscenza delle misure presenti per favorire la transizione digitale.

Per comprendere appieno le dinamiche in corso, è utile ricordare che le norme sociali non favoriscono certamente la carriera delle donne. In Italia, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è ancora ferma a circa il 50%, frutto di una cultura che poco considera “normale” una donna che lavora, solo se compatibilmente si prende cura della famiglia.

Nelle realtà imprenditoriali dove oltre al capitale umano si richiede la disponibilità di garanzie finanziarie, le opportunità per le donne incontrano ancora più ostacoli, complice anche l’assenza di modelli di ruolo che raramente vengono prospettati alle ragazze che fanno carriera.

Rischiare, però, significa anche avere agio nell’utilizzo del capitale, che spesso è appannaggio di soli maschi.

Se guardiamo le “preferenze”, ossia il desiderio di aprire un'impresa per chi ancora non è imprenditore, dai dati della Banca d’Italia vediamo che le donne esprimono al 10 per cento la volontà di fare impresa contro il 16 per cento degli uomini. 

Questa differenza potrebbe essere dettata da preferenze diverse, ma anche inquinata da una diversa aspettativa che si nutre nei confronti delle donne, spesso automaticamente associate a ruoli meno rischiosi e impegnativi nel mercato del lavoro.

È importante allora sgombrare il campo dall’assenza di informazione e fornire il massimo della trasparenza nei percorsi d’impresa, così da prospettare il fare impresa come un’alternativa percorribile.

Dal 2013 il Dipartimento per le Pari Opportunità ha avviato un’attività di supporto e promozione dell'imprenditoria femminile facendo leva su strumenti innovativi che mirano a rendere più snello l’accesso al credito, tra le difficoltà principali nell’intraprendere un percorso imprenditoriale. Tra le iniziative per le piccole e medie imprese, con una quota riservata alle imprese femminili, ricordiamo la garanzia dello stato per importi fino all’80%.

Cosa prevede il Pnrr per le imprenditrici

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza presentato all’Europa dal governo italiano investe principalmente su green e digitale, e investe principalmente sull’infrastruttura fisica (rete ferroviaria, edilizia scolastica, impianti di trattamento dei rifiuti, per fare alcuni esempi). Sono ambiti di intervento in cui le donne sono poco presenti sia come forza lavoro che ai vertici. Quindi, nonostante riconosca quanto sia cruciale la diffusione di strumenti che possano implementare la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro e in qualità di imprenditrici, l’impianto del piano non è particolarmente favorevole per le imprenditrici.

A fronte di questo quadro ci sono alcuni elementi positivi per incentivare la crescita dell’occupazione femminile, come la clausola di condizionalità, che prevede una quota di assunzioni femminili per i progetti realizzati con fondi del piano di ripresa, che viaggia insieme ai criteri di premialità: ossia criteri qualitativi per cui le imprese femminili hanno un vantaggio competitivo.

Nel piano viene anche potenziato il fondo per l’imprenditoria femminile, che risponde a un’idea articolata: non sostenere solo la nascita di imprese, ma anche la crescita di imprese femminili. Il fondo prevede inoltre la promozione dell’educazione all’imprenditorialità e la promozione dell’imprenditorialità tra le giovani donne. Non è un fondo particolarmente ricco, ma è sicuramente una misura necessaria. 

Ed è notizia recente l’approvazione di un emendamento per la governance dello stesso piano di ripresa, che prevede che la composizione degli organismi pubblici istituiti dal decreto legge sulla governance del recovery e sulle semplificazioni, e delle relative strutture amministrative di supporto, sia “definita nel rispetto del principio di parità di genere”.

Certo è che per l’imprenditoria, così come per l’occupazione femminile, il difetto sta nella frammentarietà di misure troppo spesso separate e non integrate in un progetto complessivo. Ci vorrebbe un piano, solo per rafforzare il ruolo delle donne nell’economia italiana.

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