La famiglia al posto della persona; l'indottrinamento al posto della formazione; il privato al posto del pubblico. E, in questo quadro di fondo, un attacco sostanzialla legge sul'interruzione di gravidanza, con l'ingresso dei movimenti per la vita nei consultori. La proposta "Tarzia" agita il Lazio. E non solo
La proposta di legge regionale del Lazio n. 21 del 26 Maggio 2010, cosiddetta “Tarzia” (1), ha, a pochi mesi di distanza dal dibattito sulla Ru486, riacceso i riflettori sulle tematiche della procreazione, della maternità e della famiglia. Abrogando la legge regionale n. 15 del 16 aprile 1976 (2), la proposta intende ridisegnare competenze e fisionomia delle strutture consultoriali, con cambiamenti profondi rispetto alla normativa in vigore.
La legge nazionale istitutiva dei consultori (Legge n. 405 del 1975) (3), pur frutto di mediazioni tra le posizioni che animavano il dibattito nei primi anni settanta, è molto chiara nell’individuare, in quattro punti, lo scopo di tali strutture: “a) l'assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia, anche in ordine alla problematica minorile; b) la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e da singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti; c) la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento; d) la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza consigliando i metodi ed i farmaci adatti a ciascun caso” (articolo 1).
La legge di attuazione della regione Lazio oggi in vigore ha raccolto bene lo spirito della normativa nazionale, prevedendo: a) azioni e attività informativa ad ampio spettro e formalmente ispirata a principi scevri da impostazioni etiche; b) priorità delle strutture pubbliche; c) forme di partecipazione degli utenti, e in particolare delle donne e delle loro associazioni, alle fasi di programmazione, attuazione e promozione.
Proprio partendo da questi capisaldi della legge regionale in vigore, è possibile formulare alcune riflessioni sui cambiamenti che seguirebbero all’eventuale approvazione della “Tarzia”.
La riforma “Tarzia” prevede in apertura (articolo 1) una esplicita ridefinizione delle finalità degli interventi: il soggetto di riferimento si sposta dal singolo e dalla coppia alla famiglia, e questo cambiamento viene giustificato perché nella famiglia si identifica il primario nucleo sociale da tutelare in quanto soggetto politico chiave a garanzia dei diritti inviolabili della persona. Suona come una dichiarazione di intenti, dietro la quale emerge con chiarezza una impostazione etica che vorrebbe far tendere l’azione del consultorio alla formazione e alla conservazione della famiglia, mettendo in secondo piano la libera maturazione della scelta di che cosa fare sia di fronte alla gravidanza che nell’assumere determinazioni riguardanti la vita familiare.
Le disposizioni regionali attualmente vigenti sono di tutt’altra apertura, e riconoscono ai consultori un ampio raggio operativo, per abbracciare la variegata e sempre complessa realtà sociale con cui l’azione di supporto si deve misurare. Ma al di là della normativa del Lazio, è direttamente la già citata legge quadro nazionale (legge n. 405-1975) a chiedere ai consultori di saper alternare - a seconda dei casi e a seconda delle persone che a loro si rivolgono - interventi incentrati sul singolo, sulla coppia, sulla donna, o sul gruppo familiare nel suo complesso. Se questo è il solco indicato dal legislatore nazionale, tutte le normative attuative delle regioni non possono non rispettarlo.
Un’altra differenza sostanziale riguarda, poi, un’attività chiave del consultorio, quella informativa, che dovrebbe tendere a trasmettere e condividere cognizioni per compiere scelte libere, consapevoli e responsabili. Nessuna traccia ne resta nella “Tarzia”, dove l’obiettivo ”informativo” diviene “educativo”, con un temibile cambiamento di prospettiva.
Diverse anche le posizioni sulla collaborazione tra pubblico e privato. L’attuale normativa regionale non ostacola l’azione di strutture private, ma comunque, nel progettare quelle pubbliche, si pone l’obiettivo che queste siano messe in grado di coprire tutto il fabbisogno potenziale, per garantire una offerta di supporto certa, di qualità e rispondente a direttive il più possibile omogenee e laiche. Nella “Tarzia” passa in primo piano il principio di equiparazione tra strutture pubbliche e strutture private senza e con scopo di lucro. Se è vero che questa impostazione rimane nel solco della normativa nazionale (4), si intravedono almeno due criticità: da un lato, i requisiti previsti per l’accreditamento appaiono deboli e incerti, mentre il rilievo delle funzioni, oltre che l’accesso ai fondi pubblici, richiederebbero selezioni molto più attente; dall’altro lato, le ristrettezze di finanza pubblica obbligano a domandarsi se sia davvero vantaggioso canalizzare su più fronti le risorse, prima ancora di poter affermare che il sistema pubblico di base è forte, strumentalmente dotato, e messo in grado di portare avanti tutti i compiti che gli derivano dal legislatore.
Ma la divergenza più lampante è un’altra ancora. La normativa regionale vigente non interviene sull’interruzione di gravidanza, che è invece un punto chiave nella “Tarzia” in cui lo spirito etico che anima l’intera proposta di legge viene fuori più che negli altri passaggi. A riguardo, le disposizioni regionali attuali si limitano a riconoscere il ruolo di supporto che il consultorio deve svolgere in ossequio ai principi della legge n. 194-1978. La “Tarzia”, invece, pretende di incidere sul tema: l’accesso all’iter disciplinato dalla normativa nazionale viene subordinato ad una fase “preventiva”, denominata di “accoglienza”; in questo passaggio, la persona ricorrente al consultorio è ascoltata e chiamata a rispondere sui propri intenti e sulle motivazioni da cui originano. A parte la questione, prettamente giuridica, se una legge regionale possa modificare la forma e soprattutto la sostanza di una materia su cui si è espresso il legislatore nazionale, sono i dettagli su come deve svolgersi l’”accoglienza” a preoccupare.
Con riferimento alla fase di “accoglienza”, il consultorio sarebbe tenuto a registrare le motivazioni che la donna porta per la sua scelta di interrompere la gravidanza, e a rendicontare, alla fine, tutte le azioni svolte in funzione di dissuasione, per prevenire tale decisione. All’articolo 4, comma 2, viene ricordato alla donna il suo “dovere morale” di collaborazione.
Una “accoglienza” davvero strana, con i tratti della schedatura e della verbalizzazione come strumenti di condizionamento esterno e di pressione dissuasiva; e niente di quella analisi discreta e di quella condivisione delle ragioni profonde che trenta anni fa il legislatore riuscì faticosamente a conquistarci.
Ma le differenze con Legge n. 194-1978 non si fermano qui. Durante la fase di “accoglienza”, e a ulteriore supporto dell’attività di prevenzione, è previsto il coinvolgimento diretto delle associazioni dei familiari e di volontariato, senza chiarirne tempi, modalità, criteri operativi e, soprattutto, senza stabilire il previo consenso della donna. Il risultato sarebbe la possibilità di terzi (conosciuti o sconosciuti dall’interessata) di intromettersi nella sfera individuale, per affermare un loro disegno etico con la bandiera della difesa del diritto costituito. Per giunta, la mancata esplicitazione dei profili temporali entro cui tali operazioni devono svolgersi si presta ad un utilizzo pretestuoso, come quello di far decorrere i giorni utili per ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza.
La proposta Tarzia presenta un preoccupante cambiamento di prospettiva non solo rispetto alla legge regionale che intende abrogare ma, soprattutto, rispetto al quadro normativo nazionale. Inoltre, i punti di inversione che emergono appaiono talmente radicali e rilevanti da rendere assolutamente necessario un adeguato approfondimento di tutti i profili giuridici della proposta al fine di ravvisare possibili violazioni dei diritti soggettivi.
Anche a proposito di questa proposta di legge, la sensazione sembra la stessa suscitata dall’interventismo di alcune regioni (tra cui il Lazio) sul protocollo terapeutico della Ru486: un attacco ai capisaldi della 194 che proietterebbe l’Italia indietro di oltre trent’anni e su cui è doveroso continuare a tenere alta l’attenzione.
Note
(1) Proposta di legge regionale n. 21 del 26 Maggio 2010, "Riforma e riqualificazione dei consultori familiari".
(2) La Legge Regionale n. 15 del 16 Aprile 1976 (“Istituzione del servizio di assistenza alla famiglia e di educazione alla maternità e paternità responsabili”) ha introdotto il servizio di assistenza alla famiglia e di educazione alla maternità e paternità responsabili, individuando nel consultorio la struttura aziendale di riferimento sul territorio.
(3) Legge n. 405 del 29 Luglio 1975, “Istituzione dei consultori familiari”.
(4) “I consultori possono essere istituiti anche da istituzioni o da enti pubblici e privati che abbiamo finalità sociali, sanitarie e assistenziali senza scopo di lucro, quali presidi di gestione diretta o convenzionata delle unità sanitarie locali, quando queste saranno istituite” (articolo 2, lettera b, Legge 405-75).
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