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"Vorrei creare un ufficio di collocamento per le professioniste della musica, che venga istituito un garante". Giulia Anania, autrice per alcune delle voci più importanti del panorama italiano, racconta cosa significa oggi per una donna affermarsi nel settore discografico

Donne che
fanno i dischi

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Foto: Giulia Anania

Cantautrice romana, classe 1984, fin da giovanissima Giulia Anania vive di musica e poesia. Negli anni ha realizzato oltre mille concerti e nel 2012 ha partecipato a Sanremo. Il suo ultimo album, Come l’oro, è stato definito "il primo esempio di urban pop italiano". Da anni mette in scena il recital Bella Gabriella!, dedicato a Gabriella Ferri, e come autrice e paroliera ha firmato hit portate al successo da Fiorella Mannoia, Paola Turci, Laura Pausini, Emma. Poliedrica provocatrice culturale, è ideatrice di eventi e iniziative su tutto il territorio italiano. Le sue poesie sono state interpretate da grandi nomi del cinema e del teatro. A Ottobre 2020 ha pubblicato il suo secondo libro di Poesia L'Amore è un accollo (Red Press Star) poesie - quasi - romantiche con la prefazione di Carlo Verdone. Il libro in pochi mesi è già alla sua terza ristampa. L'abbiamo intervistata.

Si parla poco dell’esperienza delle donne nei retroscena dell’industria discografica Italiana, in particolare della condizione delle autrici e produttrici musicali. In quanto autrice e cantautrice affermata, puoi dirci qualcosa sulla condizione delle donne che ricoprono ruoli ruoli “comprimari”, ossia ruoli che, seppur non protagonisti, vengono ritenuti essenziali alla realizzazione del progetto artistico in questo settore?

Le donne che ricoprono ruoli comprimari in Italia sono poche, se non inesistenti. O meglio, non è che sono inesistenti, è che quelle che riescono a ottenere contratti editoriali che permettano di fare questo lavoro a tempo pieno sono pochissime rispetto agli uomini. Conta che in Italia di autrici con contratti editoriali ce ne saranno cinque. Per quanto riguarda le produttrici l’unica che è riuscita veramente ad affermarsi è Marta Venturini. È da parecchio tempo che cerca di mettere insieme un team di produttrici, le ho anche proposto l’idea di girare un documentario su questa impresa. È frustrante pensare che spesso lei e io ci ritroviamo a essere le sole donne citate nei crediti dei dischi a cui abbiamo lavorato.

A tuo avviso, perché ci sono così poche donne che ricoprono ruoli di rilievo nell’industria musicale italiana?

Penso che molte donne non intraprendono questo percorso perché non hanno un modello di riferimento.

Raccontaci il tuo percorso. Come hai cominciato? 

Ho scritto la mia prima canzone a 11 anni, ho avuto un’adolescenza e un’infanzia molto difficili. Quello che mi ha sempre fatto stare bene, senza troppo ragionarci, è scrivere poesie e canzoni. Una cosa semplice, chitarra e voce. Ho avuto anche un gruppo punk. Però non è che pensavo di voler fare la cantante. Poi mi sono invaghita di una ragazza che alla fine ha fatto la cantante. Scrissi delle canzoni per lei, che al tempo non sapeva che scrivevo canzoni, e un giorno mi misi a cercare il numero di uno studio per andare a registrarle per lei. Trovo questo studio, noleggio la sala per un paio di giorni. Dopo il primo giorno il proprietario mi chiama e mi dice che ha ascoltato le mie canzoni, che gli sono piaciute e che mi vuole produrre. Da lì sono cominciati i concorsi, ai quali odiavo partecipare, anche perché mi sentivo costretta, specialmente da mia madre. 

Come sei passata dalla carriera da cantautrice a quella di autrice?

È successo dopo il liceo, avevo un gruppo formato da un contrabbassista, un chitarrista, una violoncellista e io. Siamo partiti per un tour europeo, mi sono accorta che con la musica ci si poteva guadagnare e così ho cominciato a suonare in giro per fare qualche soldo. A un certo punto hanno investito su di me come autrice. Marco Ragusa di Warner Chappell mi ha chiamato per propormi un primo contratto editoriale e lì ho scoperto il favoloso mondo di scrivere per altri, di essere a servizio della canzone.

Quanto è stato difficile farsi valere in un ambiente dominato dagli uomini? Quanto ha influenzato il tuo lavoro questo fatto?

Mi sono innamorata di questo lavoro dopo la mia prima writing session ufficiale. Ricordo che la prima canzone che sono riuscita a “piazzare” è stata per Emma Marrone e dopo il primo anno ho cominciato a guadagnare sempre di più. Ho lavorato con e per Laura Pausini, Annalisa, Paola Turci, Fiorella Mannoia, Coez, Fedez, Nek, Malika Ayane, Arisa. Ormai sono dieci anni che lavoro per la Warner. Tuttavia, nel periodo che ho trascorso facendo questo lavoro ho notato che si tratta di un ambiente dominato da uomini di mezza età. Non ho mai lavorato con una persona come me, a parte in rare occasioni, specialmente quando invitano autrici dall’estero. Bisogna sgomitare molto per affermarsi in questo settore, specialmente se sei una donna, e “piazzare” canzoni sul mercato è molto più difficile. Mi sono state offerte tante opportunità, ma non è stato per niente facile affermarsi. 

Secondo te, quali misure si potrebbero prendere per ridurre il gap di genere all’interno dell’industria discografica italiana?

Vorrei portare nelle scuole tra le dieci e le venti professioniste del mondo della musica con il supporto del Nuovo Imaie. Vorrei che il campione di donne rappresentasse proprio ognuno dei mestieri della musica per il quale le ragazze e le donne spesso non hanno un modello di riferimento. Perché di cantanti in Italia ce ne sono tantissime, però per quanto riguarda i mestieri tecnici i modelli mancano. Mi ha fatto piacere che si sia sollevato il problema riguardo al gender gap nella musica durante il lockdown, con dibattiti, conferenze, libri, statistiche. Però è arrivato il momento di passare dalle parole alle azioni. Durante il lockdown ho fatto un appello a Nuovo Imaie, Siae, Confindustria per dire di smetterla di chiamarmi per parlare di questo problema, che ho un progetto scritto pronto a essere messo in pratica. L’unico a rispondere è stato l'istituto Nuovo Imaie. Quello che vorrei è che le donne che vogliono lavorare in questo settore non debbano soffrire quanto ho sofferto io. Vorrei riuscire a creare un ufficio di collocamento per le donne che vogliono lavorare nella musica, che venga istituito un garante, per ogni azienda, come avviene in alcuni casi all’estero, che si occupi di monitorare le discriminazioni di genere sul lavoro. 

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