Politiche

Spesso le donne che nel corso della storia hanno ricoperto ruoli di potere, nelle case come nella società, sono rimaste invisibili. Oggi più che mai il mondo ha bisogno della loro competenza, misurarsi con il potere pubblico per le donne è una tappa obbligata

Il potere ha bisogno
di competenza

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Foto: Flickr/ministeriebz

Il potere è uno degli elementi alla base delle relazioni sociali ed è interconnesso con altri concetti come autorità, controllo, influenza. Esso viene esercitato nel pubblico e nel privato con modalità diverse e si articola secondo la stratificazione sociale.

Il primo libro che ho letto sul potere delle donne, Women, power and politics di Margaret Stacey e Marion Priceè un excursus sul potere delle donne nella storia. L’affermazione di base è che le donne non sono state sempre prive di potere e che questo è stato esercitato sia nel pubblico che nel privato.

Le donne, ad esempio, hanno esercitato potere nel pubblico durante il feudalesimo quando i mariti erano assenti, impegnati in guerre e conquiste. Si possono facilmente immaginare i diversi ruoli giocati da feudatarie e contadine in quei frangenti: il primo più pubblico, l’altro più privato.

Tuttavia le donne, tranne che in rarissimi casi, non sono state visibili in questi ruoli, che sono stati condotti prevalentemente da uomini.

Il femminismo ha scosso le regole degli uomini quando ha affermato che il personale è politico. La sfera della persona è stata collocata nella politica, affermando come essa entri in gioco in tutti i rapporti di potere, sia pubblici che privati. Tuttavia questa “rivoluzione” si è fermata per la diffidenza verso il potere delle donne. La paura di una contaminazione con le modalità e i metodi maschili ha, spesso, messo nel mirino del femminismo le poche donne che riuscivano a raggiungere posizioni di potere (alcune volte, ahimè, con ragione).

Nel 1983, apparve un articolo sulla rivista Pace e Guerra scritto da un gruppo di femministe milanesi che, a mio avviso, ha toccato proprio questo problema senza, peraltro, mai nominarlo. Si parlava della voglia di vincere e della concomitante estraneità dal mondo in cui vorremmo vincere. La posta in gioco, infatti, è il lacerante tentativo di lasciare integra la coscienza femminile, nella costruzione di progetti sociali e politici, per un mondo che è ancora essenzialmente maschile: “qualcosa di noi resiste ad entrare nei giochi sociali, non ci vuole stare, non ci sta.  Che cosa sia questo qualcosa che dice di no, che fa ostacolo, non si può nominare perché non ha nome….” scrivevano le autrici.  

Nel 1986 venne pubblicata la Carta delle donne a cura della Sezione femminile della Direzione del Partito comunista italiano. Avendo partecipato nel 1987 alla sua presentazione a Strasburgo, ne scrissi per la rivista L’Alternativa discutendone i contenuti e le reazioni molto positive che aveva ricevuto dalle rappresentanti dei vari partiti al Parlamento europeo. La tutela dell’ambiente, la qualità della vita, la pace, la sessualità libera, venivano enunciati come obbiettivi immediati dell’azione delle donne. Mi chiedevo allora: "perché non ne seguono delle scelte operative? È forse ancora così piccola la forza delle donne da lasciare che il segno dell’utopia circoscriva nel terreno dei sogni le cose proposte?". La risposta anche allora era secondo me da collocarsi nel problema irrisolto dei nostri rapporti col potere.

L’elezione di Ursula Van der Layen alla presidenza della Commissione Europea ha sollecitato nuovamente un dibattito sulle donne e il potere, che ha oscillato tra speranza e diffidenza. Molti vedono nel solo fatto che siano nominate delle donne in posizioni di vertice un segno positivo di cambiamento, qualunque sia la loro posizione politica o il loro credo ideologico, altri (specie le donne) pensano a un ripetersi di pratiche consolidate di spartizione e gestione del potere. Sono pochi/e quelli che pensano che le donne possano introdurre innovazione nelle modalità di gestione del potere loro conferito dalla posizione assegnata.

Misurarsi col potere nel pubblico penso sia, ora, una tappa obbligata, anche perché è su questo terreno che ci viene rivolta la sfida più radicale. Rinunciare a questa sfida significa non solo restare fuori dal circuito sociale, ma anche lasciare ferma la società in una condizione di inadeguatezza e impotenza rispetto a problemi che gli strumenti maschili non governano più. Si tratta dunque di dotarsi di strumenti di analisi innovativi, di elaborare progetti, di fabbricare attrezzi operativi per una nuova cultura di governo. 

I modelli economici, politici e sociali vanno coniugati con la soggettività dei bisogni individuali: i tempi storici dovranno contenere al loro interno i tempi reali, che consentano la fruizione, nello spazio di un’esistenza, di elementi di progresso nella qualità della propria vita. Bisogna mettere in discussione il carattere astratto delle decisioni basate su numeri: i modelli dovranno contemplare elementi di qualità.

D’altra parte, non bisogna ignorare che alcune donne ai vertici di organizzazioni importanti hanno dato buona prova di sé – si vedano Bernadine Healy, prima donna a dirigere i National Institutes of Health negli Stati Uniti, o Gro Harlem Brundtland, che ha diretto l’Organizzazione mondiale della sanità. Ma anche altre donne che, più semplicemente, si muovono nella sfera pubblica con diversi gradi di responsabilità. Il punto è proprio questo: queste donne avvertono verso la società la responsabilità del ruolo che ricoprono. Lo fanno con autorevolezza e al tempo stesso con discrezione. Gli uomini, piuttosto, tendono a esercitare autorità e controllo sugli altri e il principale gesto verso la società è la messa in mostra di sé e del proprio potere. In questo sono, peraltro, assecondati da un sistema di informazione che premia la visibilità.

I diversi determinanti maschile e femminile (autorità e prestigio/competenza e responsabilità) si evincono da parecchi studi di sociologia, molti dei quali sono stati riportati in un convegno del 2007, intitolato proprio Genere e potere, che ha affrontato in profondità il tema. Anche le reti di supporto che uomini e donne di potere si costruiscono sembrano essere diverse: gli uomini creano reti allargate a includere figure dello stesso livello, o anche superiore, per consolidare la propria posizione. Le donne tenderebbero a costruire reti funzionali ai compiti insiti nella posizione occupata. Le specificità dell’esercizio del potere esercitato dalle donne sono state bene illustrate in un articolo comparso su inGenere nel 2014. In questo esercizio, trent’anni dopo, si cerca finalmente di dare risposte sul ruolo della leadership femminile e sulla qualità e i vantaggi per tutti, che questa, perseguita e raggiunta con intelligenza e abnegazione, offrirebbe.  

Questa è la strada da percorrere. Non sono più i tempi in cui le donne usavano i metodi della seduzione per acquisire potere e, forse, nemmeno più quelli in cui alle donne vengono cedute le posizioni che si sono svalutate nel tempo. Questo mondo ha bisogno di competenza, di esperienza, di visioni allargate e relazioni empatiche per volgersi al percorso complesso che innovazione e globalizzazione ci hanno aperto davanti.

 

Riferimenti

Stacey Margaret & Marion Price. Women, power and politics. Tavistock  Publications, London and New York, 1981

AA. Più donne che uomini, Pace e Guerra n.8, 1983 pp. 30-3

AA. Dalle donne la forza delle donne. Carta itinerante: idee, proposte, interrogativi. Nuova stampa di Mondadori, Novembre 1986, pp. 91

Zucco Flavia. Presentata a Strasburgo la carta delle donne. L’Alternativa n.17-18,1987 pp. 10-11

AA. Genere e potere, 4-5 maggio 2007, Aula Magna dell’Università Sapienza di Roma, Libreria delle donne, Milano

Luciana D'Ambrosio Marri. Le donne e il tabù del potere. Strategie per gestire la leadership. inGenere, 11 feb 2014