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Salario minimo legale: una simulazione a partire dai dati disponibili più recenti e disaggregati per genere, età e provenienza geografica, indaga a quali condizioni in Italia si tradurrebbe in un reale beneficio e per chi

Il salario minimo
aiuta le donne?

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Foto: Unsplash/ Joel Muniz

Chiamiamola con il suo nome: frammentazione. È il processo evolutivo che più colpisce dell’attuale mercato del lavoro dove proliferano i contratti tristemente noti come ‘pirata’, cresce il lavoro occasionale, o magari ripetuto ma di durata limitata nel tempo, il lavoro di piattaforma e quello domestico dove tempi e rapporti di lavoro sono molto diversi da quelli dell’operaio o dell’impiegato tipo. Possiamo dibattere su quanto sia estesa questa frammentazione, ma è difficile opinare che la contrattazione così come la conosciamo basti per limitare a poche sacche il lavoro esposto a condizioni inaccettabili di sfruttamento. Inaccettabili per i principi sanciti dall’articolo 36 della costituzione in tema di retribuzione.

L’introduzione di un minimo salariale fissato per legge può far da argine ai peggiori risvolti della frammentazione. A riaprire la discussione sulla mancanza di questa misura in Italia è stata la proposta della Commissione Europea del 28 ottobre 2020 di una direttiva per armonizzare i minimi salariali negli stati membri. Il minimo salariale stabilito per legge può essere orario – come, ad esempio in Gran Bretagna, Irlanda e Germania, settimanale – a Malta  o mensile – ad esempio in Belgio, Polonia, Spagna Romania e altri stati membri. Alcuni paesi indicano due minimi, rispettivamente orario e mensile (ad esempio Francia e Repubblica Ceca), con il minimo mensile calcolato generalmente come un multiplo di quello orario per un numero di ore pari al tempo pieno cui fa riferimento la contrattazione collettiva, o alla media delle ore effettivamente lavorate. La Figura 1 riporta i salari minimi legali ‘orari’ (convertendo in ‘orari’ i minimi salariali mensili) calcolati al 1 gennaio 2022 per la Gran Bretagna e per i 21 paesi dell’UE27 in cui vige il minimo salariale legale. Come noto, l’Italia non è fra questi.

Per contribuire a un dibattito informato, abbiamo provato a simulare l’introduzione per via legislativa di un salario minimo orario nel nostro paese. Ci siamo avvalsi sia di EUROMOD (il modello statico di microsimulazione usato dalla Commissione Europea) che dei dati originari dell’indagine Europea sui Redditi e le Condizioni di Vita (EU-SILC) condotta nel 2019 sui redditi del 2018.[1] Oltre a stimare 'impatto dell’introduzione del minimo salariale sugli indicatori di povertà e diseguaglianza della popolazione, con questa simulazione vogliamo individuare quali lavoratori e quali lavoratrici ne beneficeranno maggiormente sul piano salariale nell’ipotesi che le ripercussioni sull’occupazione siano trascurabili, ipotesi non scontata e sulla quale torneremo.   

La simulazione impone di scegliere unità e valore del salario minimo legale. In questo esercizio abbiamo optato per un minimo orario non solo perché risulta particolarmente rilevante per i lavori che abbiamo chiamato ‘frammentati’ ma anche perché offre maggiori garanzie di assicurare ai lavoratori coinvolti parità di trattamento rispetto agli altri. 

Figura 1.  Salario minimo legale: euro per ora. Paesi UE e Gran Bretagna (1 gennaio 2022)

 

Per l’Italia abbiamo considerato tre eventualità. Nella prima il valore verrebbe fissato a 9,2 euro lordi,[2] una soglia di poco superiore ai 9 Euro indicati dal recente Ddl 658. Questo valore corrisponde all'80% del salario mediano lordo dei dipendenti delle imprese private in Italia, decisamente al di sopra dei salari minimi stabiliti da altri paesi europei: il minimo più alto, quello francese, si ferma al 66% del salario mediano. Nella seconda eventualità il valore sarebbe fissato a 6,9 Euro, pari al 60% del salario lordo mediano. Si tratterebbe di una scelta vicina a quella fatta da altri paesi dell´UE, a metà tra il già citato salario minimo francese e quello tedesco, che si ferma al 52% del salario mediano. La terza eventualità, intermedia fra le prime due, fisserebbe il valore a 8,1 euro lordi, pari al 70% del salario orario mediano in Italia.  Abbiamo considerato tutte e tre le possibilità per delimitare il perimetro della manovra e stimarne l’impatto sulla povertà, mentre, per brevità espositiva, ci siamo limitati a considerare l’opzione intermedia di 8,1 euro per individuare i maggiori beneficiari. 

Nell'eventualità che il salario minimo fosse fissato a 6,9 euro, e assumendo effetti trascurabili sull’occupazione, la misura interesserebbe circa 3,7 milioni di lavoratori, il 19% del totale. Nel caso intermedio (8,1 Euro), sarebbero poco meno di 4,4 milioni i lavoratori che ne beneficerebbero, il 22,5% del totale. Infine, nell’ipotesi di un salario minimo di 9,2 Euro, il massimo qui ipotizzato, i lavoratori interessati sarebbero poco più di 5 milioni, quasi il 26%.    

Un primo criterio per valutare l´impatto dell’introduzione del salario minimo legale è guardare alla variazione del tasso ‘at-risk-of-poverty (AROP), definito come la proporzione di individui il cui reddito disponibile equivalente[3] è inferiore alla soglia di povertà. La soglia di povertà, a sua volta, è fissata al 60% del reddito disponibile equivalente annuale di un paese. In Italia, dove la soglia di povertà così definita corrispondeva a 10.209 Euro nell’anno di riferimento dei dati (2018), il tasso AROP calcolato su tutta la popolazione era pari al 20,2%. La Tabella 1 mostra la variazione di questo tasso che conseguirebbe dall´introduzione di un salario minimo secondo le tre ipotesi che abbiamo formulato. In termini assoluti, e ipotizzando che occupazione e ore lavorate non cambino, la popolazione esposta al rischio di povertà verrebbe ridotta di quasi un milione nell’ipotesi meno generosa, fino a circa un milione e mezzo in quella più generosa.

Tabella 1. Tasso AROP per diverse ipotesi di salario minimo orario

Fonte: elaborazione tramite EUROMOD

Non sorprende che i risultati siano apprezzabili, ma nemmeno che siano lontani dall’essere risolutivi sul fronte della povertà perché l’obbiettivo principale del salario minimo legale non può e non deve essere combattere la povertà in senso lato. Semmai si tratta di ridurre la ‘povertà lavorativa’, ossia la platea dei working poors. È perciò importante tracciare il profilo dei potenziali beneficiari e qui lo abbiamo fatto stimando separatamente per lavoratrici e lavoratori la probabilità di percepire un salario orario lordo inferiore agli 8,1 euro. Abbiamo poi operato un’ulteriore distinzione in 14 sottogruppi in base alla dimensione dell’unità produttiva, alla natura pubblica o privata dell’impiego, alla categoria occupazionale, alla cittadinanza, all’età e alla scolarizzazione. Abbiamo, infine, escluso dal calcolo quei dipendenti per i quali si può nutrire un ragionevole sospetto che lavorino in nero (o in condizioni irregolari). Ciò ha comportato restringere il campione agli individui che non solo dichiarano di percepire un reddito da lavoro dipendente ma dichiarano altresì di aver versato contributi previdenziali nell´anno di riferimento. I lavoratori esclusi ammontano al 4% del totale dei dipendenti rilevati dall’indagine.

Il primo risultato saliente è la sovra-rappresentazione delle donne fra i potenziali beneficiari. Le lavoratrici costituiscono il 46% del nostro campione di dipendenti e il 56% dei potenziali beneficiari. Aiuta a capire cosa si nasconde dietro questo risultato la Figura 2 che riporta separatamente per uomini e donne di quanto varia la probabilità di beneficiare del salario minimo legale in funzione dell’appartenenza a un dato sottogruppo. Molte delle caratteristiche che influiscono su tale variazione non discriminano in modo rilevante fra uomini e donne.

Per entrambi i sessi avere meno di 30 anni, e quindi minore esperienza lavorativa, rende più probabile appartenere al gruppo di chi guadagna meno del salario minimo. Lo stesso vale per il contratto a termine, più spesso associato alle prime fasi della carriera, che fa aumentare di circa l´8% la probabilità di beneficiare del salario minimo sia per gli uomini che per le donne. Per ovvie ragioni, poi, un livello di istruzione elevato (formazione universitaria) ha l’effetto opposto di diminuire la probabilità di beneficiare del salario minimo, ma, di nuovo, l’ordine di grandezza è simile per i due sessi.

Per quanto riguarda la dimensione dell’unità produttiva, sono maggiormente interessati i lavoratori delle piccole imprese, poiché i dipendenti delle unità con meno di 20 addetti registrano una probabilità decisamente superiore di percepire salari orari sotto la soglia degli 8,1 euro, le lavoratrici più ancora dei lavoratori, ma di misura. La cittadinanza pesa sia per i lavoratori che per le lavoratrici: essere cittadini non italiani comunitari o extra comunitari aumenta la probabilità di percepire meno di 8,1 euro, ma l’aumento è doppio per gli extracomunitari.

Figura 2. Aumento/diminuzione della probabilità di percepire il salario minimo in base al genere

Fonte: nostre elaborazioni su dati EU-SILC, rilevazione del 2019

Differenze di genere importanti emergono in relazione alla distribuzione geografica, alla divisione pubblico/ privato, ma soprattutto in relazione al livello di qualifica e al settore di appartenenza. Non sorprende che i potenziali beneficiari del salario minimo legale abbiano maggiore probabilità di appartenere alla circoscrizione Sud-Isole, ma ciò vale in particolar modo per le donne. Né sorprende constatare che i dipendenti del privato abbiano una maggiore probabilità di beneficiare del salario minimo legale, ma in questo caso i principali beneficiari sarebbero gli uomini.

Differenze ancora più importanti sono legate a qualifica e settore. Rispetto a coloro che svolgono funzioni tecniche e manageriali, chi svolge mansioni molto poco qualificate è destinato a beneficiare in maggior misura del salario minimo e fra questi le donne sono sovra-rappresentate. Spiccano infine le differenze legate al settore dei servizi e della cura alla persona: una lavoratrice di questo settore ha una probabilità di percepire un salario inferiore al minimo significativamente più alta del resto delle lavoratrici, mentre lo stesso non accade per i lavoratori maschi.

Tirando le somme, l’introduzione del salario minimo legale sembra confermare la doppia promessa di alleviare povertà e diseguaglianze, poiché avvantaggerebbe soprattutto quelle categorie che sappiamo essere più esposte a forme di sfruttamento salariale: una parte dei giovani e delle donne e molta forza lavoro straniera.

Quali i rischi? Torniamo qui sull’ipotesi che abbiamo momentaneamente accantonato di una eventuale diminuzione dell’occupazione e/o di un’espansione del lavoro nero/irregolare. La letteratura in merito è vasta ma non conclusiva e ci limitiamo a rimandare il lettore alla breve disamina già pubblicata su inGenere. Ci preme invece mettere in evidenza un rischio di tipo diverso, che cioè un profilo di potenziale beneficiario sbilanciato a favore di cittadini/e extracomunitari e lavoratori domestici - settore dei servizi e della cura alla persona - possa indebolire il supporto a favore della misura. C’è più di una risposta a questo rischio. L’essenziale è non ignorarlo.

Note

[1] L’indagine è la più recente attualmente disponibile.

[2] Per lordo si intende comprensivo dei contributi sociali e delle imposte sul reddito. 

[3] Il reddito disponibile è calcolato come la somma di tutti i redditi (non solo da lavoro) dei componenti della famiglia, al netto delle imposte e dei contributi versati, a cui vengono aggiunti i trasferimenti pubblici derivanti dal welfare; il reddito disponibile è equivalente quando viene corretto dividendolo per dei coefficienti che tengono conto del numero di componenti di una famiglia.