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Può davvero esserci una ripresa economica sotto un presidente che dichiara che "la teoria del gender è opera del diavolo"? Dati e commenti dal Brasile di Bolsonaro

Quale ripresa per il
Brasile di Bolsonaro

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Foto: Unsplash/ Marina Vitale

Il Brasile è stato costruito sulla schiavitù e sul patriarcato. I segni della storia sono visibili ancora oggi: si pensi, ad esempio, agli elevati tassi di femminicidio nel paese, o all’alto tasso di partecipazione delle donne di colore al mercato del lavoro informale, o ancora alle enormi diseguaglianze di reddito. Nonostante la Costituzione federale sia stata promulgata ormai nel lontano 1988 (con l’obiettivo di contrastare gli effetti della dittatura militare, conclusasi nel 1985), resta ancora molta strada da percorrere. A partire dal 2015, si è assistito a un taglio generalizzato della spesa sociale, il che ha indebolito la lotta alle disuguaglianze razziali e di genere, rendendo la popolazione brasiliana ancora più vulnerabile.

Durante la crisi provocata dall’emergenza sanitaria da Covid19, che ancora attanaglia il Brasile, le disuguaglianze di genere sono state sempre di più al centro del dibattito. Sin dall’inizio del 2020, quando il virus si è diffuso nel Paese, si è assistito alla chiusura di scuole e centri di assistenza diurna, all’aumento del lavoro domestico e degli episodi di violenza in ambito domestico, nonché all’impoverimento di alcune fasce della popolazione, in particolare delle donne (di colore), che sono state maggiormente colpite dalla crisi che ha riguardato il mercato del lavoro informale. Durante l’emergenza, le disuguaglianze di genere si sono rafforzate e sono diventate sempre più evidenti.

Nonostante questo scenario, il governo federale del Brasile guidato dal presidente Jair Bolsonaro non ha quasi per nulla adottato un approccio di genere nell’implementazione delle politiche di emergenza. Questo perché la classe politica al potere non ritiene che le disuguaglianze di genere rappresentino un problema sociale – esse vengono piuttosto viste come un fatto “naturale” o “voluto da Dio”, similmente a quanto avviene in altri regimi autoritari.

Nel 2019, in occasione di un raduno evangelico, Bolsonaro ha dichiarato che “la teoria del gender è opera del diavolo”. Di fronte a una tale affermazione, cosa ci dobbiamo aspettare dalle politiche pubbliche? Sotto il governo Bolsonaro, a partire dal 2019, le risorse assegnate alle questioni di genere hanno subito ulteriori tagli significativi; allo stesso tempo, anche le politiche già in atto stanno subendo una brusca virata di stampo conservatore, su impulso del ministro Pastor Damares Alves, attualmente a capo del Ministero per le donne, la famiglia e i diritti umani.

Durante la crisi sanitaria da Covid-19, l’unica politica pubblica implementata dal governo Bolsonaro in un’ottica di genere è stata l’erogazione dell’auxilio emergencial (sussidio di emergenza), un trasferimento monetario di natura temporanea rivolto a coloro che si trovavano in condizioni di estrema povertà o nel mercato del lavoro informale. Questa politica è stata attuata solo in virtù della forte pressione esercitata sia dal Congresso nazionale che dalla società. L’approccio di genere in questa misura può essere ravvisato nel fatto che essa prevedeva un sussidio doppio per le madri sole. Tuttavia, all’inizio del 2021, in concomitanza con la peggiore crisi sanitaria mai affrontata dal Brasile, il governo ha deciso per un repentino taglio del sussidio, lasciando le fasce più povere e vulnerabili della popolazione abbandonate a loro stesse. La misura è stata reintrodotta in misura fortemente ridotta solo ad aprile 2021.

Molte politiche pubbliche avrebbero potuto essere attuate durante la crisi al fine di contrastarne gli effetti negativi sulla componente femminile della popolazione. Dal momento che le disuguaglianze di genere (ma anche di natura razziale, regionale e sociale) non sono state prese in considerazione, sono destinate ad aumentare, come viene autorevolmente evidenziato da più parti. Se il governo avesse mostrato maggior vigore nel contrastare gli effetti della crisi, con il suo aver accentuato le disuguaglianze di genere, la popolazione femminile si troverebbe oggi in condizioni migliori. Tuttavia, le disuguaglianze aumentano e, una volta terminata l’emergenza, qualora venisse riconosciuta la necessità di ridurle, bisognerà mettere in campo sforzi aggiuntivi.

Dal momento che il Brasile è ancora in piena pandemia da Covid-19, con il 28% della popolazione vaccinata, è ancora difficile parlare di “ricostruzione”. Tuttavia, i segnali provenienti dal governo sono tutt’altro che incoraggianti: la proposta di bilancio per il 2021 avanzata da Jair Bolsonaro non considera minimamente la necessità di contrastare gli effetti della pandemia, come se l’emergenza fosse già terminata e non ci fosse alcun bisogno di adottare nuove politiche per compensare la perdita di posti di lavoro e di benessere durante la crisi.

Viene data ancora una volta priorità all’austerità di bilancio piuttosto che alle vite delle persone e ai mezzi di sostentamento. In questo senso, c’è stato (e ci sarà nel prossimo futuro) pochissimo spazio per un approccio di genere nell’ambito della ricostruzione dell’economia brasiliana. A meno che non aumenti la pressione della società sul governo.

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