Politiche

In attesa di un adeguamento che renda le istituzioni davvero capaci di fornire una via di uscita dalla violenza domestica, alcune donne si stanno autorganizzando. Vediamo come

Uscire dalla violenza
con il mutuo aiuto

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Foto: Unsplash/ Hello I'm Nik

Silenzio e invisibilità sono le parole con cui è più spesso rappresentato il fenomeno della violenza contro le donne, in particolare della violenza domestica: il silenzio delle vittime, l’invisibilità degli abusi perpetrati tra le pareti delle case. Eppure le donne che l’hanno subita e hanno trovato la forza per uscirne hanno un volto e una voce, e apprendere dalla loro esperienza può essere indispensabile non solo ad altre che hanno vissuto situazioni simili, ma anche ai servizi per il contrasto alla violenza di genere. In quest’ottica è interessante esplorare l’universo dei gruppi di mutuo aiuto per donne vittime di violenza, e il ruolo che svolgono nell’attivare risorse e processi di empowerment individuale e collettivo.

Il mutuo aiuto, in generale, è una strategia di intervento che propone di affrontare una situazione problematica, comune a chi partecipa al gruppo, agendo prevalentemente sulle capacità dei membri stessi. Questi fanno esperienza di un contesto protetto, non giudicante e paritario, in cui ragionare su come affrontare la difficoltà, per poi attivare modalità risolutive nella propria vita. Nel gruppo si aiuta e ci si aiuta, secondo il principio dell’helper therapy, promuovendo senso di solidarietà, appartenenza, autostima. 

Per donne vittime di violenza che vivono senso di isolamento, perdita di fiducia in sé e smarrimento, questo tipo di percorso può essere una chiave di volta nel percorso di fuoriuscita dalla violenza. Possono sentirsi capite, supportate e, soprattutto, non giudicate. Il gruppo accoglie le emozioni, le paure, per accendere determinazione e volontà nelle partecipanti.

Non a caso, i primi contesti in cui le donne hanno creato autonomamente occasioni per l’ascolto reciproco, l’elaborazione dei vissuti, e il superamento delle situazioni di maltrattamento sono stati i centri antiviolenza e le case rifugio nate in seno all’associazionismo femminista.

Oggi, i gruppi di mutuo aiuto per donne che hanno subito violenza possono essere distinti in formali e informali. I primi fanno riferimento a gruppi promossi da enti terzi: servizi pubblici, per esempio i consultori familiari, o privati, come i centri antiviolenza. Sul portale AMALO, in cui vengono riportate le realtà di mutuo aiuto in Italia, ripartite per territorio regionale e provinciale, sotto la categoria “abuso, violenza, stalking” risultano 29 gruppi che appartengono a questa tipologia, presenti in larga maggioranza nelle regioni nel Nord Italia, quasi la metà in Lombardia

Nelle interviste raccolte presso sette gruppi di mutuo aiuto nel territorio di Milano[1] che si focalizzavano principalmente su esperienze e valutazioni rispetto alla rete dei servizi, risulta da parte delle donne una generale sfiducia e delusione rispetto alla risposta ricevuta dalle forze dell’ordine e da molti operatori territoriali in merito alle proprie domande d’aiuto. “Avevo vergogna ad andare in caserma”, dice la partecipante a un gruppo, e “i servizi mi hanno portato grandi blocchi, disagi, a me e ai miei figli”. Le responsabili dei gruppi sottolineano invece la necessità di accompagnare le donne a pensare se stesse oltre lo status di vittima, perché il rischio è che non trovino nell’offerta di aiuto dei servizi le risorse per costruirsi un’alternativa e sperimentarsi in una ritrovata libertà. 

Nel complesso, il mutuo aiuto facilitato da organizzazioni ed enti terzi emerge come una modalità efficace di elaborazione dei vissuti, ricostruzione della fiducia e dell’autostima, e accompagnamento verso l’autonomia. Una partecipante descrive l’esperienza come importante per “ridimensionare il proprio senso di inadeguatezza e dare un significato alla propria sofferenza”. Purtroppo, tuttavia, si tratta di realtà ancora scarsamente presenti sul territorio nazionale, anche nelle province come quella di Milano dove sono relativamente più diffuse (in tutta la provincia Ovest di Milano, per esempio, sono presenti solo due gruppi di mutuo aiuto per donne vittime di violenza).

La seconda tipologia, quella dei gruppi informali, raccoglie le esperienze di mutuo aiuto nate spontaneamente. Sono le realtà che sembrano aprire, oggi, le prospettive più innovative, anche per l’uso inedito che viene fatto di strumenti come il web e i social network per favorire il sostegno reciproco. Questi strumenti si integrano talvolta con i servizi antiviolenza e i gruppi formali esistenti, apportando nuove potenzialità di aiuto. Sono infatti in grado di intercettare quelle donne che ancora non hanno riconosciuto la violenza e per tale motivo non hanno mai espresso domande d’aiuto alla rete antiviolenza. Il web e i social network offrono inoltre una opportunità a chi ha subito “vittimizzazione secondaria”, ovvero ulteriore sofferenza a causa di insufficiente attenzione, o di negligenza, da parte dei servizi ai quali si è rivolta. Infine, possono essere il luogo di vocalizzazione delle istanze di cambiamento. Cambiamento non solo individuale, per coloro che vogliono uscire da un rapporto violento, ma anche sociale e culturale, per combattere alla radice la violenza degli uomini contro le donne. 

Interessante, in questa prospettiva, è il caso dell’associazione Manden, nata dalla testimonianza di una donna, Grazia Biondi, vittima di violenza da parte del partner, che ha trasformato la sua sofferenza in energia nuova. Non solo, ha voluto mettere a disposizione la propria esperienza, perché proprio l’essere stata vittima le ha permesso di conoscere intimamente questo problema, e di apprendere giorno dopo giorno come combatterlo: “la speranza”, dice, “può venire solo dal confronto con chi queste storie di ordinaria follia le conosce, abbiamo bisogno di un portavoce (facilitatore) che oltre ad avere le competenze necessarie abbia soprattutto la sensibilità e il grande valore della libertà”. Così è nato, grazie a Facebook, un gruppo di auto mutuo aiuto online, che oggi conta più di 600 membri. L’associazione, inoltre, promuove campagne di sensibilizzazione, e partecipa a eventi formativi e informativi per dare voce all’esperienza delle vittime di violenza. Noi stesse, con il gruppo di lavoro Eliminate Domestic Violence (EDV Italy) coordinato da Marina Calloni presso l’Università di Milano-Bicocca, abbiamo invitato la fondatrice per una giornata di formazione rivolta ad assistenti sociali. L’associazione è stata inoltre recentemente audita alla Camera dalla Presidente Laura Boldrini, che ha auspicato più impegno per superare difficoltà burocratiche, impreparazione e superficialità da parte degli attori che devono concorrere ad assistere e proteggere le vittime.

Il principale punto di forza della rete Manden è l’aiuto concreto prestato, giorno per giorno, a chi, per le ragioni più diverse, non ha trovato sostegno adeguato da parte dei servizi, delle forze dell’ordine e della magistratura. “Il grande problema che affrontano le donne”, dice Grazia Biondi, “è la violenza secondaria”. Non è neanche “cattiva volontà”, continua, “ma solo impreparazione culturale a comprendere fino in fondo il dolore che ci attraversa l'anima”. Manca la tempestività della risposta, tanto che oggi spesso “denunciare equivale a morire”. Se dunque il sistema è deficitario, “un esercito di donne si incontra nei gruppi di auto mutuo aiuto: siamo noi la nostra ancora di salvezza”. 

Il caso di Manden è istruttivo rispetto all’opportunità e la necessità di valorizzare quelle che si possono definire “esperte per esperienza di vita”, cioè le donne che non solo stanno affrontando la propria situazione, ma hanno energia, conoscenze e volontà di essere di supporto ad altre donne. Tale competenza, di tipo esperienziale, dovrebbe integrarsi con quella professionale di operatori e operatrici, ampliando le possibilità di contrasto alla violenza domestica. Un valore aggiunto spendibile nel supporto concreto ad altre donne, ma anche nelle attività di formazione professionale e di sensibilizzazione alla comunità.

Senza mettere in discussione l’importanza di avere servizi specializzati, spazi e strumenti di protezione, e un sistema di giustizia efficace, le donne stesse che hanno subito violenza si stanno mettendo in gioco e possono insegnare molto. Mostrando come il mutuo aiuto possa non solo essere uno strumento di supporto, ma diventare un motore del cambiamento, tanto sul piano della rappresentazione delle vittime quanto su quello delle strategie di intervento.

Note

[1] Le interviste sono state raccolte da Giada Marcolungo nel territorio di Milano e dell’ex Asl Milano, ambito facente capo ai comuni capofila di Abbiategrasso, Castano Primo, Corsico, Garbagnate, Legnano, Magenta, Rho, per la sua tesi di Laurea magistrale in Programmazione e Gestione delle Politiche e dei Servizi Sociali, I vari volti del mutuo aiuto. Il web come nuova forma di solidarietà tra donne vittime di violenza domestica, discussa nel 2017  presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca.

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