In Sesso, razza e pratica del potere Colette Guillaumin mette a fuoco le connessioni tra potere, razzismo e sessismo, anticipando problematiche che nei decenni successivi sarebbero divenute centrali nel dibattito femminista sui rapporti tra native e immigrate
Sesso, razza e pratica del potere di Colette Guillaumin (Ombre Corte, 2020), raccolta di saggi pubblicati tra il 1977 e il 1992 uscita in Francia in una nuova edizione nel 2016, contribuisce a colmare un vuoto di conoscenza su un'autrice finora poco tradotta in Italia, situandosi tra le meritorie iniziative editoriali che Ombre Corte sta realizzando con le traduzioni e ripubblicazioni della produzione del femminismo materialista e marxista a livello internazionale, riportando alla luce aspetti cruciali del dibattito degli anni '70-'80, in connessione anche con una rinnovata vitalità in molti paesi degli studi ispirati a questo tipo di approccio (si vedano ad esempio le pubblicazioni degli scritti considerati ormai dei classici di Nancy Fraser e Silvia Federici).
La cancellazione in Italia del dibattito femminista marxista, che pure era stato negli anni ‘70 pionieristico a livello internazionale, è una delle cause della scarsa conoscenza dell’opera di Colette Guillaumin, con la riduttiva narrazione del femminismo francese limitata alla triade Hélène Cixous, Julia Kristeva, Luce Irigaray, il tentativo di rimozione della nostra storia coloniale e, infine, la lunga egemonia, oggi in declino, della teoria essenzialista della “differenza sessuale”.
Sociologa al Centre national de la recherche scientifique di Parigi e militante femminista, Colette Guillaumin (1934-2017) è stata tra le collaboratrici della rivista teorica del femminismo materialista francese Questions féministes, fondata da Christine Delphy e Nicole-Claude Mathieu. Già a partire dalla a sua tesi dottorato, pubblicata nel 1972 con il titolo Idéologie raciste, Guillaumin stravolge la lettura secondo cui la razza è data come una categoria naturale e a-storica che precederebbe e costituirebbe il fondamento del razzismo problematizzandone la nozione come prodotto e non come supporto del razzismo stesso. Guillaumin situa l’origine della moderna idea di razza in un preciso momento della storia europea quando i grandi cambiamenti socio-economici politici e ideologici tra il XVIII e il XIX secolo portano a un conflitto apparentemente irrisolvibile tra i valori ugualitari dell’illuminismo e l’intensificarsi dello sfruttamento industriale e la pervasività dello schiavismo e del colonialismo.
L’ideologia razzista, facendo ricorso “all’idea di natura” e legando in modo essenzialista aspetti fisici, psicologici e culturali, cercherebbe di dare risposta a questa antinomia e di giustificare dominazione e sfruttamento, così che i rapporti di potere possano essere legittimati in quanto fondati nella natura e che la subordinazione al gruppo dominante di “razza bianca” possa essere percepita come immutabile. Con questa inversione teorica del rapporto tra razzismo e razza Guillaumin fa emergere il carattere socialmente e storicamente costruito della categoria di razza, un’invenzione che trasforma i caratteri fisici in un “marchio naturale” atto a rendere invisibili i rapporti di dominio.
Il razzismo costituirebbe l’espressione ideologica e discorsiva di un rapporto sociale materiale, che Guillaumin definisce "appropriazione": non solo la dominazione e lo sfruttamento della forza lavoro di un individuo, ma la sua completa reificazione fisica e psicologica, la sua completa riduzione a forza-lavoro. Analogamente a quanto affermato per la razza, Guillaumin rovescia anche la prospettiva naturalistica ed essenzialista della differenza sessuale: la riduzione della differenza delle donne dagli uomini a dato naturale e la riduzione delle donne a elementi più vicini alla natura che alla società e alla cultura nascono dalla necessità di legittimare l’appropriazione sociale delle donne da parte degli uomini rendendo invisibili i rapporti di potere.
La stessa nozione di differenza sessuale naturalizzata non sarebbe altro che una costruzione funzionale al mantenimento delle “classi di sesso” e del rapporto asimmetrico che le crea al fine di legittimare e nascondere l’origine sociale di tale rapporto. Per spiegare i caratteri del rapporto di appropriazione delle donne da parte degli uomini Guillaumin introduce il concetto di sexage (un neologismo che le curatrici traducono come "sessaggio").
Sexage rimanda per analogia a esclavage e servage, schiavitù e servaggio, ossia a una nozione di appropriazione fisica illimitata della materialità stessa del corpo che eroga forza lavoro. Nel "sessaggio", però, Guillaumin declina a molti livelli l’appropriazione e lo sfruttamento delle donne: accaparramento illimitato fisico e psicologico del loro intero corpo, della loro sessualità, dei prodotti del loro corpo, del loro tempo e della loro energia lavorativa, della loro stessa individualità e riduzione della persona-donna a oggetto a disposizione degli uomini. Il sessaggio avverrebbe sia in forma collettiva in quanto tutta la “classe degli uomini” avrebbe il diritto di accaparrarsi il corpo e la persona della “classe delle donne” come oggetti a loro disposizione e di godere del loro lavoro non remunerato, sia nella forma privata del matrimonio o dell’unione di coppia fondata e legittimata proprio nella esistenza della appropriazione collettiva.
Il sessaggio indicherebbe quindi il rapporto peculiare costitutivo delle “classi di sesso” nell’economia domestica moderna in cui, nel modo di produzione domestico (concetto specificamente mutuato dalla teorizzazione di Christine Delphy insieme con quello di “classi di sesso”) non si darebbe la distinzione capitalistica tra la forza lavoro e il corpo materiale che la produce, ma si realizzerebbe l’appropriazione dell’intero corpo che la produce. Insomma, sia nel razzismo che nel sessismo “l’invenzione della natura”, “non può essere separata dalla dominazione e dall’appropriazione degli esseri umani” (pp.181-201): alcuni tratti biologici, come il colore della pelle o la morfologia dell’apparato riproduttivo, divengono “marchi naturali” utili a rendere visibili i dominati in quanto alterità e invisibili i dominanti, che vengono a coincidere con la norma e il neutro universale, quindi a fondare i processi di categorizzazione e gerarchizzazione.
Tuttavia, per Guillaumin, sesso e razza, benché categorie empiricamente non valide nell’ordine biologico, sarebbero però empiricamente effettive nell’ordine sociale, esprimendo allo stesso tempo verità e menzogna: verità in quanto riferite all’esistenza di un gruppo sociale e menzogna rispetto al suo fondamento nella “natura somatica” del gruppo stesso. Le analisi di Guillaumin rivestono notevole interesse per la decostruzione dell’idea di “natura” di razza e sesso contestualizzata nei processi storici della modernità. Mettendo a fuoco le relazioni di potere intrinseche al razzismo e al sessismo e tentando di analizzarne le connessioni, Guillaumin anticipa in qualche modo problematiche divenute salienti nei decenni successivi nel dibattito femminista sui rapporti tra native e immigrate.
Nella sua decostruzione del razzismo ritroviamo aspetti di attualità politica, dal momento che il razzismo viene oggi troppo spesso trattato come un fenomeno prioritariamente culturale legato alla “paura del diverso”, nascondendone l’origine strutturale nella materialità dello sfruttamento economico, a volte addirittura schiavistico, e le contraddizioni sociali che ne derivano e ascrivendo alle differenze culturali anche quelle che sono drammatiche disuguaglianze sociali, con la conseguenza di impedire in questo modo di conoscere e trattare correttamente persino le stesse differenze culturali.
Al di là delle interpretazioni attualizzanti che nella prefazione ne danno le curatrici, leggendovi elementi analitici anticipatori dell’attuale approccio intersezionale di sesso/genere, razza e classe, l’apparato concettuale di Guillaumin appartiene integralmente al quadro teorico del dibattito femminista materialista degli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso. Anche se lo sforzo analitico di Guillaumin consiste nel tentativo di far emergere l’aspetto strutturale delle diverse forme di dominazione, la concettualizzazione meramente analogica di razza e sesso, già peraltro criticata dal black feminism negli anni ‘70, non è in grado di dare conto né delle specificità strutturali dello sfruttamento e oppressione delle donne, né delle specifiche implicazioni su razza sesso e classe sociale.
Anche la nozione di sessaggio, nel significato di appropriazione del corpo erogatore di lavoro non retribuito, si situa nel quadro delle analisi degli anni ‘70 sul lavoro domestico produttivo della merce forza lavoro e della contemporanea visione delle donne come un tutto, un gruppo sociale nella sua totalità sfruttato da quello degli "uomini-padroni", laddove oggi nelle stesse analisi delle femministe marxiste l’attenzione tende più a concentrarsi sulla insolvibile contraddizione tra riproduzione sociale umana e produzione capitalistica di merci e la conseguente strutturale sottovalutazione/femminilizzazione del lavoro riproduttivo in tutte le sue forme (socializzato salariato, privato non retribuito o mercificato) e sulle differenze e i conflitti che attraversano la vita delle donne.