Voci femministe sulla vecchiaia. La vita lunga delle donne di Marina Piazza, pubblicato da Solferino
Il coronavirus e la tragedia delle residenze assistenziali per anziani hanno fatto emergere la questione sociale dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento di persone non autosufficienti. Anche in questo caso il Covid19 ha funzionato come cartina di tornasole e acceleratore di ciò che covava nella società generando l’improvviso interesse dei media verso la cura della vecchiaia, almeno in questo caso non considerata solo nell’ottica di tema attraente per il mercato. Stiamo dunque assistendo al fiorire di pelose attenzioni verso le persone anziane in cui però ancora una volta le donne, benché più numerose dei coetanei maschi (le ultra65enni sono quasi il 24% del totale di popolazione femminile, mentre i coetanei sono il 19%), rimangono nella loro differenza invisibili.
Cercare di incrinare questa invisibilità è uno degli obiettivi del libro di Marina Piazza La vita lunga delle donne (Solferino 2019). Quanto di più lontano da un estemporaneo interesse mediatico ed emergenziale, il libro non intende fornire nessuna analisi sociologica né contiene dati statistici se non per qualche accenno (le donne sono più povere degli uomini rappresentando il 64,5% di quel 37,5% di pensionati con meno di 1000 euro di pensione; le donne che vivono da sole rappresentano il 46% delle ultra65enni rispetto al 14% dei coetanei), e nemmeno si occupa delle disuguaglianze sociali tra le donne anziane.
Per Marina Piazza si tratta di una seconda puntata della riflessione iniziata nel 1999 con il suo libro Le ragazze di cinquant’anni, in cui cerca di dar conto di passaggi d’età e fasi di vita di una particolare generazione di donne che ha partecipato al movimento del 1968 passando per lotte civili e sociali degli anni ‘70 e per il protagonismo del movimento femminista. Perciò, diversamente da quanto ci si aspetterebbe dal titolo, il libro parla solo di alcune donne che hanno partecipato nel corso di tre anni ai vari incontri organizzati sul tema della vecchiaia alla Libera Università delle donne di Milano e a Lugano: 60 donne tra 60 e 78 anni, pensionate, con alle spalle un lavoro remunerato e differenti esperienze professionali e familiari.
Il libro restituisce l’esperienza di dialogo e condivisione di donne che partendo dal loro vissuto mettono in comune paure e progetti e vogliono imparare dalle altre condividendo passioni e difficoltà. Dunque il soggetto parlante è il “noi” di alcune donne di quella generazione femminista che sentono il bisogno di riflettere e investigare insieme le trasformazioni della nuova fase di vita fuori dai modelli normativi dominanti per continuare ad aprire percorsi di libertà. A differenza che negli anni precedenti è particolarmente difficile condividere il percorso della vecchiaia perché tutto si sfilaccia nelle contraddizioni e differenze individuali, tra chi è più o meno benestante, tra chi ha più o meno strumenti intellettuali, chi ha affetti famigliari e chi è sola, chi è sana e chi malata, nella trama contraddittoria delle molte vecchiaie che coesistono persino nella stessa persona.
Attingendo pure a romanzi e poesie, a saggi di psicoanalisti/e e studiosi/e che costituiscono una interessante bibliografia, Piazza ne fa un racconto collettivo, un patchwork di voci diverse che compongono la complessità dei percorsi di vita del progressivo invecchiamento.
Nei territori inesplorati di questi percorsi Piazza indaga le trasformazioni, le molte perdite ma anche i possibili guadagni. La difficile accettazione della fragilità e dei limiti dl corpo, la consapevolezza della lentezza in questa fase della vita, le paure di non aver le risorse necessarie a far fronte alle nuove debolezze, il pudore e le reticenze nel chiedere aiuto, il senso di mancanza per l’abbandono della professione amata e gratificante, la sofferta sensazione di assenza di riconoscimento e soprattutto la solitudine che, pur diversa a seconda delle situazioni famigliari, è sicuramente maggiore che in altre fasi di vita rappresentano per tutte le contrarietà e le perdite più penosamente sentite. Specie per alcune donne sole, la difficoltà o addirittura l’assenza di rapporti sessuali è sentita con un dolore lancinante. Benché vissuta in modo diverso, per tutte però la sessualità costituisce una sorta di tabù di cui si parla poco e con difficoltà ricorrendo per lo più al linguaggio dei romanzi e dei film. Ma a tutte è comune il desiderio di rapporti sessuali improntati a dolcezza e affettività più che a passione.
Oltre alle perdite ci sono i guadagni: la liberazione del tempo da un lavoro magari non amato, dalle responsabilità dei lavori di cura e dagli obblighi verso gli altri, la minore ansia da prestazione, la conquista di un tempo da dedicare a se stesse, ai propri piaceri e magari al volontariato, la novità dell’affetto dei nipoti e forse anche la possibilità di reinventarsi in qualche misura e di dedicarsi a quella che Luisa Passerini chiama la restituzione e redistribuzione del raccolto.
Insomma, nella complessità di vissuti e dimensioni soggettive differenti in cui ognuna cerca il suo percorso, si intravede un comune denominatore nell’inversione dello sguardo sulla propria vita e nella ricerca di una ricomposizione dei vari frammenti in un mosaico dotato di senso.
Quello che Piazza ha voluto fare è osservare la vecchiaia dall’interno sulla base delle interpretazioni che le donne stesse ne danno e, rovesciando lo sguardo su fragilità e libertà delle donne nella stagione, possibilmente lunga, della vecchiaia, stanare pregiudizi e stereotipi dominanti, capovolgere preconcetti e luoghi comuni. Libere di invecchiare è il leitmotiv del libro. Libere dalle rappresentazioni negative che per secoli hanno caratterizzato la vecchiaia delle donne e ancora l’accompagnano. Libere da modelli e stereotipi in voga nei media e nei trend di mercato che hanno trasformato l’età avanzata in opportunità di business, nel dogma salutistico della manutenzione giovanilistica del corpo e nella compulsiva ricerca dell’eterna giovinezza tra lifting e tintura dei capelli.
Poiché il tema centrale del libro è tratteggiare i possibili profili di libertà nel vivere la stagione dell’età avanzata, uno spazio ridotto è riservato ai bisogni e ai problemi della cura, dell'accudimento, dell’ultima vecchiaia e della non autosufficienza, delle relative istituzioni di welfare.
Alcuni sintetici riferimenti sono riservati alla travagliata scelta tra badanti e case di riposo che ha rivelato tutte le sue criticità proprio nella pandemia e rispetto a cui si propongono integrazioni e alternative che possono includere tipologie innovative di case di riposo e varie modalità di co-housing, senior housing, assisted living o friendly cohausing di cui si citano alcuni progetti italiani (come quello di Santa Marta di Asp Città di Bologna, di Borgo Mazzini a Treviso, o del Moro a Lucca), mentre l’esistenza di residenze comunali in Germania, Inghilterra e Francia è solo menzionata.
Su tematiche come queste, il libro si limita a suggerire la necessità di un cambiamento di prospettiva da parte di istituzioni e operatori, ossia di un approccio alla vecchiaia e alla non autosufficienza che sia socio-culturale piuttosto che puramente assistenziale. Esattamente il punto di cui da tempo si discute all’interno di gruppi come il "network non autosufficienza", reso quanto mai attuale dalla crisi delle residenze assistenziali scoppiata in molti paesi a causa della pandemia.