Genitori over educated e mediamente informati che non ne sapevano niente. Nidi che non si sono accreditati perché hanno frainteso il bando. Tempi strettissimi per la richiesta. Il flop dei "buoni" per nidi e baby sitter non si spiega solo con la scarsità delle risorse. Ma chiama in causa quel che più serve a una policy: informazione e applicazione

Alla fine della fiera, i buoni messi assegnati alle mamme lavoratrici che hanno rinunciato a una parte del loro congedo di maternità sono stati meno di 3.800, e delle già poche risosorse messe a disposizione è stata spesa solo una minima parte. Il voucher per l'acquisto di servizi di baby sitting e asilo nido, alla sua prima introduzione a livello nazionale in Italia, si è risolto in un flop: pochi i buoni assegnati, e poche le strutture accreditare.
Non si intende qui proporre una riflessione sulla validità o meno di questo strumento ma su ciò che è stato fatto (o non è stato fatto) per implementarlo. Commentando l’interessante e condivisibile articolo di Valentina Cardinali su questo sito, una lettrice ha scritto: «Io, mediamente informata, non ero neanche a conoscenza dell’esistenza di questo provvedimento».
La mia esperienza personale con un nido privato, e quella di conoscenti “over educated” e anche loro mediamente informati, con nidi pubblici, in una grande città del nord Italia sono simili a quella della lettrice di inGenere. Ovviamente non si può assumere l'esperienza personale di pochi come rappresentativa dell’intero universo; ma i dati a disposizione sembrano rafforzare questa impressione: forse non è stato fatto abbastanza per “socializzare” la normativa, e non solo nei confronti delle madri-lavoratrici (e alle famiglie) potenziali fruitrici del beneficio economico, ma anche verso gli asili stessi, sia pubblici che privati.
Illustro brevemente il mio caso. Una delle condizioni affinché le madri lavoratrici potessero richiedere il voucher era che i nidi facessero prima richiesta di accreditamento all’Istituto di previdenza, per poi essere inseriti in un apposito elenco (1). Dopo aver inviato per ben due volte per mail al nido privato frequentato da mio figlio la circolare Inps sull'argomento, e spiegato di persona ai titolari del nido che cosa essa riguardasse, e dopo essermi sentita rispondere «Sì, ne prendiamo senz’altro visione...», scopro che il nido non ha fatto domanda di inserimento nell’elenco, per la ragione dichiarata di aver frainteso il contenuto della circolare, confondendola con un altro contemporaneo bando per il contributo economico della regione in cui il nido è situato, per il sostegno all’utilizzo della rete di servizi per la prima infanzia; bando per il quale si sono invece attivati.
Ci si può chiedere quale sia la ratio che ha spinto il legislatore a subordinare la possibilità di fare richiesta del voucher alla condizione che la struttura frequentata dal/la bambino/a faccia richiesta all’Inps di farsi inserire in quest’elenco; e perché sia stato richiesto l’accreditamento anche per i nidi pubblici. Fatto sta che una buona parte delle strutture non si è accreditata.
L’elenco messo a disposizione delle madri contiene attualmente 1.994 strutture distribuite in tutto il territorio nazionale; se si considera che in Italia gli asili nido pubblici sono circa 3.700, a cui si aggiungono oltre 4.500 strutture private, è facile capire quanto bassa sia stata la quota di strutture inserite nell’albo; e anche prendendo in considerazione le sole strutture pubbliche, i numeri dicono che al bando ha partecipato poco più della metà degli asili.
Quali dunque le ragioni della mancata richiesta di accreditamento da parte di una così cospicua quota di strutture sia pubbliche sia private?
Viene il sospetto che l’informazione, o più precisamente la disinformazione, abbia giocato un ruolo cruciale, nella (non) implementazione di questo provvedimento legislativo (discorso che a mio giudizio può valere anche per altri ambiti di policy). L’Inps ha fatto sapere che tutte le domande arrivate sono state accolte e di aver pubblicizzato l’iniziativa tramite l’Associazione nazionale dei comuni italiani e le associazioni nazionali di categoria; secondo l'Inps l’alta quota di nidi che non hanno aderito all’iniziativa sarebbe dovuta al fatto che non c’è stato interesse da parte degli operatori. Dal canto suo, Assonidi che riunisce circa 700 strutture private presenti nel nord Italia, sostiene che il bando in sé era buono, ma è stato gestito con tempi troppo stretti per avere un’adesione alta da parte delle strutture. E stretti, strettissimi sono stati, aggiungo io, anche i tempi dati alle madri-lavoratrici per fare domanda (solo dieci giorni, dall’1 al 10 luglio).
Per parafrasare il titolo di un articolo del giurista Michele Ainis pubblicato poco tempo fa sul Corriere della Sera “troppe leggi rimangono vuote”, ossia “orfane di ogni applicazione”. Dunque incapaci di produrre i risultati sperati. Viene il sospetto, sostiene Ainis, che siano “fatte apposta per non funzionare”.
Parole che ci fanno analizzare sotto un'altra prospettiva le politiche, troppo spesso osservate in modo miope: tra le politiche sulla carta (specie quelle che dovrebbero apportare un miglioramento nella qualità della vita delle persone) e destinatari esiste una miriade di istituzioni che possono frapporre, anche inconsapevolmente, ostacoli e barriere; tra questi ostacoli, inoltre, c'è molto spesso un’inadeguata comunicazione della normativa e delle opportunità ad essa associate e una scarsa sensibilizzazione dei soggetti che dovrebbero attuarla. È come se si desse per scontato che fatta la legge, questa produrrà automaticamente e in totale autonomia il risultato per cui è stata attuata; e se questo non accade, è per un “vizio” interno ad essa.
In società complesse come le nostre in cui non è facile districarsi tra gli innumerevoli flussi d’informazione, una comunicazione tra stato/pubblico emanante, servizio e privato cittadino per essere efficace forse deve sfruttare di più le potenzialità dei legami deboli (Granovetter, 1978. Nota 2): nel caso in questione, i voucher, sarebbe stato opportuno sfruttare le potenzialità della comunicazione attuata dalle organizzazioni e dai professionisti che si collocano a livello intermedio, meso, tra il macro-livello dello Stato e quello micro dei servizi e dei cittadini.
Se per dirla alla Eleonor Ostrom (premio Nobel per l’economia per i suoi studi sui commons) l’informazione, la conoscenza delle opportunità esistenti sono un bene comune, lo stato ha il dovere di trattarla come tale, di promuovere la cittadinanza attiva e di educare ad essa; nel caso specifico dei voucher, di mettere i cittadini nelle condizioni di esercitare scelte “consapevoli” e i nidi (specie quelli privati) di capire che anche per loro, e non solo per i genitori dei bimbi frequentanti, costituisce un interesse l’inserimento nell’elenco Inps, nella misura in cui le famiglie potenzialmente interessate a fare domanda per il voucher, potrebbero decidere di non iscrivere i propri figli in una struttura che non figura in esso. Sarebbe quindi stata opportuna una più incisiva azione di sensibilizzazione proprio nei confronti di quegli operatori che l’Inps ha definito disinteressati (Prioschi, 10/07/2013), finalizzata a far capire che invece l’interesse è anche loro.
Note
(1) Ecco quanto si legge nella circolare Inps n. 48 del 28-03-2013: “Il contributo per la fruizione della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati verrà erogato attraverso pagamento diretto alla struttura prescelta dietro esibizione, da parte della struttura stessa, della documentazione attestante l’effettiva fruizione del servizio” e “Il contributo per la fruizione dei servizi per l’infanzia erogati da strutture della rete pubblica e private accreditate, potrà essere erogato esclusivamente se il servizio viene svolto da una struttura scelta dalla lavoratrice tra quelle presenti in un apposito elenco gestito dall’Istituto. Tale elenco viene formato annualmente, per tutti gli anni della sperimentazione, sulla base delle adesioni delle strutture stesse ad apposito bando, e viene pubblicato sul sito web istituzionale www.inps.it), affinché le lavoratrici possano preventivamente consultarlo al fine di effettuare l’iscrizione del bambino alla struttura prescelta, prima di presentare la domanda di ammissione al beneficio”.
(2) Granovetter M., 1978, La forza dei legami deboli.