Politiche

Sei articoli per approfondire il tema al centro del referendum sulla cittadinanza dell'8 e 9 giugno 2025. Sei voci per capire perché votare per i diritti è una battaglia femminista. Il nostro speciale

Ampliare
i diritti

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Ampliare i diritti
Credits Unsplash/Bruce Christianson

Domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025 si vota per il referendum su lavoro e cittadinanza. Su inGenere abbiamo dedicato uno speciale all'approfondimento sul tema al centro del quinto quesito, che propone di dimezzare da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia richiesti per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana.

Fiorella Farinelli, esperta di educazione e formazione, ci ricorda che, con il quesito referendario sulla cittadinanza, l'Italia si gioca la possibilità di cambiare rotta nell'integrazione delle persone straniere immigrate, perché l'immigrazione non è un destino, e questa battaglia dovrebbe andare di pari passo con quella per lo ius scholae.

Pur non trattandosi di una riforma strutturale, l'appuntamento referendario apre uno spazio politico che mette in discussione la narrazione dominante, svincolando la cittadinanza dai concetti di "merito" e "identità nazionale" che hanno reso un privilegio quello che dovrebbe essere un diritto. Lo spiega molto lucidamente nel suo articolo Stefania N'Kombo José Teresa, attivista transfemminista, esperta di comunicazione e formatrice su diversità, equità e inclusione.

Secondo Enrica Rigo, docente di Filosofia del diritto all’Università di Roma Tre, quella per l'accesso alla cittadinanza è una battaglia femminista: finché acquisirne lo status sarà solo una questione di sangue, la cittadinanza rimarrà uno strumento che, invece di favorire l'integrazione, rafforza l'esclusione dai diritti e l'oppressione delle straniere nel patriarcato.

Come scrive Marta Capesciotti, ricercatrice esperta in diritto dell’immigrazione e politiche migratorie presso la Fondazione Giacomo Brodolini, in Italia l'idea di cittadinanza è ancora associata ai legami di sangue, all'appartenenza a una stessa nazione, e non alla volontà delle persone di vivere insieme. Il referendum dell'8 e 9 giugno ci chiama a fare una scelta, e a interrogarci sul passato, sul presente e sul futuro della nostra società per creare nuove appartenenze.

Spesso infatti pensiamo alla cittadinanza come a un diritto scontato e automatico, ma non è così per tante persone giovani nate in Italia da genitori stranieri: cittadini e cittadine di fatto ma non formalmente, che non potranno andare a votare l'8 e il 9 giugno, per un referendum che invece le riguarda in prima persona, ci ricorda Barbara De Micheli, esperta di gender equality della Fondazione Giacomo Brodolini e nel comitato editoriale di inGenere.

Riformare la cittadinanza, però, non riguarda solo le figlie e i figli delle persone immigrate, ma tutta la società, come spiega bene Annalisa Frisina, professoressa associata di Visual Research Methods e Sociologia del razzismo e delle migrazioni all’Università di Padova. E parlare di "seconde generazioni" per riferirsi alle persone giovani con genitori stranieri non basta, perché equivale a trasferire lo status di migrante a chi in realtà è nato e cresciuto in Italia, e in questo modo rimarrà sempre figlio o figlia di migranti

Per saperne di più

Su cosa si vota ai referendum dell'8 e 9 giugno 2025