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Piani nazionali di ripresa e resilienza in Europa: a che punto siamo con la parità e qual è la situazione dell'Italia? L'analisi di due economiste a partire dal monitoraggio diffuso dalla Ragioneria generale dello Stato

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Foto: Unsplash/Kristine Wook

La pandemia ha rallentato i tempi per il raggiungimento della parità di genere: a dirlo è il Global Gender Gap 2022 del World Economic Forum, che segnala come la crisi innescata dalla pandemia abbia riportato la parità di genere indietro di una generazione.

Non ci resta che sperare che il Dispositivo per la ripresa e resilienza (circa 724 miliardi di euro), di cui abbiamo più volte trattato in queste pagine, possa servire da compensazione nei paesi dell’Unione europea, grazie ai progetti intrapresi con i Piani di ripresa e resilienza nazionali (Pnrr).

Un primo tentativo di monitoraggio ci è stato fornito da Ministero dell'Economia e della Finanza e Ragioneria generale dello Stato con un rapporto da poco diffuso intitolato Uguaglianza di genere intergenerazionale per la ripresa e la resilienza dei paesi europei.

Il documento è strutturato in tre parti: la prima si concentra sulle politiche adottate dall’Unione europea per la parità di genere e per i giovani; la seconda descrive, attraverso una serie di indicatori e un'analisi cluster, la situazione dei 27 paesi europei per le tematiche di riferimento; la terza tenta una stima del contributo finanziario destinato al tema della parità di genere e della promozione dei giovani e presenta le politiche intraprese dai singoli piani di ripresa, focalizzandosi su come esse rispondano alle specifiche raccomandazioni avanzate per ogni paese nell’ambito del semestre europeo. Il confronto è realizzato per gli stati membri che ad oggi hanno concluso l’iter di approvazione, ed è volto in sostanza a delineare, a fronte di simili criticità e punti di forza, analogie e differenze nelle misure adottate dai piani nazionali.

La situazione italiana nello scenario europeo

Diciamo subito che il rapporto pone l’Italia – insieme a Bulgaria, Estonia, Grecia, Croazia, Cipro, Lettonia, Lituania, Malta, Austria, Polonia, Portogallo e Romania – nel gruppo dei paesi Ue con situazioni di generale difficoltà per le donne.

Questi paesi si caratterizzano per una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro – situazione che diventa ancora più marcata dopo la maternità – a cui si associa un tasso di deprivazione materiale e abitativa più elevata rispetto alla media Ue.[1] Ne consegue che l’assenza di una indipendenza economica espone le donne a un rischio di povertà maggiore.

Per sei paesi tra quelli con situazioni di generale difficoltà per le donne – Italia, Estonia, Polonia, Austria, Cipro e Lituania – il Consiglio europeo ha esplicitamente raccomandato nel 2019 di sostenere la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, anche attraverso il miglioramento dei servizi di assistenza all’infanzia. L’attenzione volta ai servizi di cura deriva dalla circostanza che la nascita di un figlio diventa per molte donne un ostacolo alla ricerca, al mantenimento o al pieno coinvolgimento in una occupazione lavorativa. Riprendendo il titolo del bel libro della demografa Alessandra Minello, "non sono paesi per madri".

Figura 1 - Cluster dei Paesi europei relativamente ai divari di genere

 

Fonte: Rapporto della Ragioneria generale dello Stato, p. 19

Misure adottate dal Pnrr a favore delle donne

Il rapporto evidenzia che, complessivamente, i Pnrr dei 17 paesi, per i quali è stato possibile effettuare un esame dello sforzo finanziario, dedicano in media il 4 per cento delle risorse a misure che sono rivolte alle donne e alla riduzione dei divari di genere. Belgio, Finlandia, Slovenia, Svezia, Spagna, Austria, Italia e Portogallo riportano valori superiori alla media e compresi tra il 4,1 per cento dell’Italia e il 7,3 per cento del Portogallo. Negli altri paesi le risorse dedicate sono poco superiori allo zero in Lituania, a 1,8 per cento di Germania, tra il 2,2 per cento in Slovacchia e il 3,9 per cento in Repubblica Ceca.

Si mostra inoltre che i paesi con generale difficoltà per le donne, concentrano i loro sforzi verso misure finalizzate a favorire l’uguaglianza di genere, ad esempio: adeguamento o integrazione delle pensioni alle donne madri, e adeguamento dell’età pensionabile, certificazione delle imprese per parità di genere, asili di nido e servizi per l'infanzia nelle aziende, applicazione della parità di genere nelle assunzioni e nelle posizioni apicali sia nel pubblico che nel privato, misure di conciliazione vita-lavoro e riduzione divario retributivo di genere nell'ambito di riforme più generali del lavoro). Inoltre, in modo leggermente più ridotto, queste misure cercano di incentivare politiche del lavoro finalizzate sia all’incremento del tasso d’occupazione (incentivi all’imprenditoria femminile e all’assunzione) che al miglioramento delle competenze (apprendimento continuo e formazione scientifica).

I paesi con divari di genere più contenuti, invece, concentrano l’attenzione sull’implementazione di politiche per il mercato del lavoro volte a incentivare la formazione (specialistica, scientifica, digitale, verde, e alta) e a ridurre il divario del tasso occupazionale (incentivi imprenditoria femminile, incentivi alla ricerca industriale, adeguamento aliquota contributiva), nonché in forma meno sostanziosa all’attuazione di misure per favorire la parità di genere (progetti incentrati sull'integrazione delle donne nel mercato del lavoro, infrastrutture per l’infanzia, iniziative per promozione della parità di genere nelle imprese e riduzione del divario retributivo, adeguamento del sistema contributivo e pensionistico).

Figura 2. Risorse per la parità di genere per ambito di intervento e cluster. Valori assoluti in miliardi di euro e valori percentuali sul totale delle risorse dei Pnrr

Fonte: Rapporto della Ragioneria generale di Stato, p. 41; elaborazioni su dati Bruegel 

Cosa succede nella realtà italiana?

La parità di genere nel Pnrr italiano è considerata una priorità trasversale che dovrebbe essere rispettata in tutte le azioni del piano. Sul sito di Italia Domani dedicato al Pnrr, si trovano elencate le linee di intervento di ciascuna missione che favoriscono la parità di genere.

Per scelta, abbiamo deciso di concentrarci sulla "Missione 1. Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo", perché la meno scontata in ottica di genere e tra le più finanziate del piano. 

Secondo il piano, sotto la voce digitalizzazione, la parità di genere può essere raggiunta attraverso la banda larga e la connessione ultra veloce, che dovrebbero migliorare la partecipazione femminile all'economia digitale soprattutto nelle aree più svantaggiate del paese. Ancora una volta si pensa di risolvere il problema migliorando la connettività del paese senza pensare a un piano di alfabetizzazione informatica, se non attraverso il servizio civile digitale svolto a titolo gratuito.

Sempre nella missione 1, alla voce cultura e turismo, si prevede che il potenziamento e l’ammodernamento dell'offerta turistica e culturale possano accrescere l’occupazione femminile. In sostanza il piano intende aumentare la presenza delle donne in settori, quali la ristorazione, in cui sono già fortemente segregate. Eppure, molti studi hanno evidenziato da tempo che la segregazione di genere non aiuta la crescita.

Il rischio che il Pnrr non favorisca la parità di genere esiste concretamente, soprattutto perché la realizzazione del piano passerà per bandi di attuazione che spesso chiamano in causa le regioni e i comuni per la loro attuazione. In assenza di vincoli stringenti il rischio è che l’obiettivo trasversale “parità di genere” sia costantemente disatteso. 

Alleghiamo una dimostrazione di quanto affermato in questo articolo.

Note

[1] I paesi che hanno una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro si caratterizzano anche per una scarsa presenza di servizi all’infanzia e uno scarso impegno istituzionale a favore delle donne.

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