Politiche

Nel 2020 in Italia ci sono stati 100mila morti in più, i matrimoni sono dimezzati e le nascite hanno subito un calo accentuato dalla contrazione dell'occupazione femminile. Intanto il governo ha annunciato l'istituzione di un assegno unico per i figli

Nascite in calo
con la pandemia

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Foto: Unsplash/ Aiony Haust

La pandemia ha prodotto effetti importanti sulla demografia globale e del nostro paese, in parte provocando fenomeni che si spera restino “unici”, in parte imprimendo un’accelerazione a tendenze preesistenti. Nel rapporto appena pubblicato La dinamica demografica durante la pandemia Covid19 l'Istat ne mette a fuoco alcuni.

La popolazione italiana nel suo insieme l’anno scorso ha perso 384 mila persone, con un decremento paragonabile per dimensione alla città di Firenze, pari al 6 per 1000, abbastanza omogeneo sul territorio, e in apparente contraddizione con la diversa gravità che la pandemia ha assunto nelle aree del paese: la spiegazione è che sono venute meno quelle componenti positive del movimento demografico (migrazioni, interne e internazionali, maggiore fecondità) che avevano caratterizzato in anni recenti le aree del nord rispetto a quelle – ormai demograficamente fragili – del sud Italia.

I morti da Covid in Italia sono stati quasi 76 mila (solo nel 2020), ma i morti per tutte le cause sono stati 746 mila, vale a dire – calcola l’Istat100 mila in più rispetto alla media dei 5 anni precedenti. Questa eccedenza trova spiegazione in due componenti: i probabili decessi da Covid “non certificati” come tali (numerosi soprattutto nella prima ondata), e quelli dovuti ad altre patologie, provocati dalla minore assistenza ricevuta nell’emergenza sanitaria.

Se integriamo i dati Istat con quelli dell’Istituto superiore di sanità, relativi all’intero periodo osservato dell’epidemia, dal 3 febbraio 2020 al 21 marzo 2021, le donne rappresentano la maggioranza dei contagiati (il 51,3% su un totale di 3 milioni e 402 mila casi), ma una quota inferiore dei deceduti: solo il 43,9%, grazie a un tasso di letalità per loro sistematicamente inferiore a quello degli uomini: 2,6% anziché 3,6%. Vantaggio che le donne conservano in tutte le età.[1]

Si distingue per la minore letalità il personale sanitario (medici, infermieri e altri operatori), una sotto-popolazione molto femminilizzata e caratterizzata da un peso minimo o assente di anziani. Qui le donne rappresentano il 29,9% dei 311 sanitari deceduti e il 70,2% dei 127 mila contagiati, coerentemente con la quota che le donne stesse rappresentano in termini di occupazione nel settore (44% dei medici e 77% degli infermieri).

Figura1. Tassi di letalità per sesso e classi di età (deceduti per 100 casi) dal 3 febbraio 2020 al 21 marzo 2021

 

Fonte: Istituto superiore di sanità, 2021

Nel corso di un anno i matrimoni si sono dimezzati (-47,5 per 100 rispetto al 2019), ma con un tendenziale graduale riassorbimento dello shock iniziale: -80,8% nel trimestre fra marzo e maggio, -48,8 nei mesi fra giugno e settembre, -18,6 fra ottobre e dicembre. Conseguenza dei limiti posti agli assembramenti, che non hanno consentito festeggiamenti particolarmente affollati, e della chiusura obbligatoria dei luoghi di culto durante il primo lockdown, che ha inciso soprattutto sui matrimoni religiosi (-67,6 per questi, contro un -24,5 per i matrimoni civili).

Le nascite hanno superato di poco la soglia delle 400 mila unità nell’intero anno, e hanno risentito della pandemia solo negli ultimi mesi: il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo rileva un calo medio del 3,3% nel complesso dei primi dieci mesi, che poi arriva all’8,2% nel mese di novembre, al 10% a dicembre, e con valori doppi nei centri urbani di maggiori dimensioni.[2] La diminuzione si manifesta con questa intensità per gravidanze iniziate a febbraio e a marzo, le prime a essere temporalmente influenzate dal contesto pandemico.

Il calo delle nascite rispecchia quindi sia la sopravvenuta difficoltà nella scelta di avere figli in un momento di grande incertezza, sia la tendenza di lungo periodo, dovuta soprattutto alla diminuzione delle donne in età fertile che decidono di avere figli.[3] Con un numero di figli per donna pari a 1,29 nel 2019, identico a quello del 2003 (quindi a fecondità costante), le nascite erano state 420 mila nel 2019, a fronte delle 514 mila nel 2003. Dopo i 404 mila bambini nati l’anno scorso, nell’immediato futuro assisteremo prevedibilmente a un ulteriore calo dovuto all’onda lunga dei contagi del 2020.

Possiamo ipotizzare che nei prossimi mesi l'eccesso di mortalità venga riassorbito grazie alla vaccinazione, anche se con un intervallo temporale al momento non facilmente prevedibile. Migrazioni e matrimoni dovrebbero recuperare, almeno in parte, i livelli pre-crisi, scontando una tendenza di lungo periodo alla diminuzione. Quanto alle nascite, esse continueranno a subire l’effetto di un contesto di incertezza e di paura, sanitaria oltre che economica. Se l'incertezza dovuta alla crisi sanitaria verrà gradualmente attenuata, non altrettanto potrà dirsi di quella economica, che richiederà tempi più lunghi e strumentazioni complesse.

Che la sicurezza economica sia una variabile centrale nella decisione di mettere al mondo un figlio, lo dimostrerebbe anche il fatto che la riduzione delle nascite nell’ultimo trimestre dell’anno (-7,7% in media Italia) sia stata più forte non solo nel nord ovest (-9,8) l’area più investita dalla pandemia, ma anche nel mezzogiorno (-7,4) e nelle isole (-9), aree meno toccate, ma certamente più sensibili alla precarietà economica.

Figura2. Nati per ondate di epidemia Covid19 e ripartizione geografica. Variazioni percentuali anno 2020 rispetto agli stessi periodi del 2019

Fonte: Istat, La dinamica demografica durante la pandemia Covid19

In questo contesto, è da valutare positivamente l’imminente istituzione dell'Assegno universale e unico per i figli (Auuf). Eliminando una molteplicità di prestazioni, differenziate e talvolta temporanee, la nuova regolamentazione dovrebbe garantire uguaglianza di trattamento per tutti i figli, a prescindere dalla condizione professionale o non professionale dei genitori, stabilità di regole e facilità di comunicazione. Il volume di risorse destinate dovrebbe passare dagli attuali 14 miliardi di euro a 20 miliardi, peraltro insufficienti a garantire i “250 euro al mese” annunciati dal presidente del consiglio Mario Draghi e sostanzialmente equivalenti al kindergeld tedesco. A differenza di quest’ultimo, il ddl 1892 del Senato ne prevede non solo il carattere universale, ma anche progressivo, commisurato all’Isee, riferito non solo ai redditi, ma anche al patrimonio del nucleo familiare.

Difficilmente se ne potranno misurare gli effetti nel breve periodo, tenendo conto anche del fatto che l’occupazione delle donne sta vivendo una forte contrazione, e come ormai ben sappiamo rappresenta un necessario prerequisito per la libera scelta della maternità. La mancata considerazione del disincentivo che potrebbe rappresentare la misura dell’assegno all’offerta di lavoro del cosiddetto second earner (spesso, anche se non sempre, la madre) non depone a favore di un generale effetto positivo, sia per la manifestazione dell’offerta di lavoro, sia per la scelta della maternità.

L’esperienza francese, paese europeo che ha ottenuto i maggiori successi in questa direzione, ci suggerisce che solo una politica duratura e paziente, confermata nel tempo da governi di diverso orientamento, e sorretta da un generale consenso, può aspettarsi di ottenere qualche risultato. Abbiamo bisogno di un politica che sostenga le libere scelte di tutte le donne.

Note

[1] Istituto superiore di sanità, Epidemia Covid-19, aggiornamento nazionale, 26 marzo 2021. Tab. 5 per la popolazione generale e Tab.6 per i sanitari.

[2] Gian Carlo Blangiardo, intervento al seminario Vertenza futuro della Fondazione Sapienza (dal minuto 24 a 34).

[4] L’impatto della pandemia di Covid19 su natalità e condizione delle nuove generazioni. Primo rapporto del Gruppo di esperti “Demografia e Covid-19”.