Politiche

C’è una buona notizia a Roma: la copertura dei nidi è aumentata superando gli obiettivi europei. Andiamo a vedere perché e cerchiamo di capire come è cambiata la demografia della città e quali politiche hanno sostenuto questo risultato

Nidi, come Roma sta
superando l'Europa

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Foto: Unsplash/Clement Souchet

Roma ha una popolazione che negli ultimi anni non è cresciuta. A frenare questa crescita non sono le nascite di nuovi bambini e bambine, ma persone adulte che si trasferiscono in città per studio o per lavoro. Più adulti fuori sede per studio o per lavoro e meno nati ci raccontano una città in cui è difficile avere figli, e la causa principale è nel modo in cui si struttura la cura. Uno dei motivi per cui a Roma si fanno pochi figli e che a mancare sono le nonne e i nonni.

In Italia la cura è tutta delegata alle donne, i servizi per la prima infanzia spesso sono insufficienti e con orari che non coincidono con l’organizzazione del lavoro dei genitori, e quando le lavoratrici si licenziano dopo la nascita di un figlio dichiarano l’assenza dei nonni come motivazione principale. Perché i nonni, o meglio, le nonne, sono un tassello fondamentale della cura della prima infanzia.

Sappiamo che nelle scelte riproduttive pesa moltissimo l’occupazione delle donne, e che nei paesi dove le donne lavorano di più si fanno più figli. Ci si potrebbe aspettare che a Roma il tasso di occupazione femminile superiore alla media nazionale impatti positivamente sulle nascite, ma sembra non essere così. Quello che però si osserva è che aumenta la propensione a iscrivere i figli al nido.

A Roma la quota di bambini e bambine che ne frequentano uno nei primi tre anni di vita ha infatti superato la media europea. Certo, il confronto non è agevole, ma è tutto a vantaggio di Roma. Il dato reso disponibile dal comune per l’anno scolastico 2022/23 parla del 34,7% di bambini sotto i tre anni di età iscritti a un nido – pubblico, o privato in convenzione – mentre quello calcolato per l’Europa a 27 (che corrisponde al 36,2% di bambini nel 2021) include strutture di accoglienza diverse dai nidi e, a seconda del paese, conta per esempio, anche i non iscritti che frequentano irregolarmente. Ma togliendo le iscrizioni ai ‘non nidi’ e a quelli privati non in convenzione, probabilmente Roma supera l’Europa per le restanti iscrizioni.

Dieci anni fa, nella capitale, la quota delle iscrizioni ai nidi era al 28% con un incremento continuo ma lento che ha avuto un'accelerazione recente che vale la pena inquadrare anche alla luce delle recenti innovazioni nella politica locale sui nidi, i cui frutti sono visibili.

Come abbiamo visto, i dati ci raccontano che in città si arriva da adulti più di quanto non ci si nasca, e questo significa che, come spesso capita nei grandi centri, non c’è una rete familiare, o meglio, non ci sono i nonni, a sostituire o a integrare i servizi territoriali. Va considerato inoltre che Roma è una città di servizi, che ha registrato un incremento del 16,1% dell’occupazione femminile dal 2009 al 2019 raggiungendo un tasso del 59,3% (fra le donne dai 15 ai 64 anni), con una componente delle laureate che domina l’occupazione femminile romana e spiega almeno in parte perché le donne con figli piccoli abbiano tassi più alti di occupazione rispetto al resto d’Italia.

Questi presupposti ‘locali’ probabilmente motivano in parte la crescente propensione a iscrivere i figli al nido e alcuni picchi a prima vista sorprendenti: in due dei quindici municipi che compongono la città – rispettivamente il decimo e il quindicesimo – il tasso di iscrizione al nido si attesta fra il 46 e il 47%.  

E sì, la pandemia è intervenuta a segnare una battuta di arresto alle iscrizioni. Questo rallentamento ha però avuto natura temporanea, anche grazie alle innovazioni nella politica dei nidi che sono state introdotte nel 2021, quando la giunta da poco insediata, con deleghe su scuola e lavoro all’assessora Claudia Pratelli, ha deciso di abbattere il costo della retta d’iscrizione portandolo a zero per le fasce più svantaggiate di popolazione e di ampliare gli orari di apertura.

I risultati di queste politiche non si sono fatti attendere, e in un solo anno le iscrizioni ai nidi sono aumentate di quasi il 10%.

Viene naturale pensare che queste novità stiano aggredendo efficacemente quel nodo dell’accesso ai servizi che origina sì dalla retta dell’asilo – perché spesso non si tratta di una spesa coerente con il bilancio familiare e con lo stipendio della madre – ma anche dai costi aggiuntivi che un orario non compatibile con il lavoro genera, richiedendo un’integrazione con baby sitter o altri servizi privati.

Nel 2023 è stato modificato il regolamento comunale riducendo la distinzione tra genitori che lavorano e genitori che non lavorano. È soprattutto qui che vediamo allora il frutto dell’innovazione: a fronte di un servizio storicamente pensato come sostitutivo della madre lavoratrice, e soprattutto per le famiglie a doppio reddito, le misure adottate nel 2021 hanno introdotto un altro immaginario che tenta di abbattere le differenze tra madri lavoratrici e madri non lavoratrici. Se il lavoro si perde con la nascita di un figlio, insomma, il destino di una donna non è quello di prendersene cura 24 ore tutti i giorni a tutti i costi.

Questo impatta sicuramente sulle possibilità di reinserimento delle donne nel mercato del lavoro dopo la maternità, e allo stesso tempo fa un passo importante verso un modello di famiglia diverso da quello che sottende le politiche classiche per le famiglie, che puntano tutto sulle donne.

È vero, la crescita della propensione a iscrivere i bambini al nido non ha potuto evitare il calo delle nascite né il cosiddetto fenomeno dei 'nidi vuoti', con la conseguente riduzione o sottoutilizzazione dell’infrastruttura ricettiva esistente nella capitale. Da 77.171 bambini sotto i tre anni nel 2013 si è passati così ai 61.089 nel 2021, e sebbene le iscrizioni al nido siano calate meno in percentuale, il segno è stato comunque negativo. Ma la lezione recente che vediamo nelle innovazioni introdotte dalle nuove politiche sui nidi a Roma e dagli effetti immediati che hanno prodotto è che per contrastare il declino della capacità ricettiva da una parte e poi, auspicabilmente, il calo delle nascite a monte, c’è bisogno di politiche azzeccate e di adeguate risorse da investire.

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