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Si chiama smart working, o lavoro agile. Una nuova concezione del lavoro che potrebbe incontrare non poche resistenze. Mentre se ne discute in parlamento, vediamo quali sono gli aspetti positivi

Tutti i vantaggi dello
smart working

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Foto: Flickr/ Bruno

Procede la discussione parlamentare per l'approvazione di una regolamentazione giuridica dello smart workingDopo l'approvazione in Senato, il disegno di legge 4135 del 2016 è attualmente in esame alla Camera[1].

Ma di cosa parliamo quando diciamo smart working? Non si tratta di un contratto di lavoro, ma di un nuovo modo di svolgere la prestazione lavorativa, al di fuori dei locali aziendali. La finalità, che ne ha determinato l’origine, è quella di agevolare la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, come si evince peraltro in modo chiaro dalle prime sperimentazioni contrattuali in materia, che ne connettevano strettamente l’introduzione all’armonizzazione dei tempi di vita personale e lavorativa. Ad esempio, nell’integrativo aziendale della San Pellegrino, risalente addirittura al 13 marzo 2012, si legge che "le parti intendono sviluppare iniziative di welfare aziendale, nonché forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a conciliare tempi di vita e di lavoro", e in tale ottica decidono di sperimentare il telelavoro, nella sua evoluzione di lavoro agile, prendendo atto che le tecnologie informatiche sono in grado di fornire a impiegati e quadri - restringendo quindi a tali livelli le mansioni "telelavorabili" - opportunità nuove di flessibilità di tempo e di luogo, utili al cosiddetto work life balance

Il tema della flessibilità degli orari e degli spazi consente, infatti, ai lavoratori e alle lavoratrici una maggiore libertà nel conciliare i propri tempi di lavoro con i carichi di cura genitoriali e le attività domestiche e personali. Inoltre un miglior bilanciamento tra vita professionale e vita privata può essere utile, anche per l’acquisizione di alcune soft skill, ritenute fondamentali per essere competitivi nel mercato del lavoro. Come si legge, infatti, nell’ultimo rapporto sul futuro del lavoro del World Economic Forum, le competenze sempre più richieste saranno: la creatività, il pensiero critico e l’intelligenza emotiva[2]. È evidente pertanto che si tratta di skill trasversali, acquisibili non solo in ambiti formativi formali, o in contesti professionali, ma anche in quelle attività cui si dedica il tempo libero - dallo sport, al volontariato, all’associazionismo socio-culturale, all’attività politica, al teatro e alla musica - per evidenziarne solo alcune. 

Alla luce di questa considerazione occorre leggere la connessione operata dal legislatore tra tale fattispecie e la sua funzionalità, non solo rispetto al benessere del lavoratore, agevolandone le esigenze di vita e di lavoro, ma anche quale strumento utile a rendere le imprese più competitive.

Lo smart working è quindi un istituto che per una compiuta ed efficace realizzazione necessita di un sistema di riprogettazione dell’organizzazione del lavoro, al cui centro deve essere posta la persona con i propri bisogni e le proprie potenzialità. Ciò emerge chiaramente dalla definizione dello stesso fornita dall’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano, che lo ha descritto come un modello che prevede: "la riprogettazione congiunta di leve non solo tecnologiche, ma anche di natura organizzativa e gestionale, che possono essere raggruppate in tre categorie fondamentali:

  • bricks, ovvero il layout fisico degli spazi di lavoro;
  • bits, ossia la capacità di sfruttare le potenzialità delle tecnologie digitali per il ripensamento dello spazio virtuale di lavoro;
  • behaviours, in termini di stili di lavoro e policy organizzative, cultura del top management e comportamenti delle persone[3].

Questa definizione progettuale è utile anche nella lettura del disegno di legge, che è privo di una nozione specifica, e il lavoro agile viene soltanto delineato mettendone in evidenza il tratto maggiormente distintivo, anche rispetto al telelavoro, ossia la flessibilità spaziale, in quanto come si legge sempre nell’art. 15 "la prestazione viene eseguita, in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza postazione fissa"; per quanto riguarda invece la flessibilità oraria si indica che la prestazione deve essere svolta "entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva".

Riguardo agli orari di lavoro, peraltro, nel disegno di legge in discussione, in virtù dell’annessione del disegno di legge 2229, è stato ad avviso di chi scrive, positivamente inserito il diritto alla disconnessione, divenuto legge in Francia di recente. Nello specifico nel ddl si prevede all’art.16 che l’accordo di lavoro agile deve individuare i tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

Il lavoro agile è, quindi, una modalità di lavoro che può riguardare un contratto a tempo indeterminato o a termine, e che viene fissata mediante un accordo volontario e in forma scritta, dal quale si può recedere nei termini fissati dalla legge e dalla contrattazione. 

Per quanto riguarda gli aspetti legati alla salute e sicurezza sul lavoro, il modello normato è particolarmente incentrato su una responsabilizzazione dello smart worker, che è tenuto a cooperare nell’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione al di fuori dei locali aziendali. Mentre il datore di lavoro, per garantire la salute e sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in “modalità agile”, è tenuto a tal fine solo a consegnare al lavoratore o al rappresentante dei lavoratori, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e specifici connessi a tale prestazione. Quindi trattasi di una disciplina in materia di sicurezza sul lavoro molto scarna e incentrata sul duplice obbligo datoriale, in ossequio a quella che è anche la normativa generale in materia, ma anche fortemente del lavoratore che bilancia la sua maggiore “libertà” con una maggiore responsabilizzazione nello svolgere la prestazione.

La stessa ratio caratterizza anche la tutela degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali laddove viene sancita espressamente la tutela per i rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno, e anche per gli infortuni in itinere, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto, ma esclusivamente quando la scelta del luogo sia dettata da esigenze della prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare e risponda a criteri di ragionevolezza. Una previsione quindi molto vaga, e che nasconde alcune insidie, in mancanza di argini circa quello che debba ritenersi luogo idoneo e rispondente a non meglio precisati criteri di ragionevolezza.

Il quadro normativo in fase di approvazione si presenta quindi come una cornice particolarmente ampia, per la cui concreta attuazione e regolamentazione, è importante il ruolo che giocherà la contrattazione collettiva, in particolare decentrata, uno strumento che peraltro non solo ha anticipato l’innovazione, ma ha posto le basi della regolamentazione legislativa. Regolamentazione ad ogni buon conto, particolarmente utile perché l’iter normativo ha avuto già sicuramente il pregio di diffondere il dibattito sul tema, cui è senz’altro riconducibile l’incremento del numero di grandi aziende che hanno avviato progetti strutturati in tal senso - l'8% nel 2014, il 30% nel 2016, secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio sullo smart working del politecnico di Torino), mentre la sua definitiva attuazione dovrebbe incidere sulla diffusione nelle piccole e medie imprese, dove il dato è fermo al 5%, proprio per l’assenza di un quadro di agibilità normativa.

Note

[1] Il testo è l’esito dell’annessione al ddl, di matrice governativa, il n. 2233 del 28 gennaio 2016, Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro subordinato, del ddl, n. 2229 del 3 febbraio 2016, Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile nella quarta rivoluzione industriale, primo firmatario il Presidente della Commissione Lavoro al Senato, il Sen. Sacconi. Per l’analisi nel dettaglio delle peculiarità dei due ddl si consenta un rinvio a R. Zucaro, "Lo smart working: strumento per la conciliazione vita-lavoro e la produttività", in Smart working. Nuove skill e compentenze, a cura di G. Alessandrini, Quaderni di pedagogia del lavoro e delle organizzazioni, Pensa, 2016.  

[2] World Economic Forum, Future of work report, 2016.

[3] Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano, Smart working: ripensare il lavoro, liberare l’energia, novembre 2012

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