Esiste una correlazione tra le manifestazioni di odio online verso le donne e il tentativo di indebolire democrazia e diritti civili. È quanto emerge dal rapporto Armi di reazione e odio dedicato a disinformazione di genere, misoginia e abusi online contro le donne in politica in Italia e realizzato nell’ambito della ricerca Monetizing Misogyny di She Persisted, iniziativa internazionale nata negli Stati Uniti per contrastare la disinformazione di genere e gli attacchi online contro le donne in politica.
Frutto della collaborazione tra She Persisted e l’Università LUISS Guido Carli di Roma, lo studio sull’Italia è basato sull’analisi dei dati raccolti dalle principali piattaforme social (Instagram, Facebook, Twitter, YouTube) tra gennaio e marzo 2022.
Le autrici, Lucina Di Meco, esperta di uguaglianza di genere, riconosciuta da Apolitical come una delle 100 persone più influenti in materia di politiche di genere, e Nicoletta Apolito, media analyst ed esperta di comunicazione digitale per il Centro studi interculturali dell’Università di Verona, si sono avvalse della collaborazione di esperte nell’ambito dell’informazione e degli studi di genere, nonché delle testimonianze di politiche italiane in prima linea sul fronte dei diritti delle donne come Alessandra Moretti, Laura Boldrini, Maria Elena Boschi, Monica Cirinnà e Valeria Fedeli, negli ultimi anni sono state bersaglio di tentativi di diffamazione e odio online.
Il racconto delle loro esperienze mostra come la cyberviolenza contro le donne in politica abbia diverse declinazioni: dagli attacchi misogini e sessisti a quelli miranti a screditare la competenza professionale, fino ad arrivare alla diffusione di immagini e notizie false volte a danneggiare l’immagine pubblica. Il rischio maggiore rappresentato da questa tipologia di violenza, secondo la deputata Maria Elena Boschi, è quello di creare una distanza tra la politica e le giovani generazioni, dissuadendole dal prendervi parte attiva.
Il dato interessante che emerge dal report, secondo quanto dichiarato da Elena Musi, docente presso il Dipartimento di Comunicazione e Media dell'Università di Liverpool, è il fatto che "gli utenti più attivi nel denigrare attraverso risposte tossiche a post ufficiali sono anche diffusori di pensiero cospiratorio". In altre parole, chi diffonde contenuti di odio online contro le donne si fa anche portavoce di istanze antidemocratiche.
In Italia, questo aspetto si è reso particolarmente evidente a partire dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, quando sono aumentati in maniera esponenziale i contenuti filoputiniani volti non solo a diffondere informazioni false riguardanti la guerra stessa, ma anche a screditare alcuni dei valori fondativi delle democrazie moderne come l’uguaglianza di genere e il diritto all’aborto.
A fronte della pervasività della disinformazione e degli attacchi d’odio circolanti sui social, il rapporto evidenzia come i tentativi fatti finora per arginare questi fenomeni dal punto di vista legislativo non siano stati sufficienti. Secondo Valeria Fedeli, occorre "responsabilizzare le piattaforme", che si rendono altrimenti complici della diffusione di questo tipo di contenuti, applicando sanzioni economiche e istituendo una normativa contro la violenza online.
C’è però, secondo Monica Cirinnà, anche un dato confortante, relativo all’aumento, negli ultimi anni, tanto della rete di solidarietà che si crea intorno alle donne vittime di campagne di odio online quanto del coraggio di denunciare. "Non sentirsi sole", sottolinea, "è determinante".
Considerando anche la diffusione delle ideologie antidemocratiche e misogine in Europa, il microcosmo descritto nello studio di Di Meco e Apolito mette in luce quanto sia stringente la necessità di fare ricerca e vigilare sulle dinamiche in atto sulle piattaforme online, al fine di tutelare la salute delle nostre democrazie e dei loro valori, da più parti sotto attacco.
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