L'Italia non è ai primi posti tra i paesi europei per accesso alla contraccezione e alla salute sessuale e riproduttiva. L’Atlas italiano presentato a fine febbraio da Aidos nasce proprio per rintracciare in maniera approfondita le ragioni di questo ritardo
Nell’Atlas europeo 2019, che misura l’accesso alla contraccezione in 45 Stati dell'Europa geografica, l’Italia occupa la 26esima posizione con un tasso del 58%. Un valore molto lontano da quelli della Gran Bretagna, della Francia o della Spagna e più vicino a paesi come la Turchia e l’Ucraina. Il ritardo italiano è confermato anche da diversi studi nazionali. Basta citare i dati Istat per cui dopo il preservativo e la pillola, il coito interrotto rimane una pratica ancora diffusa (1 persona su 4) oppure il dato dell'Istituto superiore di sanità per cui l’89% dei ragazzi e l’84% delle ragazze cerca su internet informazioni sulle tematiche della salute sessuale e riproduttiva. In Italia la “rivoluzione contraccettiva” è ancora in via di completamento e la scelta di metodi contraccettivi più moderni fatica radicarsi per una serie di ragioni complesse e strutturate, nonché di processi che hanno cambiato l’atteggiamento della società verso la salute riproduttiva e la contraccezione[1]. Alcune regioni (Emilia-Romagna, Toscana e Puglia) hanno approvato delibere per l’accesso gratuito alla contraccezione, ma il resto del paese è ancora lontano anche da una minima sperimentazione[2].
L’Atlas italiano sull’accesso alla contraccezione presentato a febbraio dall'Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos) [3] nasce proprio per esplorare in maniera più approfondita la bassa performance italiana a livello nazionale. Le unità di rilevazione della ricerca sono stati i consultori, le unità territoriali a cui spetta per legge (n. 405/1975) un ruolo specifico nell’educazione, nella promozione e nell’accesso alla salute sessuale e riproduttiva. I consultori familiari coinvolti sono stati 132 (circa l’8% del totale). Il campione rispetta la distribuzione a livello regionale, ma i risultati della ricerca non sono generalizzabili e riflettono solo chi ha partecipato all’indagine. Gli indici finali che misurano l’accesso all’informazione e all’offerta di metodi contraccettivi, sono presentati attraverso una scala di colore che consente di discriminare le regioni a seconda del punteggio totalizzato.
Per quel che riguarda l’accesso all’informazione, il colore verde è associato, ad esempio, alla presenza di opuscoli tradotti in più lingue, alla presenza di personale che parla inglese, all’esistenza di una pagina web specifica dedicata o alla possibilità di rivolgersi a dei Punti Giovani; il colore rosso indica l’assenza di queste condizioni e il colore arancione indica situazioni di mezzo. Per l’accesso all’offerta di contraccettivi, il verde corrisponde alla disponibilità di metodi contraccettivi gratuiti verso determinati tipi di utenze, a diversi tipi di supporto (da quello sociale a quello ginecologico), a brevi tempi di attesa per un appuntamento (meno di 1 settimana) e a un numero del personale e di tipologie professionali più o meno stabile negli ultimi 10 anni; l’arancione e il rosso corrispondono a una graduale peggioramento delle dimensioni descritte.
Nella figura sotto vengono presentati i valori totali dell’indice ATALS e quelli relativi alle due dimensioni di analisi. I risultati sono espressi in percentuale ovvero come il punteggio ottenuto rispetto al massimo ottenibile (290 punti totale - 180 per l’accesso all’offerta di contraccettivi e 110 per l’accesso all’informazione).
Accesso alla contraccezione in Italia per regione (%)
I primi elementi che emergono osservando la figura è che i valori dell’indice totale sono tendenzialmente bassi rispetto al valore massimo, ma con i verdi – gialli in numero superiore ai rossi. Un altro elemento è che c’è una forte differenza tra gli indici disaggregati per le due dimensioni d’indagine. I punteggi raggiunti per l’accesso all’informazione sono infatti molto più alti di quelli ottenuti per la dimensione dell’offerta. È possibile che questa differenza rifletta il tema della gestione e della distribuzione delle risorse pubbliche e della loro scarsità. A causa della forte pressione sui bilanci, le regioni sono incentivate a investire più sull’informazione sulla contraccezione perché è meno costosa rispetto ad assicurarne l’offerta.
Le regioni che occupano i primi tre posti sono l’Emilia-Romagna, la Toscana e la Puglia con gli indici Atlas finali rispettivamente del 88%, dell’81% e del 72%, sono quelle che hanno approvato le delibere sulla contraccezione gratuita. Le ultime posizioni sono invece occupate dall’Abruzzo, dal Molise e dalla Sicilia con indicatori pari rispettivamente a 41%, 34% e 33%. Ad eccezione della Puglia e della Sardegna, in linea generale sono le regioni del sud ad accendere i valori in rosso e i dati Istat aiutano a delineare gli effetti del forte ritardo. Per dare solo il dato relativo alla popolazione giovanile (meno di 24 anni), nelle regioni del Sud e delle Isole si concentra il maggior numero di nascite da madri minorenni (lo 0,6% contro lo 0,1% del Centro Nord) e di coloro che dichiarano di non utilizzare alcuna protezione (il 20% a fronte del 10% per cento nel Nord Est).
La maggior parte delle regioni mantiene più o meno la stessa posizione in entrambe le dimensioni di analisi, ma alcune fanno eccezione. Il Lazio ha un indice sull’accesso all’offerta contraccettiva del 49% e all’informazione del 71% mentre il Friuli-Venezia Giulia ha un indice per l’accesso all’offerta contraccettiva del 56% e per l’informazione del 79%. La Sardegna ha un indice sull’accesso all’offerta molto basso (34%) mentre l’indicatore sull’informazione alla contraccezione è verde (77%). In alcuni questionari provenienti dai consultori sardi infatti, è stato sottolineato che l’impegno sul fronte dell’informazione portato avanti dalla campagna educativa della ginecologia universitaria e dei consultori, si è spesa soprattutto rispetto alla protezione ormonale (circa il 30% delle donne utilizza la pillola).
Anche i limiti emersi nello svolgimento della ricerca fanno parte dei risultati conseguiti. Oltre alla difficoltà di orientarsi tra le diverse istituzioni regionali e locali, l’avvio della fase di contatto è stato estremamente faticoso perché spesso non c’era risposta da parte delle dirigenze competenti[4]. A livello di singolo consultorio, molte delle difficoltà sono associabili alle criticità sperimentate da qualsiasi utente, ovvero gli orari di apertura limitati (alcuni consultori sono aperti solo due volte a settimana), i lunghi tempi di attesa, i tentativi di chiamata falliti e la scarsità di informazioni. Ci sono stati anche dei limiti strutturali come in Calabria, dove alcuni consultori hanno dichiarato di non essere in possesso di un personal computer o di non saperlo utilizzare o di rifiuti a collaborare, come in Lombardia dove molti consultori cattolici convenzionati si sono rifiutati di partecipare.
In linea generale, i risultati della ricerca sono il riflesso della difficoltà che i consultori attraversano da anni. I consultori familiari sono attualmente depotenziati della teoria, degli approcci e delle politiche che li hanno ideati e resi punti di riferimento. Sono infatti scarsamente finanziati, con forti differenze regionali. Non è quindi un caso se l’Italia è agli ultimi posti tra le classifiche europee per la tutela della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi, come non lo è che a versare in stato di cattiva salute siano prima di tutto i luoghi delle donne.
Note
[1] Solo per citarne alcuni, l’alto tasso di medici obiettori, la scarsa e incompleta informazione, il costo dei metodi contraccettivi e la difficoltà nel reperirli, il depotenziamento dei consultori familiari nella rete dei servizi territoriali e una cultura ancora giudicante verso le scelte che le donne fanno del proprio corpo
[2] In Puglia la delibera per la contraccezione gratuita è stata approvata nel 2008 mentre in Emilia-Romagna e in Toscana nel 2018.
[3] L'Atlas italiano sull’Accesso alla Contraccezione è stato presentato alla Casa Internazionale delle Donne alla fine di febbraio 2020 e nasce dalla collaborazione di Aidos all’annuale Contraception Atlas di European Parliamentary Forum for Sexual & Reproductive Rights (EPF), che mira a costruire un indicatore per misurare l’accesso alla contraccezione e i livelli di informazione reperibili nei paesi europei.
[4] I consultori possono operare all’interno di un dipartimento materno infantile o delle cure primarie, in dipartimenti diversi nelle diverse ASL o a livello di distretto sanitario.