Politiche

Il lavoro delle assistenti familiari, anche dette badanti, o colf, nato come risposta a basso costo per la crescente richiesta di cura da parte della società, tende a essere per chi lo svolge un'attività logorante e pericolosa

Colf e badanti, un lavoro
logorante e pericoloso

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Foto: Flickr/ ILO in Asia and the Pacific

Le riflessioni in merito all’invecchiamento della società italiana e più in generale europea si soffermano spesso sul benessere delle persone anziane, mettendo in risalto l’importanza della qualità della cura che queste ricevono, senza però riflettere sull’interdipendenza tra la salute degli anziani e il benessere delle lavoratrici che offrono loro assistenza. Anche i numerosi studi sulle assistenti familiari non hanno indagato in modo accurato le implicazioni che tale occupazione ha sulla salute delle lavoratrici. Infatti, sebbene diverse ricerche abbiano messo in luce le varie forme di sfruttamento, la precarietà, la persistenza di connotati servili e di dipendenza che caratterizzano tale occupazione, rimane nell’ombra il tema della nocività del lavoro delle badanti. Nella ricerca promossa dalle Acli Colf Viaggio nel lavoro di cura pubblicata recentemente da Ediesse, abbiamo quindi deciso di approfondire tale questione per comprendere quali sono i fattori che incidono maggiormente sullo stato di salute delle assistenti familiari, con l’obiettivo di contribuire al miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro.

Sia nei focus group (9) sia nei questionari (867) rivolti alle assistenti familiari abbiamo dunque affrontato il tema del mal da lavoro facendo domande dirette e indirette relative ai problemi di salute, alle esperienze di violenza vissute e agli aspetti più difficili del lavoro. Successivamente, in fase di analisi, i risultati di tali domande sono stati messi in relazione alle informazioni raccolte in merito all’orario di lavoro, alla disponibilità di tempo libero e al suo utilizzo, al regime di coresidenza, alla complessità tecnico-relazionale del lavoro, al rapporto con i familiari, al livello di solitudine e isolamento nonché alle caratteristiche socio-demografiche delle lavoratrici.

Dall’analisi dei dati raccolti siamo state in grado di individuare i fattori che mettono maggiormente a rischio lo stato di benessere delle lavoratrici.

Un primo dato importante riguarda la correlazione positiva tra elevati livelli di malessere psico-fisico e impegno lavorativo: le assistenti familiari che lavorano più di otto ore al giorno e che non dispongono di ore di riposo o che usano le ore di riposo per svolgere altri lavori sono più interessate da problemi di salute, come mal di schiena, insonnia, ansia e depressione. Inoltre, si riscontrano livelli più elevati di malessere tra le lavoratrici che lavorano in regime di coresidenza, cioè tra coloro che dormono presso l’abitazione della persona assistita. Si tratta di una condizione di vita e di lavoro caratterizzata dalla porosità e indefinitezza dei confini spazio-temporali tra lavoro e non-lavoro, che favorisce lo svilupparsi di problemi di salute derivanti dall’estensione della giornata lavorativa e dall’intensificazione del carico lavorativo ed emotivo. Anche le assistenti familiari possono infatti essere colpite dalla sindrome da burnout: un tipo di stress lavorativo tipico delle professioni della cura, che consiste nell’esaurimento emotivo.

Un secondo elemento significativo emerso dalla ricerca consiste nell’aver individuato un rapporto direttamente proporzionale tra la complessità tecnico-relazionale del lavoro derivante dalle condizioni di salute della persona assistita e il rischio di sviluppare problemi di salute. Chi assiste persone con limitate capacità motorie, problemi di demenza o gravemente ammalate è maggiormente interessata da problemi di salute non solo di tipo fisico, derivanti dalla movimentazione dei loro assistiti/e, ma anche psicologici, poiché può produrre nelle lavoratrici un continuo stato di ansia dettato dalle difficoltà relazionali con la persona assistita. 

L’ansia, la paura di sbagliare e la fatica fisica aumentano poi quando la lavoratrice si sente sola nell’affrontare le problematiche quotidiane. Spesso, infatti, le famiglie delegano totalmente la cura dei parenti anziani alle assistenti familiari, senza preoccuparsi delle difficoltà che le badanti sono chiamate ad affrontare specialmente se accudiscono persone non autosufficienti, oltre a dover occuparsi delle attività di pulizia della casa e preparazione dei pasti. 

Il senso di isolamento, tuttavia, non deriva solamente dalla solitudine nel lavoro, ma anche dalla lontananza dai familiari e dagli amici rimasti nel paese di origine. L’origine migrante di gran parte delle badanti rende particolarmente rilevante la questione della solitudine, facendola diventare agli occhi delle intervistate la principale problematica del loro lavoro. Per questo è importante essere in grado di cogliere non solo i fattori che incidono maggiormente sulla salute delle lavoratrici, ma individuare come questi si declinano diversamente in base alle specificità biografiche delle assistenti familiari. L’intreccio tra status migratorio e condizioni di lavoro è di certo un elemento indispensabile per comprendere il malessere delle lavoratrici impiegate nel settore dell’assistenza domiciliare.

Infine, un quarto aspetto rilevante per la salute delle badanti riguarda le esperienze di violenza, che risultano essere tra le cause più importanti del loro malessere. Le assistenti familiari, sia per il loro genere sia per le caratteristiche del lavoro che svolgono, possono essere vittime di diverse forme di violenza fisica (dalle molestie sessuali alle percosse di vario tipo), psichica (insulti e ricatti) ed economica (bassi salari, licenziamento, indisponibilità a fare domanda di regolarizzazione) commesse dagli assistiti o dai familiari. Tra le lavoratrici intervistate il 14,2% afferma di aver subito molestie sessuali, il 10,1% viene insultata frequentemente, il 5% è sovente soggetta a lanci di oggetti e il 2,1% viene picchiata spesso. Sebbene, una parte di questi comportamenti violenti siano molto probabilmente involontari, in quanto commessi da pazienti aggressivi a causa delle loro malattia, si pensi ai malati di Alzheimer, la pericolosità per le lavoratrici è comunque elevata. Abbiamo, infatti, osservato che l’esperienza di violenza è correlata in modo marcato con la presenza di elevato indice di malessere psico-fisico.

Nel complesso, lo studio condotto evidenzia quanto il lavoro delle assistenti familiari sia nocivo proprio per le sue caratteristiche intrinseche – la coabitazione, il lunghi orari di lavoro, l’isolamento, la densità emotiva e relazionale – in quanto occupazione sviluppatasi per dare una risposta, a basso costo, alla crescente domanda di cura della società italiana a scapito della qualità di vita di centinaia di migliaia di lavoratrici migranti. La tutela dei diritti e della salute delle assistenti familiari, e con loro di tutte le professioni della cura, non può che partire dal riconoscimento del valore sociale ed economico del lavoro di riproduzione in tutte le sue articolazioni e dalla costruzione di un nuovo modello di welfare inclusivo volto ad assicurare benessere sia a chi cura sia a chi viene curato. 

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