Come è cambiato il lavoro di ostetriche e professioniste della salute sessuale e riproduttiva durante la pandemia. Un reportage dall'Iran, il paese più colpito dal Covid19 in Medio Oriente
Fianco a fianco, uno
sguardo dall'Iran

Parlare d’Iran oggi significa spesso limitarsi a descrivere due grandi aspetti, opposti e contradditori, che rimandano a una visione caricaturale e stereotipata del paese: da un lato l'immagine dominante fatta di centrali nucleari, religiosi inturbantati, politici estremisti, donne sottomesse velate di nero che si recano pregando e flagellandosi al funerale della morte del generale Qassem Soleimani e che urlano contro il nemico americano; dall'altro quella di un Iran costituito da artisti, poeti, donne giovani, coraggiose e ribelli che lasciano spuntare dai loro veli ciocche colorate e rivendicano i loro diritti, sfidando apertamente l'ordine imposto.
Queste immagini contrastanti rafforzano l'idea di un paese pieno di contraddizioni. Ma in effetti, a viverci, l'Iran – e in particolare la regione di Yazd dove conduco le mie ricerche – è molto di più: la realtà in questo paese è molto più sfumata. Gli uomini e le donne iraniani che incontro per le mie ricerche sono persone che lavorano in diversi settori e stanno cercando di affrontare la grande crisi economica e sanitaria che ha colpito il paese, in particolare negli ultimi mesi con le nuove politiche internazionali dell’embargo. Sono persone che studiano in molte delle università presenti in questa regione, persone che stanno affrontando la grande emergenza sanitaria dovuta all’infezione di Sars-Cov-2. Mi sembra importante sottolinearlo perché una visione più globale di questo paese permetterà di non cadere in facili generalizzazioni soprattutto quando si parla di "donne iraniane”. Molti luoghi comuni sono la conseguenza di un discorso superficiale dei media e di alcune analisi sociologiche riduttive, che spesso presentano le donne iraniane come vittime passive. Le donne iraniane sono soggetti attivi come lo sono le donne nel resto del mondo. Ciò non esclude, tuttavia, che esse siano soggette a enormi pressioni e disuguaglianze all'interno della famiglia e nello spazio pubblico, proprio come in tutto il resto del globo.
La regione di Yazd
La regione iraniana di Yazd è la regione desertica che si trova nel centro del paese. Yazd, capitale di questa provincia iraniana situata tra il deserto del Dasht-e Kavir e il deserto del Dasht-e Lut, un tempo rappresentava il cuore del commercio della seta: la sua bellezza non ha equivalenti in Iran, dicono i suoi abitanti. Yazd era ed è tuttora il centro principale della religione zoroastriana.[1] In questa regione siamo lontani dal frastuono di Teheran al quale i giornali e i racconti dei turisti ci hanno abituati. Sullo sfondo c’è il deserto punteggiato di piccole oasi dove gli yazdi (abitanti di Yazd) si riuniscono nel fine settimana per sfuggire al caldo. Deserto, polvere, siccità, lentezza, tradizione, religione, famiglia: questi gli elementi spaziali, sociali e culturali che caratterizzano i vicoli polverosi della città. Tuttavia Yazd è molto conosciuta in Iran e nei paesi del Medio-Oriente anche per la qualità delle cure che vengono offerte negli ospedali pubblici e privati.
Dalle finestre delle case, in periodo di pandemia, Yazd potrebbe sembrare una qualsiasi città europea: le strade sono vuote di automobili, di bici e moto, alcune vicine hanno il gomito sul balcone e si sente che anche qui il tempo è sospeso. Tamineh e Fatemeh sono due ostetriche che insegnano all’università di Yazd ma che, data l’urgenza sanitaria, si sono arruolate come volontarie per lavorare nelle maternità.
L'Iran è il paese più colpito dal Covid19 in Medio Oriente e l’isolamento è cominciato nel mese di febbraio. Subito il presidente della Repubblica Islamica Hassan Rohani ha annunciato che il paese avrebbe velocemente messo sotto controllo la malattia, che all’inizio ha fatto registrare solo 7.200 morti, nonostante le difficoltà causate dalle sanzioni economiche di Washington che sicuramente hanno aggravato la situazione. Mentre queste cifre sono molto controverse, ciò che è certo è che il coronavirus ha fatto sprofondare il paese in una delle peggiori crisi che abbia mai vissuto dalla rivoluzione del 1979: stretto tra le sanzioni, il drastico calo del prezzo del petrolio e l’impossibilità di venderlo perché chi compra petrolio iraniano è soggetto a sanzioni americane, per la prima volta dal 1960 l'Iran ha chiesto un prestito al Fondo Monetario Internazionale. Un prestito a cui gli Stati Uniti si sono opposti con tale determinazione da impedirne la concessione.
Ma nelle giornate di Fatemeh e Tamineh non si parla del regime, né delle sanzioni statunitensi o dei missili balistici, come si legge sulla stampa estera. Con coraggio e determinazione, queste due ostetriche con pochi mezzi a disposizione preparano un programma per accompagnare le donne in gravidanza al parto e alla contraccezione.
Foto di Rosanna Sestito
Sin all’inizio dell’epidemia ho seguito il lavoro delle due ostetriche: ci siamo sentite tutti i giorni tramite telefono o skype anche per uno scambio di informazioni sanitarie. Contemporaneamente ho seguito un gruppo di donne che su Telegram Messenger stanno riflettendo su parto e gravidanza in tempo di pandemia, per condividere informazioni sugli ospedali e sulle professioniste della salute riproduttiva.[2]
L’Iran è uno dei paesi con il più alto numero di parti cesarei. Il parto in casa in Iran è vietato e le donne sono seguite nel loro percorso di gravidanza e parto soprattutto da personale medico. In Iran la media nazionale di parti cesarei è del 40%. A Teheran raggiunge il 52% negli ospedali pubblici e il 75% nelle cliniche private. La provincia di Yazd segue la stessa tendenza. Ricordiamo che l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda un tasso di tagli cesarei pari al 10%-15%.
La rivoluzione del 1979 ha trasformato l’Iran in un grande laboratorio socio-politico e ha segnato l’emergere dell’Islam politico nel nostro mondo contemporaneo. La rivoluzione iraniana del 1979 e l’avvento della Repubblica Islamica d’Iran sono anche all’origine di un cambiamento radicale del sistema educativo e del sistema sanitario. A differenza delle previsioni che erano state fondate su un approccio piuttosto culturalista che vede l’Islam come primo fattore esplicativo delle società musulmane, il processo di nuclearizzazione della famiglia si è intensificato e il tasso di fecondità ha cominciato a diminuire di maniera spettacolare già a partire del 1985-1986, passando da una media di 6,4 figli per donna a 3,0 nel 1996, fino ad arrivare alla media attuale di 1,5.
La diminuzione della fecondità, che si constata in tutte le province iraniane sia nel contesto urbano che in quello rurale, risulta una delle più rapide al mondo: essa si riduce di circa del 70% nello spazio di 15 anni. Il declino della fertilità è difficile da concepire senza una trasformazione globale della società e della situazione delle donne: esso annuncia cambiamenti significativi nello status di quest’ultime sia all'interno della famiglia che nella società. Dopo la guerra, la Repubblica dell'Iran ha rafforzato la pianificazione familiare e la contraccezione è diventata libera.
Alla fine degli anni '80 è stata annunciata una fatwâ (decreto religioso) a favore della contraccezione: il tasso di fertilità è calato in modo significativo. Lo slogan diffuso dai media in quel periodo era: bache kamtar zendeghi behtar (meno bambini per una vita migliore). Questi cambiamenti hanno inciso anche sull’organizzazione della professione ostetrica. Un tempo la ghaabele (ostetrica tradizionale), accompagnava le donne nel parto in casa e il mestiere di ostetrica veniva trasmesso dalle ghaabele più anziane alle giovani donne che volevano intraprendere questa professione. Le ostetriche si occupavano anche di infertilità e di aborto, mentre oggi l’interruzione volontaria di gravidanza è proibita.
Fino al 1926 non esisteva una formazione accademica dell’ostetrica. La corsa alla diminuzione della mortalità materna ha radicalmente trasformato il lavoro delle ostetriche: alcune donne e alcune professioniste denunciano oggi il fatto che nella maggior parte delle maternità iraniane, pubbliche o private che siano, le ostetriche non vengono più formate a gestire un travaglio e un parto fisiologici. L'assistenza al parto fisiologico, fortemente raccomandata dall'Oms, è praticamente scomparsa. Secondo le attiviste questa situazione porta a interventi inutili da parte dei medici e quindi all’aumento del parto cesareo.
Foto di Rosanna Sestito
In questo scenario la pandemia ha avuto un effetto inaspettato. Il 2 marzo 2020 è apparso in internet un video, girato nella città di Qom, che mostrava una camera mortuaria piena di corpi, alcuni avvolti in sudari bianchi. Altri video sul web rivelavano file di sacchi neri con dentro cadaveri allineati sul pavimento, in attesa di essere preparati per la sepoltura. Ma quello che non si è detto è che l’Iran ha conosciuto una forte partecipazione, anche volontaria, delle/dei professionisti della salute, intenzionati a dare il proprio contributo per far fronte a questa crisi.
La mancanza di personale ha costretto a uno spostamento del personale medico dai servizi di ginecologia e ostetricia verso ospedali destinati a soli pazienti Covid19. Di conseguenza numerose ostetriche sono state richiamate al lavoro per accompagnare le donne gravide e le partorienti e per gestire i centri di pianificazione familiare, i reparti deputati al post-parto e alla neonatologia. Le ostetriche, pur scarsamente dotate di dispositivi di protezione, hanno offerto assistenza sia alle donne in gravidanza sia alle donne non gravide con sintomi di Covid.
In una lettera al Ministro della Salute, i membri del Board of Examiners and Assessment of Midwifery and Reproductive Health and Midwifery (Ordine delle ostetriche), riferendosi alla chiusura di alcuni reparti di maternità e reparti di neonatologia negli ospedali destinati a pazienti Covid, hanno sottolineato come le ostetriche si siano subito messe a disposizione prendendosi cura dei servizi di salute riproduttiva.
Questo cambiamento è avvenuto sia perché molte ginecologhe devono lavorare nei reparti Covid sia perché molte donne, soprattutto nelle regioni del centro e del sud dell’Iran e nel Kurdistan iraniano, hanno deciso di partorire a casa e, in accordo con le ostetriche, hanno diminuito le consultazioni e la quantità di ecografie. Le ostetriche offrono un servizio telefonico gratuito alle donne che non presentano sintomi particolari e che non hanno patologie. Le donne con malattie pregresse oppure con un sistema immunitario compromesso vengono fortemente sensibilizzate telefonicamente alle misure igieniche da adottare per proteggersi dal contagio. Se compaiono dei sintomi vengono invitate a contattare i centri di salute presenti sul territorio e non i grandi reparti di maternità.
Le donne che hanno bisogno di cure particolari accedono ai servizi sanitari con appuntamento nelle ore in cui ci sono meno persone nelle sale d’attesa per evitare la sosta in ambienti chiusi e sovraffollati. Le donne che seguo sui social dicono di sentirsi più autonome perché l’emergenza sanitaria è un’occasione per decidere in maniera più autonoma se è veramente necessario andare in ospedale. Le donne dicono che in tempi “normali” vivono il corpo gravido come malato che necessita di continue cure e controlli da parte delle professioniste e quindi un corpo estremamente vulnerabile.
L’urgenza sanitaria diventa strumento di riflessione e di resistenza di fronte ai meccanismi di dominazione del mondo biomedico e affermano di non sentirsi passive e impaurite. Il fatto di non andare in ospedale permette loro di attingere all’esperienza di altre donne (madri, amiche, nonne) e intraprendere finalmente la via della personalizzazione delle cure tanto cara alle attiviste della nascita rispettata.
Non si tratta di rifiutare l’ospedale o le cure mediche ma “di avere uno sguardo cosciente e critico nei confronti delle cure offerte negli ospedali” racconta Soraya, utente su una rete social. Questa emergenza sanitaria permette quindi, affermano le ostetriche, di lavorare e agire dush bar dush (fianco a fianco) con le donne per fornire a queste ultime cure adeguate ma, soprattutto restituendo loro una piccola parte di quell’autonomia “che da ormai troppo tempo abbiamo perso”, scrivono alcune di loro sui social.
Note
[1] Religione monoteistica che si basa sugli insegnamenti del profeta Zoroastro.
[2] L’uso esclusivo del genere femminile si impone perché in Iran ormai da molti anni nei servizi di ginecologia e ostetricia si trovano solo professioniste donne.
I nomi propri presenti nell'articolo sono pseudonimi utilizzati per riservatezza.
Riferimenti
Azadeh Kian, Introduction : genre et perspectives post/dé-coloniales, Les cahiers du CEDREF [En ligne], 17 | 2010, mis en ligne le 01 janvier 2012, URL : https://journals.openedition.org/cedref/603
GIBBONS, L. BELIZAN, J. et al., 2010, The Global Numbers and Costs of Additionally Needed and Unnecessary Caesarean Sections Performed per Year: Overuse as a Barrier to Universal Coverage, Geneva, WHO.
ROOHOLLAH A., MILAD S., BAGHIAN N., Comparing Performance Indicators of Obstetrics and Gynecology Ward at Yazd Educational Hospitals with Expected Limits of Indicators, 2015.
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