Politiche

Molto spesso gli uomini violenti privano le donne dell'indipendenza economica. Ecco perché garantire loro le risorse per uscire dalla violenza è fondamentale. Non è chiedere troppo: la Spagna per esempio lo fa con una legge che prevede "diritti economici e lavorativi per le donne vittime di violenza di genere"

Libere di andare via.
Misure economiche per le vittime

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Negli ultimi anni, la parola “femminicidio” è passata da essere un termine usato praticamente solo dalle femministe alla cronaca dei mass media. Questo passaggio è spesso avvenuto svuotando il termine di significato. Femminicidio non significa solo “uccisione di una donna” ma “uccisa in quanto donna” ossia che la morte della vittima è l’estrema conseguenza di comportamenti misogini. Tuttavia, l’attenzione mediatica ha anche dato visibilità alla violenza degli uomini contro le donne e fatto da cassa di risonanza alle associazioni che lavorano per sostenere le vittime. E, se connivenza e silenzio sono il terreno di coltura della violenza, condannarla pubblicamente serve a non fare sentire isolate le vittime, incoraggiandole a denunciare o chiedere aiuto.

L’attenzione mediatica risulta tutto sommato positiva, ma fa riflettere che i giornali e le tv parlino della violenza subita dalle donne solo in caso di morte. Raramente si racconta che un uomo che uccide una donna l’ha prima maltrattata, picchiata, ricattata e abusata, spesso per molti anni. Il femminicidio è la drammatica punta dell’iceberg di un fenomeno molto più articolato e complesso e riflette la disuguaglianza sociale tra uomini e donne.

La violenza non si riassume in un gesto isolato, ma si compone di un insieme di azioni non necessariamente legate all'aggressione fisica. La  Rete dei Centri Antiviolenza DIRE sul suo sito spiega come la violenza domestica possa essere di diversi tipi: psicologica, fisica, sessuale, ed economica e ogni tipo di violenza non esclude l'altro, ma nemmeno lo implica.  Queste forme di violenza si danno nelle relazioni intime, allargando lo sguardo però le possiamo riconoscere su scala minore: ogni donna può sicuramente evocare episodi che vanno dalle piccole molestie, sul trasporto pubblico vanno per la maggiore, al sentirsi costrette a dire si o al percepirsi inadatte perché donne. O su scala maggiore: se, per esempio, pensiamo alla violenza economica a livello sociale ecco una scorsa veloce ai numeri per dare un’idea: le donne detengono meno ricchezza, sono meno occupate e quando lavorano guadagnano meno sia da occupate che da pensionate e sono più precarie.

La violenza economica è quella di cui si parla meno, ma ha una relazione molto forte con la possibilità delle donne, percepita e reale, di uscire da una relazione violenta. La maggior parte delle violenze avvengono in famiglia e sono perpetuate da un uomo da cui le vittime sono o sono diventate economicamente dipendenti.  Non avere risorse per mantenere se stesse e, in molti casi, anche i propri figli, è uno dei fattori che ricacciano le donne sotto il dominio di un uomo violento. Da un punto di vista delle politiche, intervenire con un sostegno economico per le vittime potrebbe avere degli effetti molto immediati e concreti nel garantire alle donne la possibilità di pensare e agire la propria fuoriuscita dalla violenza.

Nel 2004 il governo spagnolo ha varato una legge organica di protezione dalla violenza di genere. La legge affronta diversi aspetti della violenza e sono tutti accompagnati da misure concrete: dalla prevenzione, all’obbligo alla formazione del personale scolastico, al sostegno ai centri antiviolenza, tra queste. Un intero capitolo è dedicato al diritto economico e lavorativo delle donne che hanno subito violenza. Le donne che hanno denunciato un uomo violento o che sono state riconosciute vittime di violenza da un pubblico ministero possono chiedere e ottenere la sospensione con reintegro obbligatorio del loro contratto di lavoro per un massimo di sei mesi, in questo caso, come con la maternità, è lo Stato a farsi carico delle spese. Si può anche chiedere il trasferimento presso altra sede per motivi di sicurezza.  Inoltre le lavoratrici dipendenti vittime di violenza hanno diritto a flessibilità di orario (con relativa diminuzione dello stipendio) e ai permessi necessari per affrontare il proprio percorso di fuoriuscita dalla violenza. Infine, è vietato per legge licenziare una donna vittima di violenza e se è la donna a doversi licenziare mentre segue un percorso di fuoriuscita dalla violenza avrà diritto alla disoccupazione come se fosse stata licenziata.

Le lavoratrici autonome vittime di violenza, hanno diritto alla sospensione dalla tassazione fino a un massimo di sei mesi nel caso in cui sospendano la propria attività. E hanno diritto a recedere tutti i contratti in atto senza penale. Le donne che invece si trovano in uno stato di disoccupazione hanno diritto a una corsia preferenziale e personalizzata di formazione e reinserimento lavorativo accompagnata da un sistema di sussidi e aiuti economici:

- Incentivi per favorire l'inizio di un'attività in proprio

- Incentivi per le imprese che assumono donne vittime di violenza di genere

- Aiuto economico per favorire la mobilità geografica

- Corsia preferenziale per l'assegnazione di alloggi popolari

- Incentivi per compensare la disparità salariale

- Protocolli con le imprese per facilitare l'assunzione di donne vittime di violenza

A queste forme di sostegno si aggiunge il "reddito attivo di inserimento lavorativo" per cui le donne che intraprendono un percorso assistito di inserimento lavorativo godono di un sussidio che va dai sei ai dodici mesi che diventano diciotto-ventiquattro in caso di invalidità della donna o di un familiare a carico. Trovare un lavoro non è semplice, possono essere vittime di violenza donne non più giovani o senza competenze specifiche, in questo caso è previsto un sussidio economico extra che le aiuti a far fronte a un percorso di autonomia che sarà più lungo.

Nel 2013 sono stati erogati 31189 sussidi di inserimento lavorativo, tra il 2006 e settembre 2014 sono stati dati 18301 contributi per facilitare la mobilità geografica e 2783 sussidi integrativi.  

Quanto spende la Spagna per contrastare la violenza? Per il 2015 il fondo per la prevenzione della violenza di genere è di 23,7 milioni di euro. Un aumento dell'8,6% rispetto al 2014. Ma come avvertono le ventitré associazioni di donne che compongono la piattaforma "Bilancio di genere, ora!" che chiede una valutazione sistematica di genere delle politiche economico-finanziarie "questo è solo  il 77% rispetto al 2009 e, soprattutto, non basta a compensare i tagli che gli enti locali hanno operato ai servizi (centri e sportelli) contro la violenza. Inoltre non sono stati stanziati fondi per l'applicazione della Convenzione di Istanbul e per il contrasto della tratta di esseri umani sono stati stanziati solo due milioni di euro".

Numeri che le spagnole considerano ancora lontani dalle reali esigenze, ma che paragonati all'Italia sono stratosferici. Intanto le spagnole sanno fin da ora quanto verrà speso nel 2015, mentre da noi è stata annunciata solo ora l'erogazione del fondo per il biennio che sta finendo (2013-2014) ed è di 17 milioni di euro, quindi solo 8,5 milioni all'anno contro i 23,7 della Spagna. 

In Italia non esistono diritti lavorativi ed economici specifici per le donne vittime di violenza. Mentre la prevenzione lavora sul cambiamento culturale, che è necessario, ma richiede tempo, l'assistenza alle vittime lavora troppo spesso sull'emergenza, garantire alle donne forme di aiuto concreto può avere un grande impatto sia nell'affrettare la decisione di uscire dalla violenza, sia prevenire la recidiva, dando alle donne la possibilità di tornare a camminare a testa alta, sulle proprie gambe.