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Più nonne, meno zie, pochissime nipoti. Le trasformazioni demografiche in corso stanno modificando profondamente i ruoli familiari e le reti parentali, che, ci spiega una sociologa, sono sempre più "lunghe e strette"

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Foto: Unsplash/Clark Van Der Beken
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Negli ultimi decenni abbiamo assistito a profondi mutamenti della natalità e della mortalità, ma anche delle tipologie familiari. Tra il 1950 e il 2020, il numero medio di figli per donna è sceso da 2,36 a 1,24; la speranza media di vita è salita da 63,7 a 81,1 anni per gli uomini, e da 67,2 a 84,7 per le donne; i nuclei familiari composti da una persona singola sono saliti da poco più del 10% a quasi il 40%, mentre quelli composti, oltre che da una coppia ed eventuali figli, da altri parenti (nonni e nonne, zii e zie, ecc.) sono scesi dal 20% al 4%.

Da un lato, questi mutamenti sono noti e forniscono, per il loro impatto sul sistema economico e sociale, importanti spunti di riflessione; dall'altro, il dibattito pubblico sembra trascurare le conseguenze che hanno sulle reti parentali, composte, cioè, da quelle persone che, di norma, pur non essendo nostre conviventi, rivestono un ruolo centrale nell'ambito delle relazioni e disegnano ruoli familiari rilevanti per la nostra identità.[1]

Come cambiano le famiglie
 

Stando ai dati rilevati dall'indagine multiscopo dell'Istat Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vitarelativa all'anno 2016, sulla generazione delle persone con almeno 50 anni di età, la denatalità si è tradotta, sostanzialmente, in una forte contrazione di chi ha avuto almeno tre o quattro figli e in un incremento di chi ne ha avuti due, o uno solo.

Nelle generazioni successive, composte da chi ha tra i 30 e i 40 anni, la denatalità si sta traducendo, invece, oltre che in un'ulteriore contrazione del numero di figli avuti, in un aumento delle persone che non hanno figli, salite da circa il 25% nella fascia d'età compresa tra i 40 e i 49 anni a quasi la metà di quella tra i 30 e i 39 anni, a fronte di valori inferiori al 15% per le generazioni precedenti. Certo, chi ha meno quanrant'anni può ancora "recuperare"; ma sembra improbabile che questo si traduca in dati analoghi a quelli delle precedenti generazioni. In ogni caso, difficilmente il recupero potrà riguardare una percentuale consistente delle persone tra i 40 e i 49 anni.

La denatalità comporta non solo che meno persone diventino genitori, o non lo diventino affatto, ma anche che i loro eventuali figli abbiano un numero decrescente di fratelli e sorelle, o che non ne abbiano. Se, tra le persone con più di 60 anni, circa il 15% ha avuto tre fratelli o sorelle e il 20-30% almeno quattro, queste percentuali scendono a circa il 10% e al 15% per le persone di 50 anni, al 12% e al 10% per quelle di 40; nelle generazioni più giovani, i valori sono pari al 10% e al 6% per le persone di 30 anni, al 7% e al 4% per quelle di 20.

Sono quindi aumentate, specularmente, passando dal 15% al 50%, le persone che hanno un solo fratello o una sorella e, seppur in misura molto minore, dal 10% al 16%, quelle che non ne hanno. Ne consegue che, poiché la diminuzione del numero di fratelli e sorelle riguarda anche chi ha tra i 40 e i 60 anni, ossia gli attuali "genitori", per i loro figli diminuisce la probabilità di avere più zii e zie, cugini e cugine. E, in prospettiva, possiamo ipotizzare che aumenti la probabilità di non averne.

Speranza di vita e parentele

Altrettanto rilevanti i mutamenti sulla parentela derivati dall'aumento della speranza di vita. Attualmente, la quasi totalità delle persone, fino ai 25 anni, ha sia la madre che il padre ancora in vita; successivamente la percentuale diminuisce, ma solo per quanto riguarda i padri, che comunque sono ancora presenti nel 70% dei casi per chi ha tra i 40 e i 44 anni e nel 35% per chi ne ha tra i 50 e i 54.

Ancora più rilevante la permanenza in vita delle madri, dovuta sia alla loro maggiore longevità, sia al fatto che le donne sono di norma più giovani del loro partner. Ha la madre ancora in vita non solo la grande maggioranza delle persone adulte – il 90% nella fascia d'età tra i 40 e i 44 anni, quasi il 70% in quella tra i 50 e i 54 anni – ma anche una percentuale piuttosto consistente delle persone "quasi anziane", il 30% di chi ha tra i 60 e i 64 anni, o anziane, il 10% di chi ne ha tra i 65 e i 74.

Aumenta anche la probabilità di avere a lungo ancora in vita almeno un nonno o una nonna: ciò riguarda la quasi totalità di chi ha meno di 20 anni, il 70% di chi ne ha fra i 20 e i 30, circa la metà delle persone tra i 30 e i 40 e il 15% di quelle tra i 40 e i 50. Il numero di nonni e nonne in vita diminuisce progressivamente all'aumentare dell'età: se fino ai 20 anni, oltre l’80% ne ha almeno tre, già a partire dai 30-34 anni diventa maggioritaria la percentuale di chi ne ha al massimo uno. Quello che ci interessa qui rimarcare è che si rimane per lungo tempo non solo figli e figlie, ma anche nipoti.

Percentuale di chi ha in vita la madre, il padre e almeno un nonno per classe di età

Fonte: elaborazione autonoma dati Istat, Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vita. Anno 2016

Scelte di coppia posticipate

Gli ultimi vent'anni sono stati caratterizzati anche dalla posticipazione dell'età in cui le persone giovani escono dalla famiglia di origine, ne costituiscono una propria e hanno figli. Il risultato è che tra le persone fra i 40 e i 44 anni, mentre ancora vent'anni fa quasi il 90% aveva già costituito un proprio nucleo familiare ed era diventato genitore, oggi tale percentuale è scesa attorno al 70%. Poiché il 94% delle persone in questa fascia d'età ha ancora almeno un genitore in vita, tra chi è pienamente adulto è più probabile essere "ancora" figlio o figlia che "già" genitore, e che la propria famiglia sia quella dei genitori, piuttosto che quella costruita autonomamente.

La posticipazione delle scelte di coppia delle persone giovani si traduce in una posticipazione dell'età in cui quelle anziane diventano nonni e nonne, e fa sì che, anche in età matura, le persone che hanno almeno un genitore in vita siano più numerose di quelle che hanno almeno un/a nipote (figlio/a di figlio/a): il 73,7% contro il 10,1% tra i 50 e i 54 anni, il 55% contro il 25,5% tra le persone 55-59enni. Solo a partire dalla fascia d'età 60-64 anni, i due dati, pur essendo molto vicini, si invertono – il 34,4% contro il 41,8%.

Percentuale di chi ha in vita almeno un genitore e di chi ha almeno un figlio e almeno un nipote per classe di età 

Fonte: elaborazione autonoma dati Istat, Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vita. Anno 2016.

Parentele "lunghe e strette"

Questi mutamenti non ridisegnano solo i ruoli familiari nelle diverse fasce d'età, ma anche l'assetto delle reti parentali. Da un lato, la denatalità comporta reti sempre più "strette": non solo meno fratelli e sorelle, ma anche meno zii e zie, cugini e cugine. Dall'altro, l'aumento della speranza di vita si traduce in reti sempre più "lunghe".

In relazione a quest'ultimo fattore, un esempio estremo emerge da una fotografia apparsa il 26 febbario 2017 sul Corriere della sera, che ritrae sei generazioni di donne compresenti sulla scena familiare: la neonata Nicole, la neomamma sedicenne, la nonna 36enne, la bisnonna 54enne, la trisnonna 74enne e la madre 93enne di quest'ultima, per la quale non disponiamo del termine esatto per indicare il ruolo familiare, se non quello generico di "ava".

E se un caso come questo è del tutto eccezionale, quattro generazioni stanno diventando frequenti e tre sono ormai la norma. Semmai, specie in Italia, questo processo sta rallentando proprio a causa della posticipazione delle scelte procreative in atto.

Attualmente, le reti parentali sono composte da un crescente numero di generazioni, ma ogni generazione vede un numero decrescente di componenti. Non a caso, fino ai 24 anni, le persone con "ancora" un nonno o una nonna sono ancora più numerose di quelle con uno zio o una zia (l'83,8% contro l'81%), e il divario è più accentuato tra chi ha 18/19 anni (92,9% contro 81,8%). Anche se mancano dati su chi ha meno di 18 anni, per questi e queste giovani lo scarto sarà ancora più marcato.

È inoltre interessante sottolineare che l'allungamento della parentela riguarda soprattutto le donne: se, considerando la parentela dalla prospettiva di chi è più giovane, è più probabile avere ancora in vita (e per lungo tempo) le nonne che i nonni (o le bisnonne rispetto ai nonni), se la si considera dalla prospettiva delle persone anziane, sono le donne che, a parità di età, sono più frequentemente nonne prima, e bisnonne poi.

L'impatto sulle generazioni

Ci si può allora chiedere cosa comportino questi mutamenti strutturali per le diverse generazioni, a partire da bambini e adolescenti.

Molto è stato scritto sull'essere figli unici, o sull'avere genitori separati e che hanno costituito una nuova famiglia; credo, però, che bisognerebbe ragionare anche su cosa significhi avere pochissimi zii e zie che, con la loro probabile pluralità di caratteri, storie personali, collocazioni sociali, possono costituire figure adulte di riferimento complementari, se non alternative a quelle dei genitori. Con questi ultimi, infatti, c’è, di norma, un forte affetto, ma anche la necessità di differenziarsi, non senza contrapposizioni e conflitti.

Se ci sono meno zii e zie, ci sono tuttavia più nonni, e soprattutto nonne, che vivono più a lungo. Con loro si possono avere, e di solito si hanno, relazioni affettive importanti e probabilmente più significative di quelle con gli zii o i cugini. Però, è anche vero che con nonni e nonne esiste una distanza generazionale, per via della quale è meno facile percepire un senso di contiguità.

Inoltre, rispetto a zie e zii, nonne e nonni possono manifestare aspettative più alte nei confronti dei e delle nipoti, relative sia ai comportamenti nella vita quotidiana sia alle scelte future, che si intrecciano (spesso rafforzandosi, ma talvolta contrapponendosi) a quelle dei genitori. Specie in un paese fortemente familistico come l'Italia, si può generare un sovraccarico relazionale e di aspettative. Questo è particolarmente vero se ci sono pochissime altre persone, all'interno della famiglia, sulle quali distribuire aspettative e desideri.

Cosa comporta il fatto che, anche dopo i trent'anni, sia più probabile avere ancora non solo i genitori, ma anche nonni e nonne, che non l'aver costituito una propria famiglia? Fino a pochi decenni fa, diventare persone adulte era qualcosa di connesso al compimento di una determinata età, che poteva oscillare tra i 25 e i 30 anni, ma si accompagnava anche ad avere un lavoro tendenzialmente stabile e all'aver costituito una propria famiglia, altrettanto tendenzialmente stabile.

Percentuale di chi è nonno/nonna, bisnonno/bisnonna per classe di età

Fonte: elaborazione autonoma dati Istat, Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vita. Anno 2016.

Nuove domande

Ma oggi, quando si diventa persone adulte? Cosa comporta, per l'identità individuale, vivere ancora nella famiglia di origine e, anche a causa della posticipazione dell'ingresso nel mondo del lavoro e della crescente precarietà occupazionale, essere a carico dei genitori e non aver costituto una propria famiglia autonoma? O il non essere più la generazione di raccordo tra quella dei propri figli e quella dei genitori, ma averne due – quella dei genitori e quella dei nonni – a precedere e nessuna a seguire?

E per le persone di sessant'anni, cosa significa essere "ancora" figli e non essere invece nonni e nonne? E pensare che, forse, non lo si diventerà proprio? O, in altri casi, essere al contempo nonne e figlie? Avere, da un lato, la necessità di prendersi cura dei nipoti, supportando così i genitori e agevolando la presenza, nel mondo del lavoro, di figlie o nuore; dall'altro, di gestire genitori molto anziani, spesso non più autosufficienti e bisognosi, a loro volta, di essere accuditi? E, infine, cosa significa diventare orfani a 60-70 anni, quando la perdita dei genitori si intreccia con l'uscita dal mondo del lavoro e con l'affacciarsi alla propria età anziana?

E, infine, per le persone più anziane, cosa comporta, in termini identitari, rapportarsi sia con una lunga vecchiaia e con il rischio di una mancata autosufficienza, sia con questa nuova possibilità di vedere la propria storia familiare continuare ad allungarsi alle generazioni successive?

I mutamenti in atto ridefiniscono, seppur in modi differenziati per le diverse fasce d'età, le reti parentali, disegnando nuovi ruoli e assetti familiari e rendendo necessario rielaborarli in modo ugualmente innovativo. Questo vale soprattutto per le persone adulte, nelle loro relazioni sia con i figli (a lungo dipendenti economicamente, ma intenzionati a rivendicare una totale autonomia nelle scelte di vita), che con i genitori e gli eventuali nonni (di norma autonomi economicamente, ma spesso dipendenti nella quotidianità). E vale per le persone anziane, le cui relazioni con figli, nipoti e pronipoti, devono sempre più tener conto della possibilità che abbiano modelli di vita, lavoro e famiglia distanti dai propri.

Sfide per il welfare

I mutamenti qui descritti hanno già cominciato a porre nuove sfide al sistema di welfare, e sono destinati a farlo ancora di più in futuro, dal momento che stanno ridisegnando il lavoro di cura. Da un lato, sempre meno adulti si trovano coinvolti nella cura delle persone più piccole, dato che hanno meno figli o figlie e nipoti, o non ne hanno; dall'altro, le età mature e le prime età anziane sono e saranno tendenzialmente più coinvolte nella cura, o almeno nei processi decisionali al riguardo, dei loro genitori – i cosidetti "grandi anziani".

Questo è dovuto non solo al prolungamento della speranza di vita e all'insorgenza di patologie e di un'autosufficienza ridotta, ma anche in quanto il minor numero di fratelli e sorelle comporta minori possibilità di condividere il lavoro di cura.

L'effetto di tutto ciò sui sistemi di welfare non è secondario. Il fatto che tradizionalmente il lavoro di cura delle persone anziane fosse appannaggio delle donne – in quanto mogli, figlie o nuore dei grandi anziani – ha, di fatto, reso meno impellenti politiche a sostegno della non autosufficienza. Ciò è stato possibile non solo grazie a un modello culturale sostanzialmente condiviso che prevedeva una titolarità femminile della cura e una ridotta presenza delle donne in età tardo-adulta nel mercato del lavoro, ma anche in virtù del fatto che la stragrande maggioranza delle persone aveva una propria famiglia con figli.

A questo si aggiunge che lo scenario futuro sta entrando, o meglio è già entrato, in crisi, come sembra testimoniare la grande diffusione del "modello badante". Da un lato, le donne condividono sempre meno un modello culturale che assegna loro la quasi esclusiva titolarità della cura – oltre a essere sempre più presenti anche in età matura nel mercato del lavoro; dall'altro, aumentano le persone anziane prive di un proprio nucleo familiare o, anche, con solo uno o due figli maschi. Ne consegue che il lavoro di cura o, almeno, la necessità di affrontare questo problema, coinvolgerà quote crescenti di uomini in quanto figli unici o con solo un fratello.

Gli effetti di tutto questo sulle identità maschili sono ancora da analizzare; ma chissà che ciò non si traduca in un possibile effetto di spinta verso politiche pubbliche adeguate.

L'articolo è una versione modificata, e con una maggior attenzione alle differenze di genere, di "I mutamenti in atto dei ruoli e delle reti familiari. Alcuni dati e molti interrogativi", Il Semestrale, n. 2. 

Note

[1] Di seguito propongo alcune elaborazioni dei dati rilevati dall'indagine multiscopo dell'Istat Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vita, relativa all'anno 2016. Condotta ogni cinque anni a partire dal 1998, quest'analisi rappresenta la principale fonte statistica sulla struttura familiare e sulle caratteristiche sociali delle famiglie nel nostro paese. Nonostante l'indagine non abbia coinvolto i minori di 18 anni, è facile ipotizzare che i nuovi assetti della rete parentale riguardino anche loro, considerando l'accentuarsi della denatalità e dell'invecchiamento degli ultimi vent'anni.

Riferimenti 

Carla Facchini, "La trasformazione delle generazioni anziane" in, Istat, Dall'incertezza alla decisione consapevole: un percorso da fare insieme, Istat, Roma, pp. 264-272, 2020

Carla Facchini, "Caring for non-self-sufficient older people in Italy: from a familistic system to the immigrant live-in careworker model", Public Sciences & Policies, Population ageing and Public Policies, vol. VI, n.2, pp.149-168, 2021