Politiche

Entro il 2026 i paesi dell'Unione europea dovranno realizzare una serie di interventi avvalendosi dei fondi che l'Europa ha stanziato per uscire dalla crisi. Tra gli obiettivi, anche la parità di genere. Due esperte ci spiegano come l'Italia vorrebbe colmare il gap

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Foto: Unsplash/ Martin Sanchez

Nonostante i progressi compiuti nell’ultimo decennio, in Italia persistono rilevanti disuguaglianze di genere: il nostro paese occupa in Europa l’ultimo posto in termini di partecipazione al mercato del lavoro, opportunità di carriera, retribuzione, segmentazione orizzontale dell’occupazione e onere non retribuito della cura della famiglia.

Ai ritardi di tipo strutturale, si è aggiunta la recente crisi che rischia di acuire i divari tra uomini e donne e le sue forme più drammatiche, come la violenza di genere.

In un anno e mezzo dall’inizio della pandemia da Covid19, le donne hanno subito in maniera sproporzionata rispetto agli uomini l’impatto della crisi, che ha colpito maggiormente i settori a presenza femminile.[1] In tale contesto, a maggio 2020 la Commissione europea ha presentato il pacchetto Next Generation-EU da 750 miliardi di euro, il 90% dei quali assorbito dalla recovery and resilience facility. Quest’ultima, avvalendosi di 672,5 miliardi di euro a sostegno di riforme e investimenti negli stati membri (di cui l’Italia è in valore assoluto la maggiore beneficiaria con 191,5 miliardi di euro), rappresenta la fonte primaria d finanziamento dei piani nazionali di ripresa e resilienza.[2]

La recovery and resilience facility propone un impianto fortemente innovativo: diversamente dalla tradizionale logica dei fondi strutturali, il meccanismo di finanziamento dei piani di ripresa è basato non sulla spesa sostenuta (input), bensì sulla performance (output), essendo strettamente connesso al soddisfacente raggiungimento (entro il 2026) di specifici traguardi qualitativi (milestones) e obiettivi quantitativi (targets), da indicare per ogni progetto con relativi tempi di realizzazione.

Tra i contenuti obbligatori dei piani di ripresa vi è anche l’indicazione delle modalità attraverso cui le strategie di riforma e investimento in essi contenute contribuiscono alla parità di genere, nonché l’esigenza di promuovere questo obiettivo lungo tutto il processo interessato, quindi anche nella fase di attuazione dei Piani.[3]

La promozione della parità di genere rappresenta una delle tre priorità trasversali del piano di ripresa italiano, accanto alla riduzione delle disparità generazionali e al riequilibrio dei divari territoriali. Tale obiettivo è stato rafforzato con l’introduzione di una “clausola di condizionalità” che richiede alle imprese aggiudicatarie di appalti effettuati per la realizzazione degli interventi del piano di ripresa di assumere donne e giovani per una quota pari almeno al 30 per cento, salvo eccezioni da motivare adeguatamente.[4]

Secondo le stime del Ministero dell'economia e delle finanze, l’impatto complessivo delle misure previste dal piano produrrebbe una maggiore crescita dell’occupazione femminile con un differenziale di circa 1,2 punti percentuali rispetto all’occupazione maschile nel triennio 2024-2026.[5]

Per individuare più specificatamente il potenziale contributo del piano di ripresa sui divari di genere, è stata recentemente effettuata una valutazione ex ante, individuando da un lato le misure del piano che possono contribuire, direttamente o indirettamente, a contrastare i divari misurati tramite alcuni indicatori rappresentativi (es: tasso di mancata partecipazione femminile al lavoro, occupazione relativa delle madri, asimmetria nel lavoro familiare, laureati/e nelle materie tecnico-scientifiche su 1000 residenti, persone che vivono in famiglie con grave deprivazione abitativa, speranza di vita in buona salute alla nascita), dall’altro analizzando la composizione per genere dell’occupazione nei settori di attività economica immediatamente attivati dal piano.

Lo studio evidenzia che contribuiscono a ridurre il tasso di mancata partecipazione femminile al lavoro e a innalzare l’occupazione femminile, in via diretta, interventi della missione Istruzione e ricerca, come i partenariati allargati estesi a università, centri di ricerca, imprese e il finanziamento di progetti di ricerca di base che riservi una quota di assunzioni (del 40 per cento) a tempo determinato alle ricercatrici, nonché le misure della missione Inclusione e coesione legate all’incentivazione dell’imprenditoria femminile.

È prevista anche l’introduzione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere per indirizzare le imprese nel rispetto del principio di parità retributiva attraverso un rafforzamento della trasparenza salariale. Inoltre, diversi interventi rivolti alla qualificazione o riqualificazione dell’offerta di lavoro, come la valorizzazione delle politiche attive e l’apprendistato duale, se attuati tenendo conto del genere, potrebbero determinare maggiori benefici per le donne rispetto al passato.

Con riferimento alla riforma della pubblica amministrazione, nella componente Digitalizzazione, innovazione e sicurezza della PA, va segnalato che i nuovi meccanismi di reclutamento e la revisione delle opportunità di carriera verticale e di promozione alle posizioni dirigenziali di alto livello, potrebbero contribuire al riequilibrio di genere delle posizioni apicali nella pubblica amministrazione e rappresentare un modello anche per il settore privato.

Tra le misure con implicazioni indirette e tendenzialmente differite nel tempo, si ricordano nella missione Istruzione e ricerca, solo per citare le principali: il piano asili nido e servizi, il potenziamento dei servizi educativi dell’infanzia (3-6 anni) e delle “sezioni primavera", nonché la diffusione del tempo pieno a scuola con la presenza del servizio mensa e delle attività sportive.

Analogamente, nella missione Inclusione e coesione, le misure che prevedono la valorizzazione di infrastrutture sociali possono creare nuovi posti di lavoro retribuito per le donne e, al contempo, alleggerirne i carichi di cura.

Potrebbe agire nella stessa direzione, la misura relativa alla casa come luogo di cura, inclusa nella missione Salute, la quale prevede strumenti atti a rafforzare anche in modo innovativo l’assistenza domiciliare integrata.

Altri investimenti da guardare con interesse per ricadute indirette sono quelli connessi alla componente Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo, poiché sono un presupposto per una maggiore partecipazione femminile all’economia digitale, ma anche la base per fornire all’imprenditoria femminile strumenti con cui ampliare il proprio mercato. Come nel caso delle infrastrutture sociali, anche garantire l'efficienza dei mezzi di trasporto pubblico potrebbe liberare tempo per le donne che li usano di più degli uomini. 

[Nel grafico a destra le risorse del piano italiano, classificate secondo una prospettiva di genere in miliardi di euro e in percentuale]

Al fine di aumentare il numero di donne negli ambiti professionali tradizionalmente maschili, ovvero quelli tecnici e scientifici, sono previsti interventi per la promozione della didattica delle cosiddette Stem e altre misure di orientamento scuola-università per riequilibrare il numero di laureati uomini e donne negli ambiti tecnici e scientifici.

Diverse misure del piano sono orientate a famiglie in situazioni di fragilità, che si riflettono differentemente su uomini e donne per via del diverso ruolo familiare loro attribuito, come il programma di housing temporaneo per l’accoglienza di persone senza fissa dimora o in difficoltà economica, nell’ambito della missione Inclusione e coesione.

La missione Salute contiene, infine, alcune misure finalizzate a comprendere gli effetti delle patologie, anche per immaginare percorsi differenziati di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione.

Nel complesso, benché il piano di ripresa italiano coinvolga settori economici caratterizzati da una prevalenza di lavoratori uomini (secondo dati 2019) per circa il 79,8 per cento delle risorse, analizzando le dinamiche degli ultimi anni, si nota che: circa un quinto delle risorse del piano è destinato a settori che potrebbero ridurre il divario occupazionale di genere di almeno la metà; circa il 30 per cento è destinato a settori che potrebbero ridurre il divario di genere del 30 per cento; circa il 60 per cento delle risorse è previsto per settori che potenzialmente riducono il divario in misura anche minima.

Prendendo a riferimento le risorse del piano emerge che gli interventi mirati alle donne rappresentano circa l’1,6 per cento del totale (3,1 miliardi circa) e si concentrano nelle missioni Istruzione e ricerca e Inclusione e coesione; e che il 18,5 per cento (35,4 miliardi) riguarda misure che potrebbero avere riflessi positivi anche indiretti.[6] Per la parte restante (77,9 per cento, pari a 153 miliardi) la possibilità di incidere per ridurre divari esistenti dipenderà molto dai dettagli dell’attuazione. Rimane infatti cruciale la fase in cui le misure previste dal piano di ripresa verranno implementate, e sarà per questo fondamentale monitorare come gli interventi verranno realizzati.

Per saperne di più 

Note

[1] Cfr. McKinsey 2020 e 2021, OIL 2021.

[2] Dei 360 miliardi di prestiti disponibili a valere sulla recovery and resilience facility, 122,6 miliardi (pari al 73 per cento) riguardano l’Italia.

[3] Per approfondire rimandiamo alla nota tematica del Dipartimento del Tesoro n. 1/2021: Un confronto tra i PNRR di sei Paesi europei, con focus sulle politiche di genere, G. Di Domenico et al.

[4] Art 47 del DL n. 77/2021, convertito con legge del 29 luglio 2021, n.108.

[5] Stime effettuate con modello MACGEM-IT, multi-input, multi-output e multisettoriale, del Dipartimento del Tesoro.

[6] Gli interventi del piano sono stati distinti in misure “mirate alle donne”, misure “indirettamente riconducibili alla riduzione delle diseguaglianze” e “non classificabili” (per le quali non è stato possibile identificare in modo puntuale una precisa attribuzione).